L’autore e giornalista presenta “Emilia la dolce”, il suo libro in uscita il 15 ottobre: parte dei proventi andranno al progetto per ricostruire la scuola materna di Medolla
MILANO – Vive e lavora a Milano da molti anni, ma non ha dimenticato la provincia di Modena dove è nato, un mondo fatto di gente che non si arrende mai, cui dedica il suo ultimo libro, “Emilia la dolce”, in uscita il 15 ottobre per Cairo Editore. Andrea Biavardi, autore e giornalista, direttore di riviste cult del Gruppo Cairo – For Men Magazine, Natural Style, Airone – parla del suo ultimo lavoro, i cui proventi saranno in parte destinati alla ricostruzione della scuola materna del comune di Medolla distrutta dal sisma, e dei suoi libri.
Come nasce l’idea di “Emilia la dolce”?
Questo libro nasce per raccontare casa mia, la provincia di Modena, che è sempre rimasta nei miei pensieri e nel mio cuore ed è di recente, in seguito al terremoto, entrata nel cuore e nei pensieri di tutti gli italiani. La riscoperta di questa provincia e dei suoi valori avviene attraverso la riscoperta dell’immaginario paese di Lambertone – non tanto immaginario in verità, visto l’evidente richiamo, che riecheggia anche nel nome, al mio paese d’origine, Spilamberto. L’occasione per il racconto viene offerta da una zia del protagonista, che secondo le disposizioni testamentarie alla morte gli lasciaun mazzo di carte del mercante in fiera dove sono raffigurati gli abitanti del paese, su ciascuna delle quali sono appuntati annotazioni e aneddoti scritti dalla zia stessa. È questo l’espediente per creare una galleria di personaggi e antichi mestieri, tra cui appunto “Emilia la dolce”, conosciuta da tutti come Dominique la Furia, donna di facili costumi che alla fine si redime. Ci sono poi l’imbianchino, l’acquaiolo, il birocciaio, ovvero il costruttore di carri, il meccanico e molti altri. È un libro divertente credo, una lettura piacevole: dodici storie ben scritte – ho curato molto l’aspetto linguistico –, duecento pagine che invitano a riflettere su un mondo che non c’è più, quello antico della provincia, che ci insegna e tramanda solidi valori. Non a caso è questo il mondo da cui attingono i politici quando vogliono parlare di una realtà positiva, esemplare nel bene.
Qual è il messaggio che vorrebbe trasmettere ai suoi lettori?
Vorrei appunto far conoscere la provincia com’era, fatta di esistenze semplici e di gente che non si arrende mai: l’emiliano è così, tenace e anche un po’ anarchico – “vero, aperto, finto, strano, chiuso, anarchico, verdiano”, canta Guccini. E si è dimostrato dopo il terremoto: gli abitanti del modenese si sono rimboccati le maniche e si sono rimessi a costruire, non hanno atteso o richiesto aiuti allo Stato.
Io, da emiliano, mi sono domandato come fare la mia parte. A Medolla l’associazione onlus Rock No War e il comune si sono impegnati in primis in un progetto congiunto per la ricostruzione della scuola materna, distrutta dal sisma: ho deciso così di pubblicare il libro e di destinare a questo progetto parte dei proventi.
Ci può anticipare qualche racconto in cui questo spirito trova rappresentazione?
C’è per esempio il racconto dedicato al meccanico: una storia vera. Nel luglio del Sessantasei, durante i mondiali di calcio disputati in Inghilterra, in occasione della sfida che vedeva la nostra nazionale opposta alla Corea del Nord aveva scommesso, contro tutto il suo paese riunito in un piccolo bar di provincia, sulla sconfitta italiana. Vinse la scommessa, e grazie alla fortuna accumulata comprò un capannone industriale facendosi piccolo imprenditore, uno dei tanti piccoli imprenditori dell’Emilia che funziona.
Chi sono i maestri a cui si ispira in questo libro dal punto di vista della tecnica di scrittura?
Idealmente cerco di rifarmi alla grandezza di scrittura di Piero Chiara. Tra i giovani autori direi Andrea Vitali: non mi dispiacerebbe essere definito “l’Andrea Vitali di Modena”.
In un suo precedente libro, “Fuori dal coro”, attraverso il racconto autobiografico ripercorre la storia recente dell’Italia: qual è l’immagine del nostro Paese che ne risulta?
