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A Collisioni, il Premio Pulitzer Michael Chabon ”Odio le barriere culturali”

DAL NOSTRO INVIATO A BAROLO - โ€œGrazie, sono Elton John e sono felice di essere quiโ€: tenta subito di sdrammatizzare, Michael Chabon, salendo un poโ€™ in ritardo sul palco sotto il castello di Barolo (riuscendoci a metร ; il forfait del baronetto di Sua Maestร  non รจ stato facile da digerire, per gli organizzatori). Il pubblico del V festival di Collisioni reagisce con una risatina...
BAROLO – “Grazie, sono Elton John e sono felice di essere qui”: tenta subito di sdrammatizzare, Michael Chabon, salendo un po’ in ritardo sul palco sotto il castello di Barolo (riuscendoci a metà; il forfait del baronetto di Sua Maestà non è stato facile da digerire, per gli organizzatori). Il pubblico del V festival di Collisioni reagisce con una risatina. 
 
La piazzetta è piena e lo scrittore americano, in Piemonte per la prima volta, ne approfitta per sfoggiare l’italiano che ha imparato ai tempi dell’università. Nato a Washington, residente a Barkley e sposato con una scrittrice, Chabon è uno di quelli baciati dal successo fin dall’inizio: il suo primo best seller è stato I misteri di Pittsburgh, scritto come tesi per il master e divenuto un film. Da allora il lavoro di scrittore, tra ovvi alti e bassi, gli ha regalato un Pulitzer alla narrativa per Le fantastiche avventure di Kavalier e Clay e tante soddisfazioni. 
 
I critici gli riconoscono da sempre una prosa brillante, capace di trattare con una vena comica situazioni ricche di pathos o di ribaltare gli stereotipi: “Ad esempio – spiega – il personaggio più educato è una donna nera nata in una famiglia benestante mentre quello con maggiori disagi è un bianco ebreo che viene dalla Virginia”. Come nel suo ultimo libro, “Telegraph Avenue”, che ha presentato sabato al pubblico di Barolo: il titolo si rifà alla strada che unisce le città californiane di Oakland e Berkeley, l’una tradizionalmente abitata da afroamericani e l’altra con l’università che calamita ricchi bianchi bohemienne. 
Mondi connessi e apparentemente distaccati, in realtà divisi da linee sfumate. Nel romanzo, poi, riuniti da una geometria di relazioni e problematiche speculari, che toccano i grandi temi della paternità e della presa di coscienza dei personaggi. Barba e chioma brizzolata, occhiale da nerd – ormai di moda –, Michael Chabon è apparso al lato del palco come Houdinì in completo bianco, decisamente sdrammatizzato da camicia a righe e cravatta a pallini. “Non mi piacciono le barriere e i muri”, ha detto spiegando la scelta di ambientare la trama praticamente nel luogo in cui vive. “Mi piacciono le culture che si mixano, e la cosa che mi piace del posto dove vivo è che i confini sono tremolanti. Questo meticciato è già una storia che vale la pena di essere raccontata”. 
La storia, nella fattispecie, prende corpo nelle vicende dei soci/amici Archy e Nat – l’uno afroamericano, l’altro bianco – titolari di un negozio di dischi in vinile specializzato in musica degli anni 70. “Soul jazz e jazz funk”, precisa l’autore, che si fregia di aver scelto questa sottocategoria del solito e onnipresente jazz “per non tediare la gente e per creare dei dialoghi nel negozio”. Anche questo dettaglio gli viene dall’esperienza: “Sono cresciuto con la musica nera degli anni ’70. E anche questa era un motivo di integrazione razziale”. “E poi – continua – ci voleva un cambiamento dentro il libro, per non tediare. E su suggerimento di mia moglie che mi diceva non dimenticare le donne ho messo le levatrici”. Già, perché le protagoniste femminili, Gwen e Aviva, rispettivamente mogli di Archy e Nat, fanno nascere i bambini per mestiere. In casa, come una volta. “In questo senso, nonostante siano cose positive, sia vendere vinili che essere ostetriche sono pratiche obsolete perché ora si nasce in ospedale e i dischi non si usano più. Sono cose per pochi”, spiega Chabon. 
 
E questo porterà nella narrazione a una serie di problematiche, che metteranno in discussione i protagonisti. Sicuramente la professione di Gwen e Aviva darà luogo a una delle scene più drammatiche del libro. Oltre ad altre figure già presenti nelle trame dell’autore, come personaggi gay o ebrei, Teleghraph Avenue si è fatto notare per il cameo assegnato a Barack Obama, allora (2004) solo giovane aspirante al Senato. “Ma il presidente sta flirtando con Gwen nella scena della serata elettorale?”, chiede Sergio Dogliani, moderatore dell’incontro. “Si, un pochino”, ammette l’autore. “Ma – chiarisce – date le circostanze pubbliche, lui era al riparo da trasgressioni eccessive. Alla fine Obama era uno a cui piaceva farlo, con tutti, prima di essere presidente”. 
 
Il dialogo tra i due, nonostante l’ovvietà delle parole, cambia il modo di vivere di Gwen e le fa rivedere la sua missione professionale, volgendo i suoi servigi alle donne di colore di Oakland. Di questa professione, così particolare, Chabon si è accorto “professionalmente” alla nascita del suo secondo figlio. “Ammiro chi fa il lavoro con senso di missione” come le due protagoniste, dichiara: “Tranne quando sono scrittori”, ovviamente. Per lui, infatti, che ha scelto la professione da bambino per amore dei libri che leggeva, i romanzieri non devono avere fini apologetici o propagandistici. “Ovviamente rimane una professione, fatta per portare il pane a casa”, chiarisce pragmatico. E l’obiettivo, alla fine, è stupire. Perché? “Perché è la cosa che vorrei leggere”, ovviamente.
 
Eva Alberti 
 
7 luglio 2013
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