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Andrea Bajani, ”Tabucchi ha incarnato il legame inscindibile tra vita e letteratura”

''Questo romanzo è la letteratura che si dona alla letteratura, l'omaggio massimo che si possa fare a uno scrittore''. Con queste parole Andrea Bajani, nel giorno del primo anniversario della morte di Antonio Tabucchi, ci presenta il suo ''Mi riconosci'', il libro con cui l'autore ha scelto di ricordare il grande scrittore e amico. Al termine dell'articolo è possibile leggere le prime pagine del libro in anteprima..

Nel giorno del primo anniversario della morte di Antonio Tabucchi, l’autore ci presenta “Mi riconosci”, il libro con cui ha voluto omaggiare l’amico scomparso

MILANO – “Questo romanzo è la letteratura che si dona alla letteratura, l’omaggio massimo che si possa fare a uno scrittore”. Con queste parole Andrea Bajani, nel giorno del primo anniversario della morte di Antonio Tabucchi, ci presenta il suo “Mi riconosci”, il libro con cui l’autore ha scelto di ricordare il grande scrittore e amico. Qui Tabucchi si fa personaggio, protagonista della finzione narrativa, dove Bajani fa confluire il racconto trasfigurato di un pezzo di vita trascorso insieme.

Qual è l’immagine di Antonio Tabucchi, come uomo e come intellettuale, che vorrebbe il lettore cogliesse dal suo libro?
Se c’è una caratteristica, propria forse a tutti gli scrittori, che Tabucchi incarnava in maniera particolare, questa è proprio l’inscindibilità tra la figura privata di uomo e quella pubblica di intellettuale, tra la vita e la letteratura. In lui i due ricordi, le due immagini si sovrappongono – per fortuna di tutti, perché questo vuol dire che la letteratura è qualcosa di talmente grande da poter inglobare la vita. L’immagine che, credo, meglio contiene in sé le due cose è l’immagine finale, quella degli ultimi giorni, di un uomo che pur essendo in grande difficoltà decide di dettare un racconto al figlio. Un racconto peraltro pieno di gioia, di luce e di ironia. Dentro questa immagine di una persona che se ne sta andando, ma che nonostante tutto ha ancora voglia di raccontare un’ultima storia sorridendo, c’è il Tabucchi uomo e scrittore che i lettori dovrebbero conoscere.


Qual è secondo lei il libro di Tabucchi che meglio lo rappresenta?

Tutti. Ogni libro racconta un pezzo del suo percorso. Posso dire invece quali rappresentano il mio Tabucchi preferito. Senza dubbio uno è “Requiem”, che paradossalmente è uno dei libri più importanti della letteratura italiana degli ultimi cinquant’anni ma è stato scritto da Tabucchi in portoghese, come omaggio alla sua seconda patria, ed è stato tradotto in italiano solo successivamente, non da lui. Lui l’aveva sottotitolato “Un’allucinazione”, e si tratta davvero di un viaggio tra la vita e la morte nel segno dell’esplosione, del trionfo della vita. “Mi riconosci” è un dialogo continuo con quel libro. Entrambi infatti sono libri sulla morte – la morte del padre in quello, la morte di un amico nel mio – e al contempo un inno alla letteratura. L’altro per me fondamentale è “Il tempo invecchia in fretta”, l’ultimo libro di racconti che Tabucchi ha pubblicato. Lì si avverte la grazia del pattinatore sull’abisso, la vita che si consuma e la persistente voglia di raccontare, di non accettare che il tempo si fermi.


Lei affida al suo libro il ricordo della sua amicizia con l’autore…

In realtà è qualcosa di più. Alla morte di Tabucchi, da un lato avvertivo un dolore profondo per la perdita di una persona fondamentale, dall’altro la volontà di rendergli omaggio. Avevo due alternative, o scrivere un ricordo vero e proprio – ma questo avrebbe voluto dire sacrificare qualcosa – oppure  omaggiare la letteratura attraverso la letteratura, e quindi dedicargli non un ricordo ma un romanzo. È quello che ho deciso di fare: scrivere un romanzo di cui lui, in una maniera assolutamente tabucchiana, sarebbe diventato il protagonista. “Mi riconosci” è la letteratura che si dona alla letteratura, l’omaggio massimo, dal mio punto di vista, che si possa fare a uno scrittore. Ho voluto regalare all’autore la possibilità di farsi personaggio, buttandolo a nuotare dentro la finzione. Ovviamente all’invenzione si intreccia la vita, il pezzo di vita passato insieme, che raccontato in un romanzo si trasfigura però in qualcosa di più: proprio perché si è liberi di fingere, si può raggiungere la verità.


Ci può raccontare qualche ricordo particolarmente prezioso che conserva?

È difficile scegliere. Conservo innanzi tutto i libri. Tra questi quello appena uscito, “Di tutto resta un poco”, una raccolta di saggi sulla letteratura e sul cinema composti nello stile tipico del grande scrittore, che quando parla degli altri autori li fa assomigliare tutti un po’ a sé. È questa l’impressione che si ha leggendo il libro, io e gli scrittori di cui Tabucchi parla sembriamo tutti suoi eteronimi.
E poi c’è una sua frase che mi viene in mente. Una volta, per scrivere una premessa, avrei dovuto fare un secondo viaggio in Russia, dove avevo già fatto un primo sopralluogo. In seguito però avevo avuto un problema di visto e non ero potuto partire. Una sera allora lui mi aveva detto: “Ma perché devi andare per forza nei posti per raccontare? Ma inventa!” Questo è un ricordo, ancora a metà strada tra la vita e la letteratura, che tengo particolarmente a conservare.

 

25 marzo 2013

 

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