5 libri che raccontano la maternità in modo scomodo e potente

6 Settembre 2025

Cinque romanzi che raccontano la maternità con forza e verità: senza cliché, senza retorica. Solo parole che fanno male — e bene — allo stesso tempo.

5 libri che raccontano la maternità in modo scomodo e potente

La maternità, spesso descritta come unico traguardo femminile e raccontata attraverso immagini rassicuranti, non è da tutte considerata allo stesso modo; eppure, quella che dovrebbe considerarsi una semplice “opinione personale” diventa terreno fertile per battaglie ideologiche che minano il perpetrare della specie umana.

La maternità come scopo

Le donne che si azzardano ad andare contro questo ideale di “donna che genera” e di “madre che cura” vengono idealmente inseguite con torce e forconi, bistrattate, isolate, insultate. Alle volte viene detto loro “È una fase, crescendo cambierai idea”, ma se questa crescita è ormai avvenuta la situazione si complica.

“Morirai sola!”

Essere madri può significare anche sentirsi obbligati a generare una vita come “bastone della vecchiaia” per non sentirsi soli; ma chi si rifiuta di farlo per un motivo simile si sente rispondere spesso con frasi catartiche in stile “Ricordati che devi morire!” e “Chi si prenderà cura di te un giorno?”

Il corpo femminile

La verità è che il corpo femminile cambia durante la gravidanza e una donna può sentirsi in colpa, non riconoscersi più, vivere la maternità come un dovere imposto dalla società o una prigione. Una donna può si amare la vita che verrà, ma può anche non amarla e desiderare scappare. Ci sono libri che hanno avuto il coraggio di raccontare questa parte invisibile della maternità, quella che non si mostra nei post social o nei manuali di self-help.

Oggi abbiamo selezionato per voi cinque romanzi che parlano proprio di questo, tra prosa e introspezione, e che mettono a nudo una verità spesso troppo nascosta.

L’evento” di Annie Ernaux

Un romanzo breve, crudo e necessario che scuote e divide. Un memoir dove la futura Premio Nobel racconta il proprio aborto clandestino, avvenuto nella Francia del 1963, quando la legge proibiva qualunque interruzione di gravidanza.

È molto più di un racconto autobiografico: è un documento sulla solitudine delle donne, sulla violenza delle istituzioni, sull’umiliazione della colpa indotta.

Tra le pagine, Ernaux ripercorre i giorni in cui, studentessa brillante e piena di sogni, scopre di essere incinta, e si trova ostacolata da tutto e tutti — partendo dai medici e finendo con la società stessa — nel suo percorso di non accettazione.

La sua prima reazione non è la gioia, ma un’angoscia assoluta: lei non vuole diventare madre, ma tutto ciò che la circonda la spinge nella direzione opposta: quella dell’obbedienza, del silenzio, della punizione.

Inizia così un pellegrinaggio spietato tra dottori che si rifiutano di aiutarla, conoscenti che la giudicano, e un corpo che diventa terreno di conflitto.

La scrittura è asciutta, chirurgica e quasi priva di emozione, dove l’autrice ripercorre il trauma senza commiserarsi mai, ma con lo scopo ultimo di riportare i fatti, i pensieri, i ricordi con la stessa lucidità con cui si guarda una ferita aperta. Lei non cerca empatia: cerca verità.

“L’evento” è una discesa nell’isolamento. Nessuno può o vuole aiutarla, nessuno la ascolta davvero: eppure lei resiste, testarda e sola, fino alla fine, quando un aborto clandestino rischia di ucciderla. Solo allora, nel letto di un ospedale, la società si ricorda che è una persona. Ma Annie Ernaux ha ormai conosciuto il fondo.

Questo libro non parla di maternità nel senso canonico: è quella imposta e ancora quella che priva della libertà di scelta attraverso il prossimo.

Fammi sapere se vuoi fare un approfondimento anche su Respiro o A pegno – sono romanzi perfetti per essere articolati con riferimenti stilistici, simbolici, e legati alla scrittura femminile.

I figli che non voglio” di Simonetta Sciandivasci

“I figli che non voglio” raccoglie una serie di voci di donne italiane che hanno scelto — con consapevolezza, fatica o leggerezza — di non diventare madri. Un libro necessario, corale, politico e intimo allo stesso tempo che cerca di non alzare muri, né bandiere ideologiche, ma prova a lasciar parlare le esperienze dell’una e dell’altra.

Non ci sono slogan, né ricette universali. Solo testimonianze personali, ciascuna con la propria traiettoria: chi ha sempre saputo di non voler figli, chi lo ha deciso tardi, chi ha dovuto giustificarsi mille volte, chi è ancora combattuta, chi ha subito pressioni familiari, morali, professionali. Tutte donne diverse che riflettono sulla maternità come destino imposto, come desiderio assente, come scelta invisibile. Dopotutto lo abbiamo detto anche nell’introduzione dell’articolo: non esiste un motivo univoco per avere o non avere figli.

Il risultato è un libro che rompe il tabù della “non maternità”, quella che spesso viene vista come egoismo, carenza, errore da correggere. Ma qui non c’è nulla da correggere: solo storie da ascoltare con rispetto.

Ogni pagina rivela la forza di una decisione libera, ma non per questo priva di dubbi o dolore. E mostra che non voler essere madre non significa non amare, non dare, non “creare”.

