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Addio a Gabriel García Márquez, premio Nobel per la Letteratura e creatore di Macondo

''La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla'', ha detto una volta Gabriel García Márquez...

L’autore è morto ieri a Città del Messico. Il suo capolavoro, ”Cent’anni di solitudine”, è considerato il secondo romanzo più importante in lingua spagnola dopo il ”Don Chisciotte”

MILANO – ”La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla”, ha detto una volta Gabriel García Márquez. E lui di vita dietro a sé ne ha lasciata tanta, un fiume di meravigliose parole che continua a scorrere nel mondo anche dopo la sua morte,
sopraggiunta ieri a Città del Messico. La scomparsa dello scrittore premio Nobel colombiano è stata annunciata ieri dalla famiglia ai media. García Márquez aveva 87 anni, compiuti lo scorso 6 marzo.

IL VALORE DELL’OPERA DI MARQUEZ – Nato ad Aracataca il 6 marzo 1927, Gabriel García Márquez è il padre del realismo magico, genere che nelle sue opere raggiunge vette di inesplorata bellezza. Con il suo talento ha contribuito ad attirare l’attenzione mondiale sulla letteratura latinoamericana e nel IV Congresso internazionale della Lingua Spagnola del 2007, a Cartagena, “Cent’anni di solitudine” è stata votata come la seconda opera spagnola più rilevante che sia stata scritta, dopo soltanto il “Don Chiscitotte” di Cervantes. Il suo grande talento è stato premiato con il Nobel per la letteratura nel 1982. I giornali oggi si congedano da lui con grande cordoglio e gratitudine insieme per quello che García Márquez ha rappresentato: “Per sempre Gabriel” è il titolo che campeggia a tutta pagina sul quotidiano di Bogotá El Espectador.

L’ATTIVITÀ DI REPORTER – Giornalista e reporter,  García Márquez inizia a lavorare come reporter dopo aver abbandonato gli studi in giurisprudenza e scienze politiche a Bogotà, e dopo aver lasciato la città in seguito al periodo di disordini conosciuto come “La Violencia”, terminato con la dittatura di Gustavo Rojas Pinilla. Siamo nel 1948 e Gabriel García Márquez si trasferisce a Cartagena dove inizia a lavorare per El Universal. Tornerà a Bogotà nel 1954, dove lavorerà come critico cinematografico per El Espectador. Seguiranno viaggi a Roma, Parigi, Londra e Venezuela. A Cuba conosce Che Guevara e Fidel castro, con cui stringe un’amicizia che definisce più letterari che politica. Nel 1961 è a New York come corrispondente di Prensa Latina, poi, sentendosi sorvegliato dalla CIA e minacciato dai cubani immigrati anticastristi, decide di trasferirsi in Messico.

L’INTENSA PRODUZIONE LETTERARIA – L’esordio letterario è del 1955 con “Foglie morte”, seguito da “Racconto di un naufrago” e “La mala ora”. Nel 1962 arriva il suo capolavoro, “Cent’anni di solitudine”, grande epopea di un immaginario paese, Macondo, dalla sua fondazione per mano di José Arcadio Buendía e sua moglie Ursula fino alla sua fine. Il libro è un grande racconto d’amore, dolore, solitudine e vita, una grande allegoria umana in cui si succedono e si intrecciano le storie di numerose generazioni di personaggi della famiglia Buendía, che condividono tutti la medesime dannazione: il seme della pazzia. Tra loro anche l’indimenticabile Remedios la Bella, angelo dall’ineffabile bellezza che in una delle scene più grandi della letteratura viene rapita in volo verso il cielo. Amore, morte e follia umana tornano in tutti i romanzi di García Márquez, da “L’autunno del patriarca” a “Cronaca di una morte annunciata”, a “L’amore ai tempi del colera”, a “Memoria delle mie puttane tristi”. Intensissima anche la sua produzione di racconti e saggi.
“Non si muore quando si deve, ma quando si può”, scriveva il grande autore. E lui merita di congedarsi sereno da un mondo al quale ha regalato tanto. Arrivederci Gabo.

18 aprile 2014

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