Quella balena ispirata a “Moby Dick”, un libro d’avventura perfetto per Natale

14 Dicembre 2025

In “Whalefall” un giovane sub viene inghiottito da una balena e ha un’ora per salvarsi: survival thriller claustrofobico su colpa, padri e rinascita.

Quella balena ispirata a "Moby Dick", un libro d'avventura perfetto per Natale

Whalefall. Nella balena”, pubblicato in Italia da Ne/oN, è uno di quei romanzi che si spiegano in una riga sola e, proprio per questo, fanno un certo effetto: un ragazzo di diciassette anni viene inghiottito da un capodoglio e ha circa un’ora d’ossigeno per salvarsi la vita e fare i conti con il fantasma di suo padre.

Nel ventre della balena: la premessa di “Whalefall”

Daniel Kraus, già noto per la collaborazione con Guillermo del Toro a “The Shape of Water”, costruisce attorno a questa premessa un thriller claustrofobico, a metà tra il survival più estremo e un romanzo psicologico sul lutto e sul rapporto padre–figlio. La quarta di copertina lo definisce un’avventura “mozzafiato tra le profondità dell’Oceano Pacifico” che fonde azione, introspezione e mistero in un viaggio contro il tempo, mentre Gillian Flynn lo benedice con un blurbo secco: “Un grandissimo romanzo, davvero sorprendente”.

Nell’edizione originale l’editore ha venduto il libro come “The Martian meets 127 Hours”: un ragazzo completamente solo, in un ambiente ostile, con un conto alla rovescia che diventa struttura narrativa. L’ora di aria rimasta nelle bombole di Jay Gardiner corrisponde più o meno alla durata della storia: ogni pagina è una boccata, ogni capitolo un passo in più verso la superficie o verso la fine.

Un tuffo nel Pacifico e nel senso di colpa

Jay si immerge al largo di Monastery Beach, sulla costa californiana, con un intento che non ha nulla di razionale: recuperare i resti del padre Mitt, suicidatosi un anno prima buttandosi in mare con addosso i pesi da sub.

Il gesto nasce da un senso di colpa che ha radici profonde. Mitt, figura carismatica e dura della comunità di sub locali, non ha mai capito il figlio, troppo sensibile, troppo poco “macho”. Prima della malattia i due si sono scontrati in modo violento; Jay è scappato di casa e non ha più trovato il coraggio di fargli visita in ospedale. Quando il padre si toglie la vita, il ragazzo resta intrappolato in una vergogna muta: non è stato all’altezza delle aspettative, non è stato presente quando serviva, non si è congedato.

L’immersione è quindi una forma di penitenza. Recuperare il corpo significa, nella mente di Jay, rimediare a tutto quello che non è riuscito a fare in vita: riportare a galla il padre, letteralmente e simbolicamente. In questo senso “Whalefall” è, fin dall’inizio, un romanzo sul desiderio di correggere il passato, di “riavvolgere il nastro”, pur sapendo che non è possibile.

Un thriller in tempo reale

La missione, già di per sé folle, deraglia quando Jay si imbatte in un calamaro gigante, proprio nel momento in cui un capodoglio scende in picchiata per attaccarlo. Nel vortice di tentacoli, becco, acqua e buio, l’attrezzatura del ragazzo resta impigliata e, nel giro di pochi secondi, viene risucchiato insieme alla preda nella bocca della balena.

Da questo punto in avanti la storia si sposta quasi interamente all’interno del corpo dell’animale. Jay è gravemente ferito, disorientato, e ha circa sessanta minuti prima che l’ossigeno finisca. La struttura del romanzo alterna il presente del “ventre della balena” con flashback che ricostruiscono la sua relazione con Mitt, i litigi, la malattia, il suicidio.

A livello narrativo, è un doppio binario: da una parte la lotta fisica per trovare una via di fuga (attraverso quattro stomaci, esofago, mucosa, acidi gastrici), dall’altra la lotta interiore per accettare il padre, e soprattutto la parte di sé che gli assomiglia.

Tra mito e survival: tutti i riferimenti di “Whalefall”

Da Giona a Moby Dick

Non è un caso che, davanti a una copertina che mostra un sub minuscolo e una sagoma colossale che sale dal buio, la mente corra subito a “Moby Dick”. Il romanzo di Kraus dialoga apertamente con l’immaginario costruito da Melville e da secoli di miti marini: il mostro inabissato, l’occhio gigantesco, il corpo del cetaceo come luogo di rivelazione.

