Il Booker Prize scandaloso di Arundhati Roy, “Il dio delle piccole cose”

9 Ottobre 2025

Un capolavoro sul potere, la casta e l’amore proibito: Arundhati Roy ci mostra come le piccole cose possano sovvertire un intero mondo nel suo Booker Prize 1997

Il Booker Prize scandaloso di Arundhati Roy, “Il dio delle piccole cose”

Quando Arundhati Roy esordì con “Il dio delle piccole cose” accaddero diverse cose: l’America l’accolse con entusiasmo, i grandi quotidiani parlarono di un debutto “straordinario” e il libro vinse il Booker Prize di quell’anno (1997); di contro, l’India fu così sconvolta da un passaggio erotico consensuale e intercastale, che si arrivò a un procedimento per “oscenità” in Kerala — procedimento poi archiviato.

Un Booker Prize scandaloso

“Il dio delle piccole cose” è una storia corale, uno di quei romanzi che intreccia intimità familiare e storia sociale, politica e desiderio, che spiega come le “leggi dell’amore” non scritte di un insieme dicono “chi debba essere amato, come e quanto”, e raccontano anche come, se non rispettate, possano frantumare le vite di molti.

Ambientato in una Kerala dei tardi anni Sessanta, in una famiglia siro-cristiana divisa tra regole di casta e modernità, “Il dio delle piccole cose” non può propriamente dirsi “una cornice esotica”, ma più un “laboratorio morale”, dove la religione ha un forte peso sulla famiglia e le “piccole cose” — un odore, una parola, un gesto — fanno esplodere le grandi.

La struttura non procede in linea retta: entra ed esce dal tempo come fa la memoria, passa dalle estati del 1969 all’inizio degli anni Novanta, e torna sempre a un “giorno fatale” che spacca in due la storia dei gemelli Estha e Rahel.

Da bambini osservano – e fraintendono, come tutti i bambini – le incrinature degli adulti: la madre Ammu, divorziata e quindi socialmente vulnerabile; Chacko, zio colto e narcisista; Baby Kochamma, la prozia che coltiva risentimenti come fiori in serra; e Velutha, il paravan, l’“intoccabile” che lavora come falegname nel piccolo mondo di fabbrica e casa.

L’arrivo della cugina Sophie Mol e l’onda lunga della politica locale — la presenza dei comunisti in Kerala, il malcontento, le gerarchie — accelerano gli eventi: ciò che era desiderio privato diventa scandalo pubblico, e ciò che era tutela — della famiglia, della “casta”, della reputazione — diventa persecuzione.

La prosa di Roy ci porta dove fa più male: nel punto in cui l’amore fa saltare l’ordine delle cose, e l’ordine – per vendicarsi – distrugge gli amanti.

Come è raccontato: lingua, sguardo, ritmo

Una delle invenzioni più riconoscibili di Roy è lo “sguardo bambino”: non infantile, ma “laterale”. Parole spezzate, ripetizioni, capitalizzazioni improvvise fanno vedere il mondo come un mosaico di segnali che gli adulti non colgono più.

Non è un vezzo stilistico: è un modo di dare corpo alla vulnerabilità – quando non possiedi il linguaggio del potere, lo reinventi. La critica statunitense colse subito la forza di questa scelta. La Los Angeles Times, nel 1997, notava come “molto di The God of Small Things è raccontato come i bambini vedevano – e non vedevano – ciò che accadeva”, segnalando la capacità del libro di far coesistere innocenza e presagio. (“Much of The God of Small Things is told as the children saw, and failed to see, what went on.”)

Anche l’editore statunitense (Penguin Random House) ha da sempre posizionato il romanzo come una fusione di saga familiare, storia d’amore proibito e “dramma politico”, rimarcando un tratto tecnico spesso citato: il montaggio narrativo, che costruisce un’inevitabilità tragica senza dirla mai fino in fondo.

