Quando la realtà diventa insopportabile, perché troppo rigida, caotica o dolorosa, sappiamo che l’uomo è portato a fuggire via; ma la fuga non è solo un atto fisico, bensì la volontà di rompere con il ruolo che ci è stato imposto per cercare un sé autentico in un luogo, o in una mente, diversi da quelli imposti o conosciuti.
6 libri in bilico tra fuga e identità
Questa selezione di sei libri è un’indagine su questa necessità di esilio interiore ed esteriore. In “Paprika” di Tsutsui, la fuga è letterale: si entra nel mondo dei sogni, dove i confini tra sé e realtà si annullano, mettendo in crisi l’identità. Ne “I sentieri degli aghi di pino” di Corona, la fuga è il ritorno al silenzio e alla saggezza della natura, contro il frastuono della modernità.
La lotta per l’autenticità si manifesta in modo diverso: per i giovani di Guccini (“Romeo e Giulietta 1949”) e i militanti di De Robertis (“Un amore socialista”), l’amore diventa la via di fuga per sfuggire al determinismo storico e ideologico. L’esilarante casualità di Jonasson (“Il contrabbandiere innamorato e l’acqua della vita”) suggerisce che la libertà si trova accettando il caos, anziché cercando il controllo. Infine, in “Io Esisto” l’esigenza è di affermare l’identità contro l’invisibilità. Tutti questi libri celebrano lo stesso diritto inalienabile: il diritto di essere altrove per ritrovare finalmente se stessi.
“I sentieri degli aghi di pino” di Mauro Corona
Ne “I sentieri degli aghi di pino” di Mauro Corona, l’esilio è invece un ritorno. Due fratelli cresciuti tra le montagne si separano di fronte al progresso: lei sceglie di difendere la Natura con ostinazione quasi religiosa, lui la trasforma in profitto. In questo conflitto si specchia il mondo di oggi: chi sacrifica il proprio benessere per coerenza e chi sacrifica la propria coscienza per sopravvivere.
Mauro Corona, con la sua voce ruvida e poetica, racconta una parabola sulla responsabilità e sull’eredità morale.
Ne “I sentieri degli aghi di pino”, la Natura diventa misura del sacrificio: quella di chi rinuncia al profitto per amore del mondo, e di chi scopre troppo tardi che ogni taglio — di un albero, di un legame, di una memoria — ha un prezzo. Un romanzo sull’equilibrio fragile tra vita e avidità, progresso e perdita.
“Romeo e Giulietta 1949” di Francesco Guccini
La fuga di “Romeo e Giulietta 1949” di Francesco Guccini è la più dolce e la più dolorosa: quella dall’infanzia. Ci troviamo in Emilia, nel 1949. La guerra è finita, ma le sue ombre restano nelle case, nei silenzi, nei sospetti.
In un’Italia che tenta di risorgere dalle macerie, il piccolo Francesco lascia i monti per scoprire la pianura e i segreti dei grandi. È un bambino curioso che ha appena terminato le elementari, che accompagna la madre in visita agli zii, lontano dai monti della sua infanzia e scopre un mondo diverso: una città piccola ma animata da contraddizioni, dove il dopoguerra è ancora una lotta tra ideali, ferite e sogni. L’amore e la politica, la fede e la menzogna, gli si presentano come linguaggi nuovi, e per capirli dovrà abbandonare la purezza dello sguardo infantile.
In quell’atmosfera sospesa, tra portici e castelli, Guccini costruisce una storia che è insieme romanzo di formazione e affresco politico: la vita di provincia come laboratorio di un’Italia che cerca di rinascere.
Nell’edificio dove alloggiano gli zii, Francesco osserva adulti divisi tra fede e partito, fascismo e democrazia, e si imbatte in segreti che ribaltano la sua innocenza: due inquilini che tramano nell’ombra, una famiglia che non ha mai rinnegato il proprio passato. Il ragazzo impara così che crescere significa scegliere, anche quando le scelte fanno male. Con ironia e tenerezza, Guccini racconta la fine dell’infanzia come il primo sacrificio necessario all’esistenza: la perdita dello sguardo puro per conquistare quello consapevole. Romeo e Giulietta 1949 è un inno alla memoria e al disincanto, dove l’amore e la storia condividono lo stesso cuore fragile: quello di chi continua a credere.
“Il contrabbandiere innamorato e l’acqua della vita” di Jonas Jonasson
Svezia, 1852. Algot Olsson eredita dal padre un campo di patate e un vecchio alambicco traballante. Sembrerebbe il destino di un uomo qualunque, se non fosse che, da quel poco, Algot riesce a creare un liquore miracoloso: un distillato capace di cancellare la fatica e accendere la speranza dei lavoratori. Ma in un Paese dove l’alcol è monopolio dei nobili, la sua scoperta diventa un atto di ribellione.