Diversi articoli hanno letto “Whalefall” come un midrash contemporaneo sul libro di Giona: il profeta che fugge dal compito affidatogli da Dio e viene inghiottito da un “grande pesce”, nel cui ventre passa tre giorni a pregare e a mettere in discussione se stesso.

Un saggio dell’Horror Writers Association sottolinea come Jay sia, in effetti, “un Giona moderno: il suo io precedente viene annientato nella pancia della bestia e il viaggio biblico diventa qualcosa di profondamente personale”.

La differenza rispetto a Melville è che qui non c’è nessuna caccia ossessiva: il capodoglio non è nemico, è ambiente. Non è l’oggetto di una vendetta, ma il contenitore in cui si svolge un percorso di espiazione. Jay non vuole distruggere la balena; vuole uscirne vivo, e se possibile farlo senza trasformarla in un puro “mostro”. Questo spostamento di prospettiva rende il romanzo molto contemporaneo, vicino alla sensibilità ecologista che vede negli animali non tanto simboli del male quanto presenze indifferenti, potentissime, con cui dobbiamo imparare a convivere.

L’indifferenza del mare e dell’animale

Uno dei temi che emergono con forza, e che la guida di SuperSummary riassume bene, è “la sublime indifferenza del mondo naturale”. Il mare non è cattivo, così come la balena non è malvagia: semplicemente, esistono. Sono sistemi che seguono logiche proprie, completamente esterne alle nostre.

Jay deve imparare in fretta questa lezione. Per tutta la vita ha vissuto nell’ombra di un padre che idolatrava l’oceano, considerandolo quasi un’estensione di sé. Ora, nel momento più estremo, scopre che il mare non gli deve niente, nonostante tutte le ore passate con Mitt a studiare correnti, temperature, profondità.

C’è una scena, raccontata in più recensioni, in cui il ragazzo si trova davanti al gigantesco bulbo oculare del capodoglio: non c’è odio, non c’è pietà, solo uno sguardo enorme e impenetrabile. È il punto in cui la creatura smette di essere “mostro” e diventa personaggio, pur restando muta. Jay è dentro un organismo vivo, con la sua fisiologia, i suoi riflessi, le sue reazioni al dolore. Il romanzo, pur giocando con l’angoscia, prova una certa compassione per l’animale, aggiornando così anche l’antico mito di Giona: il pesce non è solo lo strumento del castigo divino, ma anche vittima collaterale della nostra furia redentrice.

Padri, figli e fantasmi: cosa vuole raccontare Kraus

La voce di Mitt nel buio

Se “Whalefall” fosse solo l’ennesima variazione sul tema dell’uomo intrappolato in un luogo impossibile, sarebbe un esercizio di stile molto riuscito e poco più. Ma Kraus usa il dispositivo del survival per portare in primo piano una storia di famiglia.

Dentro la balena, Jay comincia a sentire la voce del padre. Non è un vero fantasma, non è una visione a tutti gli effetti: è una presenza psicologica, fatta di ricordi, frasi, rimproveri interiorizzati. In alcune pagine sembra che Mitt parli davvero attraverso il corpo del capodoglio, quasi fosse un medium; in altre sembra solo il modo in cui Jay organizza il proprio dialogo interiore.

Questa ambiguità è una delle parti più riuscite del libro. Il padre è al tempo stesso guida e accusatore, compagno di immersione e giudice severo. Il ragazzo ripercorre scene dolorose: l’episodio del coltello, quando Mitt ubriaco lo spinge a ferirsi per “diventare uomo”; le ore passate a bordo delle barche a osservare balene e otarie; la diagnosi di mesotelioma legata all’amianto respirato per anni sui pescherecci.

La vera domanda, più che “come uscirò da qui?”, è “posso perdonare mio padre e me stesso prima che l’aria finisca?”. Il romanzo procede su questo filo: ogni tentativo di fuga fisica (scendere nello stomaco, risalire verso l’esofago, sfruttare le contrazioni del corpo) è accompagnato da un tentativo di rimettere a posto un’altra tessera emotiva.

Vergogna, depressione, suicidio

La critica ha insistito molto sulla dimensione psicologica del libro. Il New York Times, che ha dedicato a “Whalefall” una recensione in copertina definendolo una “crazily enjoyable beat-the-clock adventure story about fathers, sons, guilt and the mysteries of the sea”, sottolinea come il romanzo sia anche una meditazione sul suicidio e sulla depressione di chi resta.

