Omar El Akkad, reporter e narratore tra i più autorevoli della sua generazione, rompe il silenzio occidentale e non risparmia nessuno con “Un giorno tutti diranno di essere stati contro” — titolo originale “One Day, Everyone Will Have Always Been Against This” — pubblicato in Italia da Gramma/Feltrinelli.
Partendo da un tweet del 25 ottobre 2023, mentre Gaza era travolta dai bombardamenti:
“Un giorno, quando non sarà più pericoloso chiamare le cose col loro nome […], tutti diranno di essere stati contro”
Una frase che ha raccolto oltre dieci milioni di visualizzazioni e che ha non solo ispirato il titolo, ma anche il concept del libro di El Akkad.
L’autore costruisce un memoir-saggio che è una confessione storica dirompente concentrata sulla libertà e sulla democrazia occidentale come linea borderline che divide le ingiustizie.
Il suo scopo è illuminare le parti buie, fare un focus su ciò che si nasconde. Come scrive The Guardian, “mettere al centro chi in Occidente tace è un gesto di resistenza”.
Una rottura annunciata: il memoir “che non risparmia nessuno”
Il libro è strutturato come una serie di saggi collegati, dove El Akkad mescola ricordi personali che vanno dal Cairo al Qatar fino al Canada, reportage e riflessioni storiche, in un lavoro che Washington Post definisce un “muscular broadside against the Western machinery that dehumanizes victims of violence”.
El Akkad ammette di aver perso la fiducia nell’Occidente dopo i bombardamenti massicci a Gaza, rifiutando di contestare l’uso del termine genocidio , che per lui è una realtà tangibile, non una mera affermazione retorica.
I temi su cui il libro insiste “Un giorno tutti diranno di essere stati contro”
Uno dei nuclei più potenti del libro è l’accusa all’empatia selettiva dell’Occidente. Il Washington Post riporta la domanda provocatoria dell’autore, che scrive che i bambini di Gaza, della Siria o del Sudan “Sembrano i figli di qualcun altro”, e che questa percezione è il primo passo verso l’indifferenza. Il messaggio è semplice e radicale: non esistono figli di qualcun altro. Ogni vita ha lo stesso valore, ma la narrazione dominante decide quali dolori meritino spazio e quali possano essere ignorati.
È una deviazione netta dalla logica “noi” / “loro”, dove ogni vita umana dovrebbe valere allo stesso modo, ma non lo fa…
C’è poi la critica alla neutralità giornalistica: dopo anni di lavoro sul campo, El Akkad conclude che il giornalista non può essere neutrale di fronte alla violenza e all’ingiustizia.
“Il silenzio, soprattutto da parte di chi ha una piattaforma, è una forma di complicità”. Una posizione che ribalta il dogma professionale e che, secondo The Guardian, rende il libro un gesto di rottura anche verso il proprio passato professionale; e ancora che il libro è “un’esame catartico dell’ipocrisia occidentale”, dove El Akkad mette la sua storia di esiliato al servizio di un’urgenza morale che smaschera la neutralità come lusso inumano.
Accoglienza internazionale: una voce come gesto politico e umano
Il New York Times Book Review ritiene che El Akkad non voglia persuadere, ma scuotere: “un grido disperato ma eloquente contro la nostra tolleranza per le calamità altrui” e The Guardian parla di un “ritaglio netto dall’illusione che il liberalismo occidentale abbia mai significato qualcosa”.
L’autore come protagonista della sua stessa rottura
Omar El Akkad è nato al Cairo, cresciuto tra Doha e il Canada e ora vive negli Stati Uniti. Ha lavorato come cronista per Globe and Mail su Afghanistan, Guantánamo e prima Primavera Araba.
Il suo debutto in narrativa, American War (2017), e il successivo What Strange Paradise (2021), hanno posto l’attenzione su distopie americane e tragedie migranti. “ Un giorno tutti diranno di essere stati contro” è invece il suo primo libro di non-finzione, in cui fa i conti con la propria identità e la promessa occidentale attraverso il prisma della rottura morale .