Il 23 settembre 2025 si è chiusa la corsa per la shortlist del Booker Prize 2025, il premio per il miglior romanzo in lingua inglese pubblicato tra il 1° ottobre 2024 e il 30 settembre 2025; tuttavia, ili vincitore effettivo verrà annunciato il 10 novembre 2025 durante una cerimonia londinese.
I sei finalisti del Booker Prize 2025
Sono tutti autori già affermati, con carriere consolidate, che secondo la scheda “Everything you need to know…” hanno affrontato temi profondi e importanti, quali per esempio l’immigrazione, l’identità, il tempo e perfino le relazioni familiari, sondando lo spazio domestico e relazionale, anche se con differenze strutturali importanti. Molti hanno esplorato relazioni intime — matrimonio, figli, segreti —, spesso in ambienti chiusi o famigliari — anche viaggi introspettivi.
Un esempio è “The Land in Winter”, ambientato nell’Inghilterra rurale del dopoguerra, che mette al centro della trama le tensioni coniugali; o ancora “Audition” che intreccia i suoi nodi nella vita di un’attrice divisa da misteri personali. D’altro canto c’è il lato sociale: “Flashlight” affronta temi d’immigrazione e identità, con protagonisti che si muovono tra diversi paesi, “Flesh” segue il percorso di un uomo che attraversa più nazioni e “The Loneliness of Sonia and Sunny” intreccia India, Stati Uniti, emigrazione e ritorni.
“Flesh” di David Szalay (IT annunciata: “Nella carne”, Adelphi)
Szalay racconta la parabola di István, un ragazzo ungherese la cui vita viene segnata da eventi imprevisti e incontrollabili, fino a trasformarsi in una riflessione potente sulla precarietà e la violenza dell’Europa contemporanea.
István vive con la madre in un complesso residenziale anonimo, un ambiente che amplifica la sua solitudine. È timido, poco avvezzo ai rituali sociali dei coetanei, e presto si ritrova isolato. L’unico legame che intreccia è con una vicina di casa, una donna sposata molto più grande di lui, con la quale inizia una relazione clandestina difficile da comprendere persino per lui stesso. Quel legame, fragile e ambiguo, lo trascina in una spirale di tensione e desiderio che culmina in un episodio di violenza: un uomo muore, e la vita di István imbocca un sentiero irreversibile.
Da qui prende avvio un percorso accidentato che lo porta a emigrare a Londra. Nella capitale inglese si muove ai margini, cambiando lavoro più volte, fino a trovare impiego come autista al servizio della ricchissima élite londinese. Attraverso il suo sguardo distaccato e quasi clinico, il lettore osserva le contraddizioni dell’Europa globalizzata: da una parte la ricchezza sfacciata e inaccessibile, dall’altra la precarietà e l’instabilità di chi cerca di sopravvivere.
István rimane un osservatore silenzioso della propria vita, sospeso tra passività e resistenza, tra desiderio di appartenenza e consapevolezza di essere sempre un corpo estraneo. La narrazione intreccia momenti di tenerezza e di sensibilità a scene di tensione e tragedia, restituendo la sensazione di un’esistenza continuamente in bilico, costretta a fare i conti con traumi mai elaborati e con le ombre del passato.
Szalay scava nei limiti di ciò che si può dire o vedere, nel divario tra ciò che appare e ciò che resta invisibile. “Nella carne” diventa così il ritratto di una vita ordinaria travolta dall’imponderabile, ma anche una lente che riflette sull’immigrazione, sulla violenza latente nelle relazioni umane e sul prezzo che ogni corpo — ogni carne — paga nel tentativo di restare a galla in un mondo che cambia senza tregua.
“The Land in Winter” di Andrew Miller (IT annunciata: “La terra d’inverno”, NNE)
Andrew Miller, uno dei narratori più raffinati della letteratura britannica contemporanea, ambienta “The Land in Winter” nell’Inghilterra del 1962, durante uno degli inverni più rigidi del secolo scorso.
Un romanzo che si muove tra claustrofobia domestica e intensità emotiva, in cui le vite di due giovani coppie si intrecciano sotto il peso della neve e delle tensioni irrisolte.
Eric e Irene, da poco trasferiti in un elegante cottage, vivono la sicurezza di una nuova sistemazione: lui è un giovane medico appena nominato, lei una moglie in attesa del loro primo figlio. Accanto a loro, Bill e Rita occupano una fattoria malandata, cronicamente fredda e poco accogliente, simbolo di un’esistenza più dura e instabile. Nonostante queste differenze sociali e materiali, le due donne — entrambe incinte — sviluppano un’amicizia immediata, un legame che porta sollievo alla monotonia e ai silenzi del matrimonio.
Ma sotto la superficie, la quotidianità rivela crepe profonde: aspettative disattese, rancori che crescono nel tempo, ferite del passato che riaffiorano. La neve, dapprima elemento paesaggistico, diventa presto barriera: uno strato fitto e impenetrabile che isola il piccolo villaggio e costringe i personaggi a un contatto forzato, senza più le distrazioni della vita ordinaria. In quell’isolamento, i rapporti si fanno più intensi e fragili: la vicinanza diventa terreno fertile per nuove intimità ma anche per tensioni esplosive.