Le “leggi dell’amore”

Il romanzo mostra quanto le strutture — la casta, il genere, la reputazione — penetrino nella carne dei rapporti: l’amore tra Ammu e Velutha è “impossibile” non perché manchi d’intensità, ma perché l’ordine sociale lo rende delitto.

E intorno all’amore proibito, la topografia del potere domestico: l’anziano che decide, la zia che spia e manipola, la comunità che trasforma sospetto in condanna. Il risultato non è un “pamphlet” di denuncia, ma un racconto in cui le ideologie — comunismo locale, nostalgia coloniale, cristianesimo di facciata — diventano soprattutto linguaggi per giustificare o contestare ciò che accade in cucina, nel cortile, di notte.

L’enorme successo del libro (anche commerciale) non nacque da una semplificazione, ma da una “poesia” che teneva insieme micro e macro, il dettaglio sensoriale e il trauma storico.

La ricezione

La parabola editoriale è, di per sé, una storia: un agente innamorato del manoscritto, un’asta internazionale, un anticipo senza precedenti per un’esordiente — circa mezzo milione di sterline —, quindi il Booker Prize e la diffusione globale.

Un recente pezzo del Times (estate 2025) rilegge proprio quell’“anno spirituale” che fu il 1997 per l’editoria britannica, ricordando l’anticipo-record e stimando in “oltre sei milioni” le copie vendute nel mondo.

It won the 1997 Booker prize and went on to sell six million copies.

I grandi quotidiani lodando la supremazia della voce e la rara capacità di tenere insieme immaginazione e respiro morale; la Los Angeles Times sottolineò anche la precisione con cui la narrazione seminava presagi e faceva sentire, fin da subito, che “qualcosa stava per accadere”.

Come sappiamo, non mancarono le polemiche — soprattutto in India. Fonti coeve come Rediff e archivi radiofonici di NPR testimoniano quell’ondata censoriale: la scrittrice ne parlò apertamente, difendendo il diritto della letteratura a nominare ciò che la società preferisce occultare. Anni dopo, The Guardian avrebbe ricordato che quel caso si trascinò “per un decennio”, per essere infine respinto.

Cosa ha detto la critica

Los Angeles Times (1997): “Much of The God of Small Things is told as the children saw, and failed to see, what went on.” (Molto del romanzo è raccontato come i bambini vedevano – e non vedevano – ciò che accadeva.)

The Booker Prizes (scheda): romanzo “poetico” incentrato sui gemelli Estha e Rahel e sulle conseguenze di un evento traumatico nella loro infanzia. (“un esordio di rara potenza formale e affettiva.”)

The Times (2025): “It won the 1997 Booker prize and went on to sell six million copies.” (“Vinse il Booker nel 1997 e vendette sei milioni di copie.”)

NPR / Fresh Air (1997): Roy discute le accuse di “oscenità” sorte in India all’uscita del libro, rifiutando il bavaglio morale che confonde letteratura e decoro.

The Guardian (2007): ricostruzione del caso giudiziario per “oscenità”, trascinatosi per anni e infine archiviato.

Che romanzo è, davvero: famiglia, desiderio, colpa

La grandezza de “Il dio delle piccole cose” non sta solo nel suo essere “scandaloso”, ma che in ogni macro-nodo – casta, patriarcato, colonialità, politica – viengono messi alla prova i legami: una madre e due figli che si cercano e si perdono; una zia che preferisce un rancore alla verità; un uomo che paga con il corpo l’aver trasgredito la gerarchia; due gemelli che, pur separati, continuano a respirare la stessa aria.

Se tutto questo ci riguarda ancora è perché il libro mette in scena la fragilità del confine tra intimità e pubblico: ciò che si compie in una stanza diventa, all’improvviso, oggetto di una polizia, di un tribunale, di un’opinione. E perché svela come una comunità si mantenga “unita” non tanto condividendo valori, quanto condividendo nemici.

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