La vergogna è il sentimento dominante: Jay non è solo in colpa perché non ha detto addio a Mitt, è convinto di averlo in qualche modo spinto al gesto estremo. Il suo viaggio è una ricerca di espiazione che sfiora spesso l’autodistruzione.

Al tempo stesso, Kraus non trasforma il padre in un mostro. Mitt è un uomo violento, incapace di empatia, ma anche un malato terrorizzato, un lavoratore esposto per anni a sostanze cancerogene, un figlio di una cultura maschile in cui mostrare fragilità equivale a fallire. Il romanzo riesce a restituire questa ambivalenza: Jay ha bisogno di perdonarlo senza scusarlo, e di perdonare se stesso senza minimizzare le proprie omissioni.

Stile, struttura e rigore scientifico

Un romanzo scritto al microscopio

Una delle sorprese di “Whalefall” è quanto sia “fisico”. Il libro è stato spesso definito “scientificamente accurato”: Kraus ha consultato biologi marini e manuali di cetologia per rendere verosimile, per quanto possibile, l’esperienza di un essere umano dentro un capodoglio.

Il lettore si trova a passare attraverso quattro cavità gastriche, a seguire le contrazioni peristaltiche, a sentire l’acidità che corrode la muta, il peso dell’acqua intrappolata nello stomaco, l’odore di decomposizione del calamaro gigante divorato poco prima. Sono pagine che sfiorano il body horror, ma senza compiacimento: ogni dettaglio anatomico ha una funzione narrativa, mostra un ostacolo o suggerisce una possibile via di fuga.

Questa precisione rende credibile anche il conto alla rovescia. Ogni movimento consuma ossigeno, ogni errore può perforare la bombola o lacerare una tubatura. Il romanzo gioca continuamente con i numeri – minuti, bar di pressione, metri di profondità – ma lo fa in modo organico, quasi impercettibile: ci si ritrova a trattenere il respiro insieme a Jay.

Body horror, poesia e claustrofobia

Accanto al rigore scientifico c’è però un linguaggio fortemente immaginifico. Recensioni come quella di Books, Bones & Buffy parlano di una storia “heartbreakingly beautiful” e di una tensione “che non molla mai la presa”.

La prosa di Kraus alterna frasi brevi, quasi sincopate, nelle scene d’azione, a passaggi più lirici quando il ragazzo ricorda la superficie: la luce sulle onde, il rumore del compressore, il bordo della barca dove da bambino sedeva accanto al padre. La balena, per quanto ripugnante e minacciosa, viene spesso descritta con un rispetto quasi sacro: un “cattedrale di carne”, un “universo di muscoli e umidità” in cui il tempo sembra dilatarsi.

La struttura su due linee temporali – l’ora dentro l’animale e gli anni precedenti con Mitt – permette inoltre al romanzo di respirare, paradossalmente, proprio mientraschiaccia il protagonista. L’alternanza costruisce un ritmo quasi musicale: apnea nel presente, emersione nel passato, di nuovo immersione.

Premi, ricezione e adattamento

Un caso editoriale internazionale

“Whalefall” non è passato inosservato. Ha ricevuto una recensione di copertina sul New York Times Book Review, è stato inserito nella lista dei “Best Thrillers of 2023” del quotidiano, ed è stato scelto tra i migliori libri dell’anno da NPR, Amazon e Chicago Tribune.

Nel 2024 ha vinto l’Alex Award, il riconoscimento della YALSA che segnala libri per adulti particolarmente adatti anche ai giovani lettori, ed è stato finalista ai Los Angeles Times Book Prizes. In Italia, sta circolando come una delle uscite più interessanti del catalogo Ne/oN dedicato ai confini fra genere e letteratura, con recensioni entusiaste che ne lodano la miscela di adrenalina e profondità emotiva.

Non sorprende, quindi, che Hollywood si sia mossa in fretta. Prima ancora dell’uscita americana Imagine Entertainment – la casa di produzione di Ron Howard e Brian Grazer – ha opzionato i diritti; nel 2024 20th Century Studios ha vinto la guerra di offerte per la distribuzione e nel 2025 è stato annunciato il cast, con Austin Abrams e Josh Brolin nei ruoli principali.

Il romanzo sembra fatto per il cinema: spazio unico, tempo limitato, una voce fuori campo (quella di Mitt) perfetta per diventare elemento sonoro. Sarà interessante vedere come il film affronterà la parte più introspettiva senza sacrificare l’impatto fisico della situazione.

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