Quella di un Paese che non si arrende. Al contrario di quello che spesso si dice, è un Paese che non si rassegna, che ha in sé le forze per reagire. In fondo, cosa vogliamo noi italiani dalla politica e dai governi? Che ci lascino fare. Chiediamo meno tasse perché ci lascino essere protagonisti in prima persona della nostra ripresa. Esattamente quello che sta accadendo in Emilia: il progetto di Medolla per ricostruire la scuola è un esempio di questo spirito di iniziativa. Ma anche a Mirandola, la preoccupazione principale delle persone è stata rimettere in piedi le aziende farmaceutiche, ancor prima che le proprie case.
Veniamo invece all’altro suo libro, “Sbuccia il maschio”: qui prende in considerazione una serie di falsi pregiudizi sulle pari opportunità tra i sessi, che secondo lei hanno fatto smarrire quello che dovrebbe essere il ruolo dell’uomo nella società. Qual è questo ruolo?
Il ruolo dell’uomo oggi, che è già molto diverso da quello che aveva nel 2002 quando è uscito il libro, non è più quello di mantenere da solo la famiglia, ma di lavorare e fare la sua parte perché anche la sua compagna sia nelle condizioni di lavorare a sua volta: lo stipendio della donna è diventata un’indispensabile fonte di sostentamento della famiglia. Ma questo non significa che si debba rinunciare alle differenze. I ruoli di uomo e donna sono complementari e si definiscono prima di tutto nel privato, all’interno della casa, della famiglia, nel rispetto della parità ma anche della differenza. Un padre può cambiare i pannolini ai figli, ma non è questo il ruolo fondamentale che gli compete: il suo compito è quello di rappresentare una figura di autorità, che sa dire no, mentre la madre deve incarnare una figura più gentile, più dolce.
Lei è anche direttore della rivista For Men Magazine: in base alla sua esperienza e conoscenza del pubblico maschile, gli uomini differiscono anche come lettori, nelle abitudini e nei gusti, dalle donne?
Sicuramente sì: le donne sono lettrici più attente, gli uomini molto più superficiali. In generale, l’uomo acquista più di impulso, la donna lo fa con cognizione di causa, e questo vale anche nella scelta e nell’acquisto di libri e giornali. La donna è un cliente più difficile, più esigente: per quel che riguarda i giornali, una donna valuta contenuto, forma, qualità delle immagini e delle fotografie. Non è un caso che le testate femminili siano molto più numerose di quelle maschili, perché c’è una domanda più ardua da soddisfare. E poi le donne leggono di più. Tutto questo trova riscontro nel fatto che la professione giornalistica si è molto femminilizzata: sono sempre di più le donne che esercitano questa professione e spesso lo fanno meglio degli uomini, perché prestano maggior cura ai dettagli.
Cosa ne pensa delle innovazioni apportate in campo editoriale dai nuovi media e dalla digitalizzazione?
Si parla spesso di integrazione tra cartaceo e digitale, di sostituzione del cartaceo a opera del digitale. Ma si tratta di falsi problemi: non è tanto importante il mezzo, quanto il contenuto. Probabilmente il futuro dei quotidiani è internet, perché si tratta di giornali che hanno una fruizione veloce, per cui la rete è per loro un canale di diffusione adeguato. Discorso diverso per i periodici, che hanno tempi di fruizione più lunghi. Ma al di là di questi discorsi, se il contenuto è valido, è indifferente il supporto su cui si legge. Il problema può essere semmai che i contenuti in rete sono più difficili da controllare: nel mondo di internet mancano ancora delle norme che regolino la comunicazione. E questo, a differenza di quanto sostenuto da Beppe Grillo, non fa della rete una realtà democratica, ma un surrogato della democrazia: nella democrazia bisogna darsi delle regole e rispettarle.
Il più grande editore al mondo, Rupert Murdoch, sta perdendo milioni di dollari nell’on line. Quanto agli ebook, si sta ancora aspettando l’idea geniale che faccia guadagnare gli editori: i vari device possono avere successo solo se si hanno idee e contenuti interessanti da mettere dentro a questi contenitori.
Quanto a me, da autore, spero naturalmente che “Emilia la dolce” abbia successo perché è un buon libro, indipendentemente dal formato in cui è venduto e dai canali su cui viaggia.
7 novembre 2012