Banana Yoshimoto torna finalmente in Italia con “Come un miraggio”

21 Dicembre 2025

Due storie in un romanzo che riporta in Italia Banana Yoshimoto: "Come un miraggio" è un ritorno alle origini e racconta l’amore come tentativo e sostegno.

Banana Yoshimoto torna finalmente in Italia con "Come un miraggio"

Come un miraggio” di Banana Yoshimoto esce per la prima volta in Italia il 27 gennaio 2026 grazie a Feltrinelli e porta con sé l’eco di quegli anni ’80 che oggi, come non mai, sembrano terribilmente attuali.

È un libro breve e doppio che ci mostra due “racconti dell’origine” pieni di energia e freschezza. Nato subito dopo il successo mondiale di “Kitchen”, “Come un miraggio” deriva dalla stessa radice che, spesso, viene sottovalutata quando si parla di Yoshimoto: la tradizione degli shōjo manga, vale a dire i fumetti per ragazze con cui è cresciuta e che hanno ispirato il suo modo di raccontare.

Questo dettaglio non è un vezzo di copertina: è una vera e propria chiave di lettura che rende chiare le immagini di cui si compongono le prime opere dell’autrice.

Un libro in due movimenti: “Toriumi Ningyo” e “Santuario”

“Come un miraggio” raccoglie due racconti. L’idea del “doppio” qui non è un trucco editoriale, ma una struttura che permette di vedere la stessa materia emotiva da due angolazioni diverse.

Si passa da un primo amore fragile e dall’ombra ingombrante di una famiglia, a una storia notturna di lutto e incontro, dove la spiaggia diventa un luogo di passaggio più che un paesaggio.

“Toriumi Ningyo”

La protagonista, Toriumi Ningyo non racconta un “primo amore”, ma cosa succede quando un primo amore nasce nel mezzo di una vita che non concede spazi puliti. Toriumi prova a innamorarsi mentre porta addosso una casa sbilanciata, una madre di cui occuparsi e un padre che, anche quando non è presente, lascia delle impronte.

Il sentimento, quindi, non le permette di evadere dalla vita di tutti i giorni: è un tentativo di respirare dentro qualcosa che stringe. La maturità che emerge non ha niente di eroico, è fatta di gesti necessari, di responsabilità che arrivano prima delle scelte, di giorni in cui si cresce perché non c’è alternativa.

Questa storia si appoggia su una dinamica riconoscibile: chi parte e chi resta, chi cerca altrove e chi regge il quotidiano.

Yoshimoto fa centro senza spiegare troppo, lasciando al lettore il modo di farsi un’idea, mostrando la forza dei ruoli e il modo in cui, spesso, l’amore diventa il punto in cui questi si rivelano.

“Santuario”

Il secondo breve romanzo cambia atmosfera e sposta il baricentro. Tomoaki è in un resort sul mare, segnato da un lutto; durante le passeggiate notturne incontra una donna che piange: Kaori. Qui il punto non è innamorarsi, ma riconoscersi senza chiedere niente in cambio — esserci.

Il santuario qui non è un posto fisico, non è una casa o un rifugio “da romanzo”: è uno spazio mentale ed emotivo che si crea tra due persone quando diventa possibile mostrarsi fragili. La scena del pianto, più che un simbolo, è una funzione: rende condivisibile ciò che di solito si tiene chiuso.

Si parla di due vite ferite che si incontrano di notte su una spiaggia e di un legame che diventa “conforto e rivelazione”.

Ma la parola chiave, sotto sotto, è un’altra: permesso; permesso di sentire, di non fingere, di restare umani senza aggiustarsi per risultare presentabili. È così che Yoshimoto tratta la tenerezza: non come garanzia, ma come qualcosa di fragile e reale — quindi raro, prezioso.

Lo shōjo come base dell’opera

“Come un miraggio” riprende la tradizione degli shōjo manga”. Ma, se la tentazione di un lettore occidentale può essere quella di ridurre lo shōjo a un’estetica fatta di occhi grandi, romanticismo, sentimentalismo, dobbiamo correggervi: lo shōjo è anche una postura, un modo di raccontare l’intimità, la soglia, il desiderio di essere altrove; un modo di fare della giovinezza non un’età, ma un clima.

Qui entra in gioco un pezzo-chiave della critica internazionale: l’articolo di John Whittier Treat, Yoshimoto Banana Writes Home: Shojo Culture and the Nostalgic Subject (1993). Treat prende sul serio l’impatto di Yoshimoto e lo lega alla cultura shōjo, non come etichetta pop, ma come forma culturale capace di produrre immaginari, linguaggi e identificazioni.

In altre parole, Yoshimoto non “prende in prestito” lo shōjo, ma lo usa come un sistema; e quando il libro mette a fuoco, per citare la presentazione dell’editore, “lo scintillio dell’essere giovani” e l’inquietudine di un’età che non sa cosa porterà domani, sta parlando esattamente da lì.

Cosa ne dice la critica internazionale

“Come un miraggio” arriva adesso in Italia, ma “Utakata/Sanctuary” appartiene a una fase precisa della carriera di Yoshimoto: le opere pubblicate in Giappone nello stesso periodo dei suoi primi libri.

Yoshimoto e la cultura shōjo

Yoshimoto è diventata “caso” non perché racconta l’amore, ma perché lo fa attraverso immagini precise della cultura shōjo. Racconta la soglia, quella zona in cui ci si muove senza istruzioni, e le relazioni diventano tentativi, prove, ritorni.

Il mare, che non promette niente

Yoshimoto paragona l’amore al fondo del mare, a una limpidezza che non elimina la profondità. È un’immagine perfetta per “Come un miraggio”: il mare come attrazione e pericolo, come bellezza e peso. E soprattutto come luogo in cui lo sguardo arriva fino a un certo punto, poi deve accettare che sotto c’è altro.

Perché continua a passare di mano in mano

Perché racconta quel periodo in cui tutto è precario e provvisorio, ma ogni cosa pesa come se fosse definitiva: le relazioni diventano un laboratorio, le amicizie una specie di casa, e il resto (famiglia, lavoro, corpo) entra nella storia senza chiedere permesso. “Come un miraggio” arriva in Italia di gran carriera perché è fatto di piccoli gesti, scelte sbagliate, notti che cambiano il giorno dopo, e quella sensazione che la giovinezza sia insieme scintillio e vertigine.

Aspettavamo un nuovo romanzo alla Yoshimoto forse da troppo tempo.

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