“La terra d’inverno” procede come una lente d’ingrandimento sulla psicologia dei personaggi, scavando nei loro desideri repressi e nei conflitti mai del tutto confessati. La neve che avvolge case e strade non è solo scenario, ma metafora del congelamento emotivo e della possibilità, al tempo stesso, di un’improvvisa rottura. Vecchi rancori, segreti taciuti e nuove rivelazioni minacciano di cambiare per sempre il destino delle due famiglie, mentre l’inverno si trasforma in un banco di prova implacabile.
Miller orchestra un dramma intimo e corale, in cui la natura ostile non fa che amplificare i fragili equilibri della vita di coppia.
“Audition” di Katie Kitamura (IT: “L’audizione”, Bollati Boringhieri)
Con “L’audizione“, Katie Kitamura mette in scena un raffinato dramma psicologico che interroga il lettore sulla fragilità dei ruoli che assumiamo e sulla natura ambigua dell’identità. Ambientato in una Manhattan osservata con occhio clinico e distaccato, il romanzo prende avvio da un incontro apparentemente casuale: quello tra una celebre attrice teatrale, impegnata nelle prove di un nuovo spettacolo, e un giovane di nome Xavier. Lui è inquieto, affascinante e molto più giovane di lei; lei è una donna affermata, ma segnata da equilibri fragili nella vita privata e nel matrimonio con Tomas, anch’egli attore.
Durante il pranzo in un ristorante, Xavier sostiene di essere il figlio che la donna avrebbe abbandonato anni prima. A spingerlo a questa convinzione è stata un’intervista mal interpretata, in cui le parole dell’attrice — che parlava di aborto e adozione — sono state travisate fino a costruire un racconto fittizio che Xavier ha fatto proprio, trasformandolo in verità. Da quel momento il giovane entra con forza nella vita della protagonista, insinuandosi nella quotidianità familiare, fino a diventare il “figlio ritrovato”.
La sua presenza, tuttavia, non è neutra: destabilizza la relazione con Tomas, mette in crisi i legami intimi della coppia e innesca una serie di cambiamenti che portano a continue tensioni e rivelazioni. Xavier diventa al tempo stesso una figura di disturbo e un catalizzatore, costringendo i personaggi a confrontarsi con i loro segreti, le loro fragilità e con la sottile linea che separa verità e menzogna.
Kitamura costruisce un romanzo che scava nell’illusione, mostrando come ogni individuo reciti ruoli differenti — genitore, figlio, amante, musa, creatore — e come ognuno di questi sia inevitabilmente una maschera. Ciò che resta al centro non è tanto l’enigma su chi sia davvero Xavier, quanto l’interrogativo più radicale: quanto conosciamo davvero gli altri e, soprattutto, quanto conosciamo noi stessi?
“L’audizione” si rivela così un’opera tesa e magnetica, in cui il confine tra realtà e finzione si dissolve, offrendo al lettore un’esperienza perturbante, quasi teatrale, che conferma Katie Kitamura come una delle voci più interessanti della narrativa contemporanea.
“The Rest of Our Lives” di Benjamin Markovits
Benjamin Markovits costruisce un romanzo intenso e sorprendente, che parte da un presupposto apparentemente semplice — un matrimonio logorato dal tempo e dalle scelte — per raccontare una storia di fughe, legami familiari e bilanci esistenziali. Il protagonista, Tom Layward, è un uomo segnato da una promessa fatta a se stesso: lasciare la moglie non appena la figlia più piccola fosse diventata maggiorenne.
Dodici anni prima, infatti, aveva scoperto il tradimento della consorte e, invece di affrontare la crisi, aveva scelto di attendere. La decisione di non abbandonare subito la famiglia nasce da un senso di responsabilità paterna, dal desiderio di garantire alle figlie stabilità e protezione fino alla soglia dell’età adulta. Ma quel voto, rimasto sospeso come una cicatrice silenziosa, riaffiora quando accompagna la figlia a Pittsburgh per iniziare l’università.
Durante quel viaggio, Tom ricorda la promessa fatta e, anziché tornare indietro, continua a guidare verso Ovest. Questo gesto improvviso si trasforma in un road trip che è allo stesso tempo fuga e ricerca, un’occasione per riflettere su cosa resti di un matrimonio, di un amore e di una vita condivisa dopo anni di compromessi e silenzi.
Markovits intreccia con ironia e profondità le dinamiche di una lunga relazione con il desiderio di libertà, senza mai cadere nei cliché. Il romanzo oscilla tra leggerezza e malinconia, ponendo al centro la domanda: cosa resta di noi quando i figli crescono e se ne vanno, quando i ruoli che hanno dato struttura alla nostra vita vengono meno?