È un libro che parla soprattutto a chi non si è mai sentita rappresentata nei discorsi pubblici sulla famiglia, a chi è stanca di sentirsi “incompleta”, “sbagliata”, “in ritardo”. Ma è anche un invito all’ascolto per tutte e tutti: perché la maternità, come l’identità, non può essere obbligatoria.

Maternità” di Sheila Heti

Sheila Heti s’interroga e c’interroga su cosa significa davvero diventare madre e cosa succede quando questo desiderio non arriva mai, anche se dovrebbe.

La protagonista senza nome, chiaramente suo alter ego, attraversa i quarant’anni si pone un dubbio inconfessabile: “Voglio davvero avere un figlio, oppure è la società a volerlo per me?”

“Maternità” è il racconto radicale di una scelta che tarda ad arrivare, ma che, lentamente, prende forma tra dialoghi interiori, meditazioni, letture, sogni e lanci di monete; perché a volte l’unico modo per prendere una decisione è lasciare la scelta al caso.

Ma dietro quel gioco c’è un’angoscia reale, un senso di colpa che accompagna molte donne che si sentono “diverse” perché non provano alcun istinto materno, o forse non abbastanza…

Heti non giudica, non assolve, non idealizza. Si limita a esplorare — con una scrittura limpida, a tratti saggistica, a tratti lirica — il conflitto tra libertà individuale e destino biologico, tra identità femminile e ruolo imposto.

La decisione finale non arriva con un colpo di scena, ma come un lento sedimentarsi del pensiero. E quando arriva, non è dolore, né rimpianto: è sollievo. La protagonista capisce che non avere figli non è una rinuncia, ma un modo autentico di essere se stessa. La maternità può essere una vocazione, ma non lo è per tutte. E va bene così.

Contro i figli” di Lina Meruane

Un saggio che è anche una dichiarazione di guerra al mito della maternità come dovere naturale. Un pamphlet tagliente e viscerale, che si legge come un romanzo arrabbiato.

Qui Lina Meruane – scrittrice e intellettuale cilena – prende posizione contro un assunto che sembra intoccabile: le donne devono avere figli per realizzarsi. Lo fa con una prosa affilata come un bisturi, tra ironia feroce e lucidità politica. Non c’è spazio per tentennamenti: il titolo è già un manifesto.

Meruane non si limita a dire “Non voglio figli”: va oltre e smonta pezzo per pezzo l’intero impianto culturale che ha costruito la maternità come vocazione femminile, come coronamento dell’identità di una donna. Mostra come quella pressione – sociale, familiare, mediatica – sia capace di annullare ogni altra forma di desiderio e di rendere le donne nemiche tra loro: madri contro non-madri, fertili contro sterili, devote contro libere.

Il tono è combattivo, a tratti provocatorio, ma sotto la superficie polemica nasconde una riflessione profonda sul corpo, sul linguaggio, sull’economia della cura. Meruane parla della maternità come costruzione ideologica, come macchina narrativa che assorbe le energie delle donne e le inchioda a un modello unico: quello della “madre amorevole” che “cura” e si “sacrifica”.

“Contro i figli” non è un libro contro i bambini, ma contro l’obbligo di generarli, è un libro per chi non vuole figli e non si vergogna più di dirlo.

Eccoti la trama estesa di Resoconto di Rachel Cusk, pensata per completare il tuo articolo in stile Libreriamo. Un altro tassello importante in questo percorso di letture che parlano della non-maternità o della maternità con distanza e lucidità, senza imposizioni né pentimenti.

Resoconto” Rachel Cusk

“Resoconto” è il primo volume della cosiddetta “Trilogia dell’ascolto” di Rachel Cusk, seguito da “Transiti” e “Onori”, pubblicata per intero in un volume unico da Einaudi.

Già da solo, questo libro basta a scardinare l’idea canonica della maternità come vocazione permanente.

La protagonista è una donna che ascolta, ma non si confessa mai. Una scrittrice britannica, una madre che ha lasciato tutto, anche i figli a Londra; e, come Sibilla Aleramo, non chiede perdono. Appena uscita da un matrimonio, si reca ad Atene per insegnare scrittura creativa.

La maternità non è il centro del libro — eppure la sua assenza fa rumore. Non ci sono lamenti, né sensi di colpa. Solo un silenzio pieno di significato, che si insinua tra le conversazioni e le pause narrative. La protagonista non racconta quasi nulla di sé: è una presenza vuota, uno specchio, una voce che ascolta le storie degli altri, spesso legate all’identità, alla crisi, al fallimento, al corpo.

E proprio in questa postura — quella di chi non spiega, non si giustifica, non piange — c’è la forza del libro. La maternità è una parentesi chiusa, forse dolorosa, forse necessaria, ma non definisce più la donna che racconta. È stata madre, ma ora è anche qualcos’altro. E non sente il bisogno di riconciliarsi con un modello che non la rappresenta.

“Resoconto” è un libro che sfugge alle etichette: non è un romanzo classico, non è un saggio, non è un memoir. È un ritratto in negativo, uno scavo nella sottrazione: di ruoli, di doveri, di definizioni.

È un testo che può far arrabbiare chi cerca l’identificazione emotiva, ma che restituisce dignità all’opacità, al silenzio, alla fuga. Un libro che dice, senza mai dirlo apertamente, che anche una madre può scegliere il proprio destino.

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