La sua fuga non è verso l’alto, ma verso l’imprevisto: accettare il caos, rischiare tutto per un’idea di giustizia. Inseguito da un conte vendicativo, Algot trasforma il contrabbando in un gesto politico e il desiderio di libertà in una forma di amore: per la vita, per la giustizia, e per Anna Stina, la giovane donna che ne condivide il sogno.
Con la consueta ironia, Jonas Jonasson intreccia favola e satira sociale, raccontando come la felicità possa nascere anche dal rischio e dall’imperfezione. Il sacrificio di Algot non è solo economico o legale: è la rinuncia alla sicurezza per inseguire un’idea di mondo più equo, in cui persino una bottiglia di liquore diventa simbolo di dignità e resistenza. “Il contrabbandiere innamorato e l’acqua della vita” è una parabola luminosa sull’ingegno umano e sul prezzo della libertà — un brindisi alla follia di chi sceglie di vivere davvero, anche quando tutto sembra condannarlo.
“Un amore socialista” di Pierfrancesco De Robertis
In “Un amore socialista” di Pierfrancesco De Robertis, la fuga è ideologica e sentimentale. È il febbraio 1884, quando Anna Kuliscioff lascia la Russia zarista per inseguire la libertà e trova a Napoli, accanto a Filippo Turati, un amore che diventa missione.
Uniti da una visione comune e da un affetto profondo, insieme fondano la Critica Sociale e gettano le basi del Partito Socialista Italiano, lottando contro un sistema che esclude le donne dalla storia. Il loro sacrificio è politico ma anche umano: rinunciare a una vita privata per dedicarsi a un sogno collettivo.
De Robertis racconta una passione che è anche battaglia, dove amare significa rinunciare a sé per qualcosa di più grande. Anna e Filippo incarnano il sacrificio come forma di esistenza: la prima, esclusa dal Parlamento in quanto donna, combatte per dare voce a chi non ne ha; il secondo, consumato dal dubbio e dalla malattia, trova in lei la forza di resistere. Un amore socialista intreccia sentimento e impegno civile, mostrando come il desiderio di cambiare il mondo implichi sempre una perdita — ma anche una forma più alta di libertà.
“Io esisto” di Holly Bourne
In “Io esisto” di Holly Bourne, la fuga è silenziosa e quotidiana. Paige ha imparato a sopravvivere restando invisibile. Al liceo, osserva in silenzio le crudeltà quotidiane di Grace e delle sue amiche, ma non reagisce. L’abitudine al silenzio è diventata una corazza: parlare significherebbe esporsi, perdere la fragile protezione dell’anonimato.
Ma la sua ribellione comincia da una frase scritta a margine dei libri della biblioteca: io esisto. Da lì, il percorso verso la voce e l’amore diventa un rito di passaggio. Per ritrovare se stessa, Paige deve perdere la paura di disturbare, di occupare spazio, di essere vista. Bourne mostra che anche la normalità può essere un esilio — e che uscire dal silenzio è il più coraggioso dei ritorni.
Holly Bourne scrive un romanzo di formazione coraggioso e intimo, dove il sacrificio non è fisico ma emotivo: per essere davvero sé stessa, Paige deve rinunciare al ruolo che la proteggeva — la ragazza silenziosa, la figlia che non dà problemi, l’amica che non disturba. La scoperta dell’amore, con la sua tenerezza imperfetta, diventa una rivoluzione interiore: non una fuga, ma il primo passo verso l’autenticità. Io esisto parla di visibilità come atto politico e di vulnerabilità come forza, raccontando cosa significhi scomparire per paura e rinascere a voce alta, quando finalmente si sceglie di non chiedere più scusa per il proprio spazio nel mondo.
“Paprika” di Tsutsui Yasutaka
In “Paprika” di Tsutsui Yasutaka, la fuga è mentale e vertiginosa. Il libro è ambientato a Tokyo, dove Chiba Atsuko, brillante psicoterapeuta, lavora a un progetto rivoluzionario e si immerge nel subconscio dei pazienti grazie a un dispositivo che permette di entrare nei loro sogni per curarne i disturbi.
Ma per entrare in quel mondo onirico e pericoloso deve rinunciare a se stessa: si trasforma in Paprika, la sua controparte segreta, un alter ego seducente e libero da ogni vincolo morale. Quando il confine tra sogno e realtà si incrina, Atsuko capisce che per salvare gli altri dovrà sacrificare la propria identità, spingendosi sempre più a fondo nel subconscio collettivo, fino a confondersi con la propria creazione.
In “Paprika”, Yasutaka Tsutsui fonde thriller psicologico, fantascienza e riflessione filosofica sulla mente umana.
Il sacrificio del sé diventa il prezzo della conoscenza: Atsuko perde la propria identità per salvare quella altrui, mentre i sogni si ribellano ai loro padroni e l’immaginazione diventa un campo di battaglia. Costellato di dialoghi surreali e visioni ipnotiche, il romanzo mostra come la mente, quando tenta di guarire se stessa, finisca per consumarsi. Dietro la maschera di Paprika si nasconde la domanda più antica: quanto possiamo spingerci dentro di noi senza dissolverci del tutto?