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8 marzo, ”Lettera a mia figlia” di Francesca Barra

Cara Emma Angelina, come ogni anno, in prossimità dell’otto marzo, mi chiedono di scrivere qualcosa sulla festa della donna. E, come ogni anno, io specifico che per me non esistono giorni commemorativi potenti se festeggiati singolarmente

Cara Emma Angelina,

come ogni anno, in prossimità dell’otto marzo, mi chiedono di scrivere qualcosa sulla festa della donna. E, come ogni anno, io specifico che per me non esistono giorni commemorativi potenti se festeggiati singolarmente. Non esiste niente di più forte dela nostra memoria, quando allenata, ed utilizzata ogni giorno.

 

Ad agosto sono diventata tua madre, mamma di una donna. E ho pensato come avrei potuto proteggerti, difenderti, ma anche fornirti le armi per poterlo fare da sola. Soprattutto.

Come avrei potuto tramandarti l’orgoglio di un genere, ma anche l’emancipazione per non considerarlo mai un alibi.

 

Come avrei potuto mostrarti la bellezza, senza che ne diventassi schiava, ma generatrice fiera e gentile.

Come avrei potuto spingerti a fidarti delle donne, delle amiche, perché la complicità e l’altruismo sono la base della nostra vita.

 

Eleonora Duse, attrice teatrale, nel 1885, disse:” Io non guardo se hanno mentito, se hanno tradito, se hanno peccato – o se nacquero perverse – perché io sento che hanno pianto – hanno sofferto per sentire o per tradire o per amare… io mi metto con loro e per loro e le frugo, frugo non per mania di sofferenza, ma perché il mio compianto femminile è più grande e più dettagliato, è più dolce e più completo che non il compianto che mi accordano gli uomini. ”

 

Ecco. Non giudicarti, non giudicare. Diventa tassello del puzzle di una generazione che non si vuole far del male. Ma vuole contribuire al cambiamento.

Farai fatica, sarà difficile, ti scontrerai con invidie banali, recriminazioni, cattiverie. Persone che equivocheranno la tua accoglienza, uomini che non ti tratteranno come io sogno per te, da quando sei nata.

Ma oggi anche il Papa in un’intervista ha detto che le donne sono fondamentali nei luoghi di decisione, ma non devono diventare promozioni di tipo funzionale.

 

Ecco.

Guadagna il tuo posto nel mondo. Investi il tuo talento, impegnati. Non aspettare l’offerta, ma proponi il tuo sguardo. Non ho mai creduto che le “quote rosa” potessero risolvere l’isolamento e le difficoltà reali delle donne. Ma sono un passo. Un piccolo passo di riconoscenza. La verità, qualche volta, si nasconde nel mezzo.

 

Sii gentile Emma Angelina. Davvero. Non cedere alla fascinazione dell’aggressività, perché non diventerà potere. Aderisci ad un progetto, prendi posizione, lascia da qualche parte la tua firma (che non sia sui muri, però…altrimenti mi toccherà pulirli con te).

 

Non svilire il tuo corpo. E’ la nostra divisa. Una delle poche che ho accettato di indossare. Ma non permettere che venga strumentalizzato, mortificato. E’ la tua ombra, non la tua essenza. Ecco, cosa posso fare per te, in questo otto marzo. Posso dedicarti la mia libertà, trecentosessantacinque giorni l’anno.

 

Porti il nome delle mie nonne: Emma, che ha novantadueanni e ancora oggi, vive da sola, mi racconta storie, tira la sfoglia e mi fa trovare, a Bologna, nella sua città, i tortellini perché sa che li amo.

Ha vissuto due guerre. Quella che si perde quando ti uccidono un padre e vedi i tuoi amici cadere sotto i proiettili del nemico, e quella personale, quando l’amore della tua vita, ti delude.

 

Ma lei, la nonna dagli occhi viola, non ha mai smesso di amarci tutti. Di seguirci, di sostenerci.

E indossi il nome di mia nonna Angelina, calabrese, famiglia di gioiellieri. Suo marito fu catturato ad Addis Abeba, finì per sei anni 
nei campi di prigionia inglesi in Kenya. E lei, con suo figlio Gabriele di appena tre anni, fu internata in un campo profughi e rimpatriata, dopo un 
lunghissimo viaggio,  con una nave della Croce Rossa internazionale. 
Vittorio, di cui non si ebbero più notizie per molti anni, rientrò in 
Italia soltanto nel 1946.
 Ma ormai il suo progetto di vita si era infranto e si ritrovarono 
senza più nulla fra le mani, solo qualche gioiello di famiglia. Le 
donne di famiglia cercarono di ricucire le delusioni dei mariti. 
Rimboccandosi le mani come poterono. Senza rivendicare la solitudine a 
cui erano state sottoposte con la guerra, i disastri, la povertà improvvisa. Angelina aveva studiato un’acconciatura strategica al 
fine di non far scoprire ciò che nascondeva. Le avevano requisito quasi tutto. Ma lei riuscì a trattenere alcuni gioielli che si trovavano nella in Etiopia. E li infilò fra i 
capelli. Aveva raccolto fra essi ciò che restava della sua vita. Fu grazie alla sua 
abilità che, ritornati, poterono ristabilire delle basi su cui 
rimettere in piedi le loro attività in Calabria. Vendendo quell’oro. I nonni erano infatti orafi da generazioni. Disegnavano gioielli. Mio nonno sapeva riparare orologi di 
ogni tipo, intarsiava il legno con disegni che non ho mai più ritrovato 
in nessuna bottega antica. Figurarsi in quelle contemporanee. E ci 
riuscirono con sacrificio, dolore, voglia di ricominciare. Come se non 
vi fosse nessuna alternativa possibile. Al lavoro, intendo.

 

Le storie Emma Angelina… E’ nelle storie che risiede la nostra verità. Sii custode e testimone. Ama la terra, le tradizioni, le tue origini. Ama il prossimo. Ama te stessa. Sono fiera di avere avuto una bambina. Sono curiosa di vederti donna. Auguri, oggi e per sempre,

 

Mamma,

Francesca

 

Francesca Barra

 

Giornalista, inviata di Matrix, conduttrice su Radio 1 del programma “La bellezza contro le mafie” e autrice di diversi libri in cui si è occupata di mafia e di donne

 

 

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