Attraverso il viaggio di Tom, “The Rest of Our Lives” diventa una meditazione sul tempo, sui rimpianti e sulla possibilità — sempre dolorosa e liberatoria insieme — di reinventarsi. È un libro che combina lo spirito del grande romanzo on the road americano con l’introspezione intima del romanzo familiare, regalando al lettore una storia al contempo divertente, amara e sorprendentemente vitale.
“The Loneliness of Sonia and Sunny” di Kiran Desai
Con “The Loneliness of Sonia and Sunny”, Kiran Desai, già vincitrice del Booker Prize con “The Inheritance of Loss”, firma un romanzo che intreccia intimità e diaspora, esplorando come i legami familiari e culturali si deformino sotto il peso della distanza, del tempo e delle aspettative sociali.
La vicenda ruota attorno a due giovani indiani emigrati, le cui vite si svolgono in parallelo ma su sponde diverse dell’Atlantico. Sonia, studentessa universitaria e aspirante scrittrice, vive isolata tra le montagne innevate del Vermont.
Nostalgica per l’India lasciata alle spalle, cerca conforto in un artista più anziano, il quale diventa per lei guida, amante e figura ossessiva che imprime un’ombra lunga sugli anni a venire. La sua solitudine si colora di desiderio e smarrimento, in un equilibrio fragile tra dipendenza e ricerca di sé.
Dall’altra parte, a Brooklyn, c’è Sunny, un giovane giornalista proveniente da Delhi che fatica a trovare il proprio posto in America. Diviso tra l’incanto e l’incomprensione per la sua fidanzata americana, e i dubbi su un paese che promette futuro ma lo lascia spaesato, Sunny vive in una condizione di estraneità permanente. Anche per lui la solitudine diventa una lente attraverso cui guardare le relazioni, la carriera e la sua identità culturale.
I due protagonisti, pur lontani, condividono lo stesso senso di alienazione. Con il passare del tempo, Sonia e Sunny iniziano a interrogarsi sul significato dell’amore, della felicità e dell’appartenenza.
Quando le loro famiglie in India decidono di organizzare un incontro, convinte che un matrimonio possa risolvere il loro spaesamento, l’intervento goffo e invadente non fa che aumentare le incomprensioni. Il tentativo di unirli diventa invece occasione mancata, un gesto che li allontana ancor più dal potenziale amore che avrebbe potuto sbocciare tra loro.
“The Loneliness of Sonia and Sunny” non è solo la storia di due individui, ma un affresco generazionale che mette in scena la tensione tra tradizione e modernità, tra il bisogno di radici e il desiderio di libertà.
È un romanzo che racconta come le famiglie, i paesi d’origine e le storie non dette continuino a pesare sulle scelte dei figli della diaspora.
Una storia d’amore, ma anche una saga familiare e un romanzo di idee, in cui la solitudine diventa specchio delle trasformazioni sociali e culturali del nostro tempo.
“Flashlight” di Susan Choi
In “Flashlight”, Susan Choi, già vincitrice del National Book Award con “Trust Exercise”, costruisce un romanzo che intreccia memoria, lutto e identità attraverso più generazioni e continenti. La vicenda prende avvio in una sera d’estate, quando la piccola Louisa, di soli dieci anni, accompagna il padre Serk lungo il frangiflutti. L’uomo porta con sé una torcia, simbolo concreto e metaforico di ciò che illumina e al tempo stesso nasconde. Poco dopo, Louisa viene ritrovata sulla spiaggia, fradicia e stremata, ma viva. Del padre, invece, non resta alcuna traccia.
Questo evento traumatico diventa l’asse attorno a cui ruota tutta la narrazione. Serk è un coreano nato e cresciuto in Giappone, poi trasferitosi in Corea del Nord, dove ha aderito con convinzione alle promesse del dopoguerra di Pyongyang. Una scelta che lo ha separato irrimediabilmente dalla sua famiglia d’origine.
La madre di Louisa, Anne, è invece americana, originaria del Midwest, da cui si è allontanata da giovane in cerca di avventure e libertà. Entrambi i genitori, dunque, hanno reciso i legami con il proprio passato, lasciando la figlia a crescere in un terreno instabile e privo di radici solide.
Il romanzo segue Louisa e Anne nel tentativo di sopravvivere alla perdita. La loro relazione è segnata da un dolore condiviso che le unisce ma al tempo stesso le respinge, in un continuo movimento di attrazione e distanza. Nella loro vita fa irruzione anche Tobias, il figlio illegittimo di Anne, la cui ricomparsa porta con sé conseguenze inattese e destabilizzanti.
Choi costruisce la narrazione con prospettive multiple e temporali spezzati, tornando ripetutamente a quella notte in riva al mare. Ogni ritorno offre nuove tessere di un mosaico incompleto, in cui si mescolano ricordi personali, segreti familiari e correnti più ampie della storia politica e sociale del Novecento.
“Flashlight” diventa così non solo il racconto di una scomparsa, ma anche una riflessione sulla fragilità della memoria e sui modi in cui ciò che non vediamo — o non possiamo spiegare — continua a modellare le nostre vite. È un romanzo sulla perdita, ma anche sul tentativo ostinato di cercare luce nelle pieghe più oscure dell’esistenza.