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Alberto Malfitano e la storia degli inviati speciali, ”punta di diamante del mondo dell’informazione, una specie di cavalieri, molto individualisti, alla perenne ricerca della storia più bella da raccontare”

Alberto Malfitano, docente presso l’Università di Bologna, è autore, tra l’altro, del libro Scrivere in prima linea. Max David inviato speciale e corrispondente di guerra (Bononia University Press, 2014)...

Alberto Malfitano, docente presso l’Università di Bologna, è autore, tra l’altro, del libro Scrivere in prima linea. Max David inviato speciale e corrispondente di guerra (Bononia University Press, 2014).

 

Questa rubrica ospita, questo sabato, un autore particolare. Tutti gli autori, naturalmente, hanno le loro peculiarità: per formazione, per genere letterario, per appartenenza generazionale, per il modo in cui vivono la scrittura e la passione per la parola. Ma Alberto Malfitano si distingue da tutti gli autori intervistati finora perché non è un narratore. È uno studioso, insegna Storia contemporanea al Dipartimento di Scienze per la qualità della vita dell’Università di Bologna. Il libro che ha suscitato la mia curiosità non è dunque un romanzo, bensì un testo biografico, dedicato all’attività del giornalista Max David, corrispondente di guerra dal 1935 al 1943 e poi inviato speciale del Corriere della Sera fino agli anni Settanta.

Chiedo quindi al professor Malfitano − non nuovo a ricostruzioni biografiche − come è nato il suo interesse per il giornalista Max David.

È stato un incontro fortunato e in parte casuale. Alcuni amici bibliotecari di Cervia, la città romagnola dove Max David era nato, mi hanno segnalato la presenza delle carte del giornalista presso il loro archivio. Un veloce sopralluogo mi ha convinto dell’interesse di quei documenti e da lì è nata l’idea di una biografia di quello che stato uno dei corrispondenti di guerra e inviati speciali più letti e apprezzati nel giornalismo italiano del Novecento. Parliamo di un uomo che ha cominciato a lavorare a metà degli anni Trenta e ha raccontato al suo pubblico cosa accadeva fuori dai nostri confini fino agli anni Settanta, scrivendo su alcuni dei più diffusi quotidiani nazionali.

 

La ricostruzione storica è stata impegnativa, immagino, in termini di tempo e di approfondimento documentario. Come ha cercato e gestito il materiale riguardante Max David?

La caratteristica principale del fondo di Max David è quella di conservare – oltre alla sua personale biblioteca – le bozze dei suoi articoli e reportages da tutto il mondo, il che permette di avere sotto mano materiale che nel corso di una carriera durata più di quarant’anni è stato pubblicato su più di un periodico, spesso oggi non più esistente. Questo ha facilitato l’analisi, anche se, come tutte le ricerche storiche, ha richiesto una buona dose di pazienza e selezione, perché si tratta di migliaia di pezzi. A questo lavoro è stato necessario affiancare una serie di sondaggi in altri archivi, per esempio in quello del Corriere della Sera, a Milano, per avere un quadro il più completo possibile del suo lavoro. A me interessava particolarmente capire come lavorava un inviato speciale al seguito delle guerre fasciste e poi come lo stesso tipo di lavoro cambiasse nel dopoguerra, quando i conflitti da seguire non sono più quelli in cui il proprio paese è coinvolto direttamente ma diventano le tante guerre − dalla Corea al Vietnam, dal conflitto arabo-israeliano alla guerra d’Algeria − che caratterizzano la storia del pianeta nel periodo della Guerra fredda e della decolonizzazione. L’interesse naturalmente è legato a come − dalla dittatura alla democrazia − cambia il punto di vista del giornalista e come quelle storie venivano presentate al pubblico italiano. A lungo i giornali sono stati il luogo principale per avere informazioni e approfondimenti su ciò che avveniva in giro per il mondo e gli inviati speciali erano, e in parte sono ancora oggi, la punta di diamante del mondo dell’informazione, una specie di cavalieri, molto individualisti, alla perenne ricerca della storia più bella da raccontare.

 

Ha mai pensato di scrivere narrativa? E le capita di leggerne? Ha dei generi preferiti?

Ci ho pensato, ma mai davvero sul serio. Credo sia opportuno cercare di dare il meglio nel proprio lavoro, e ho la fortuna di fare già qualcosa che mi piace molto. I miei gusti variano dai classici come Tolstoj, che amo molto, ai polizieschi alla Camilleri.

 

Ci sono altri uomini di cultura di cui le piacerebbe approfondire il ruolo nel panorama del loro tempo?

La storia del giornalismo, che è uno dei miei filoni di ricerca, offre numerosi spunti. Più che a un singolo personaggio, mi piacerebbe rivolgere la mia attenzione a un determinato periodo e, visto che siamo nel 2014, dedicarmi alla stampa durante la Grande guerra potrebbe essere un’ipotesi di lavoro plausibile per i prossimi mesi.

 

Grazie per il suo tempo e le sue risposte.

Grazie a lei e ai suoi lettori.

29 novembre 2014

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