MILANO – Gli stage sono usati, nella maggior parte dei casi, come periodo non di apprendimento ma di sfruttamento. Ad affermarlo è Angelica Isola, giornalista 32enne alla Radiotelevisione svizzera e scrittrice, autrice de “Il muro. Vita precaria dei giovani tacchini”, un libro ironico e disincantato su disoccupazione e precariato giovanile in Italia che uscirà tra due settimane. Italiana ma emigrata per lavoro in Svizzera, l’autrice nell’opera approfondisce diversi argomenti di stretta attualità: disoccupazione, precariato, assenza di meritocrazia, cervelli in fuga, fallimento della politica, suicidio.
Quali sono i temi trattati all’interno del suo libro?
Tratto i temi del precariato, della disoccupazione giovanile e del disagio ai giorni nostri con un taglio ironico. Una necessità, considerato che l’argomento, al giorno d’oggi, è affrontato sempre nello stesso modo, con le stesse frasi (vuote) e con gli stessi giochi di ruolo. Nel libro penetro ironicamente nell’animo e nelle contraddizioni di chi vive il dramma del precariato e della disoccupazione, e lo faccio su di un immaginario muro attraverso le avventure di due giovani tacchini, emblema della vita precaria. Il disilluso e pungente Aceto Civetta, blaterante il vuoto di una vita derubata di orizzonti e prospettive, e il rivoluzionario all’amatriciana Brando Statobrado, cocciuto nel lasciare tracce di resistenza a bordo dell’italico Scarpone colato a picco. Due esistenze che, reincontratesi quasi per un destino fatale, si scontrano, si sfidano e a volte si mettono d’accordo, grazie anche a Charlie, scudiero sempre rassicurante, capo-branco operaio e socio di sventure.
Con uno stile quasi radiofonico e teatrale racconto di sogni, illusioni, inquietudini, paure, rabbia e voglia di riscatto di una generazione che ha perso il senso della vita e che non trova speranza. Inoltre, approfondisco la dilaniante realtà del doppio che esiste in ognuno di noi quando le circostanze lacerano l’unità dell’anima. E il precariato è una delle bombe che fa esplodere l’unità dell’anima. Lo so, perché vissuto sulla mia pelle. Di qui, la necessità impellente di parlare a chi sta vivendo in prima persona questo dramma, a chi lo vive da genitore attraverso le difficoltà di un figlio o a chi lo vive semplicemente da cittadino in una Italia “martoriata dal dolore”. Da tutto ciò il libro che ho scritto, perché di fronte alle ingiustizie bisogna alzarsi e dire basta.
Quale profilo del mondo del precariato emerge all’interno dell’opera?
Cominciamo col dire che ho scelto come emblema del precario: il tacchino. Animale spennato nel pubblico forno, alla mercé di avidi appetiti, aziende senza scrupoli, politici ciechi, cittadini addormentati… della serie belle addormentate e principi rincretiniti.
Il precario è prima di tutto un precario nell’anima e nel fisico. Questa è la condizione più pericolosa che il precariato, inteso come insicurezza lavorativa e dunque economica, crea. Un precariato che ha effetti gravissimi sulla mente e sul corpo di chi vive questo dramma.
Qual è lo stato d’animo che emerge dalla maggioranza dei giovani d’oggi di fronte a questo fenomeno?
Il mio libro non studia sociologicamente o statisticamente il fenomeno del precariato, ma vuole essere una testimonianza di vita.
Il mondo, specie in Italia, ha chiuso ogni spazio. Non c’è posto per i giovani, per quanto tutti ne parlino. La mancanza di certezze, l’assenza di radici, il senso di inutilità e il vuoto tolgono a un’intera generazione qualsiasi speranza nel futuro. Il nichilismo, di cui tanto si parla, diventa l’effetto più devastante di un mondo giovanile abbandonato a se stesso.
Eppure, più forte del declino, nel mio libro emerge la voglia di esserci, la certezza di avere qualcosa da dire.
La cocciutaggine di non essere gettati come un qualunque scarto nel bidone della spazzatura.
Il mio libro dunque a chi vuole resistere, nonostante tutto, e ridere un po’.
Parla a chi sente sgretolarsi dentro l’immagine di sé. A chi ha voglia di rinunciare, ma ancora tiene, a chi lotta dentro per mantenere in vita un bagliore di speranza e di futuro e a chi, invece, non ha altro da dare se non il suo cinico sguardo.
E’ di estrema attualità il fenomeno del precariato, basti pensare allo stagista morto a Londra pochi giorni fa dopo aver lavorato tre giorni di fila ed alle diverse denunce da parte di giovani stagisti che si sentono sfruttati e ai quali spesso vengono regalate illusioni. Cosa ne pensa? Creda dipenda maggiormente dagli enti privati e pubblici o è piuttosto un problema dal punto di vista legislativo?
Io parlo solo della situazione italiana. Non posso esprimermi sulla condizione inglese.
E’ drammaticamente sotto gli occhi di tutti: gli stage sono usati – nella maggior parte dei casi – come periodo non di apprendimento ma di sfruttamento. Vengono rifilati come se piovesse, senza criteri formativi, senza crescita e senza rispetto per la dignità dello studente che studente non è più da un pezzo e che vuole – ma non riesce – diventare un lavoratore. Gli è totalmente bloccato l’accesso al mercato del lavoro.
Non vi è dubbio che vengono regalate illusioni.
Ci troviamo di fronte chiaramente a un problema sia di cultura sia di norme legislative. Norme legislative totalmente sbagliate, tagliole per giovani e non solo.
Una situazione che però non è solo di questi ultimi anni. Il precariato giovanile esisteva in Italia già prima della crisi della zona euro. Allora però nessuno ne parlava, pochi lo vedevano e solo alcuni si indignavano. La crisi ha semplicemente amplificato questa condizione in cui ora annega una larga fetta della popolazione giovanile.
A mio parere poi c’è un altro elemento fondamentale per capire il problema. L’assenza totale di meritocrazia. Perché in Italia il precariato è così devastante? Perché abbiamo un tasso di disoccupazione giovanile alle stelle? Perché molti giovani italiani lasciano il loro paese e trovano “rifugio” altrove? Non solo perché le università non funzionano, non solo perché le leggi sono sbagliate…. ma soprattutto perché l’Italia è un paese che non si basa sul merito e sulle effettive capacità delle persone. La dimostrazione sono, con le dovute eccezioni, coloro che siedono in posti di comando.
26 agosto 2013
© RIPRODUZIONE RISERVATA