Jim Jarmusch ha vinto il Leone d’Oro al Festival di Venezia 2025 con “Father Mother Sister Brother”, un film che osserva, più che raccontare, e punta il suo obbiettivo su tre famiglie in tre città diverse: la prima, in New Jersey, la seconda a Dublino e la terza a Parigi. Tra dubbi, rimorsi, incontri annuali, distacco e perfino segreti nascosti in una memoria sospesa, Jarmusch colpisce dritto il segno e commuove con sobrietà, ironia silente e respiro del non detto.
Libri che vi consigliamo
Ma esistono anche tanti libri che possono tratteggiare atmosfere come queste: romanzi corali, psicologici, o magari ancora brevi, che racchiudono dei segreti importanti legati a traumi senza urla; sguardi trattenuti, oggetti lasciati lì per caso, decisioni che arrivano troppo tardi.
In questi cinque libri, la famiglia è insieme casa e prigione, rifugio e fonte di dolore. Ma anche, a volte, il luogo dove — nonostante tutto — qualcosa resiste.
“Le ore” di Michael Cunningham
Ne “Le ore”, Michael Cunningham si ispira al romanzo “Mrs Dalloway” di Virginia Woolf e ne ricava una sinfonia narrativa che attraversa il tempo, la lingua e la memoria: attraversa tre epoche e fa parlare tre donne diverse — perciò anche qui, come in “Father Mother Sister Brother”, ci sono delle storie da affrontare e delle persone da conoscere.
La prima voce che ci viene presentata è quella della stessa Woolf: siamo nel 1923, mentre la scrittrice è occupata nella stesura del suo capolavoro e lotta con la depressione e il senso di inadeguatezza. La seconda è una giovane moglie e madre di nome Laura Brown che, in una Los Angeles degli anni Cinquanta, legge Mrs Dalloway mentre prepara una torta per il compleanno del marito. La terza è Clarissa Vaughan, un’editrice di successo che ai giorni nostri sta organizzando una festa a New York per un suo amico malato di AIDS, che un tempo chiamava affettuosamente “il mio Richard”.
Sono tre donne diverse, ma connesse da un sottile filo di malinconia e desiderio di libertà. In ciascuna delle loro vite si insinua una sensazione strisciante di inadeguatezza: quella di essere figlie, madri, amanti, sorelle mai davvero comprese.
Il romanzo di Cunningham riesce a dare corpo a ciò che spesso resta senza parole: la claustrofobia dell’intimità familiare, la nostalgia per una felicità mai del tutto afferrata, il rimpianto per ciò che si è scelto di non essere.
“Il tempo è un bastardo” di Jennifer Egan
In questo romanzo vincitore del Pulitzer, Jennifer Egan costruisce un mosaico narrativo che sfida la linearità: ogni capitolo è una tessera che racconta una diversa sfaccettatura della vita di alcuni personaggi — produttori musicali, figli, genitori, adolescenti, ex rockstar — nel corso di più decenni. Non ci sono veri e propri protagonisti, ma un’umanità intera che cerca di sopravvivere alla forza corrosiva del tempo.
Quello che emerge, capitolo dopo capitolo, è il senso di un’invisibile ragnatela familiare e generazionale: gli errori si tramandano, i sogni si infrangono, le identità mutano. Eppure, anche nella disgregazione, c’è una bellezza struggente.
Egan ci dice che la famiglia non è un punto fermo, ma un sistema in movimento, e che ogni rapporto, ogni affetto, è destinato a mutare con il tempo — bastardo, appunto.
“Tutto chiede salvezza” di Daniele Mencarelli
Un romanzo autobiografico che è diventato anche una serie Netflix, quello di Mencarelli: la settimana che Daniele, protagonista ventenne esploso in una crisi di rabbia incontrollata, è costretto a passare in un reparto psichiatrico sotto TSO. La narrazione si apre con un atto di violenza emotiva, ma prosegue come un viaggio interiore in cui l’autore mette a nudo fragilità, paure e speranze.
La famiglia in “Tutto chiede salvezza” è al contempo presenza e assenza: il padre è un uomo burbero, incapace di gestire la sofferenza del figlio se non con il silenzio e la fatica; la madre è una presenza amorosa ma impotente. E Daniele, nel cuore del suo caos, desidera solo essere visto, capito, accolto.
Il romanzo è un inno alla vulnerabilità, ma anche una riflessione sulla paternità mancata, sui legami imperfetti che spesso ci salvano senza sapere come. Tra i romanzi italiani più profondi degli ultimi anni, capace di parlare anche a chi della famiglia conosce poco e niente.
“L’estate che sciolse ogni cosa” di Tiffany McDaniel
Nel cuore di una calda estate dell’Ohio, Fielding Bliss ha tredici anni quando suo padre, avvocato progressista, pubblica sul giornale un annuncio: “Invito il diavolo nella nostra città”. Poco dopo, un ragazzino di nome Sal si presenta alla loro porta, pelle scura, occhi enigmatici, e sostiene di essere proprio il diavolo in persona.
Quel che inizia come una favola grottesca si trasforma presto in una tragedia familiare e collettiva. L’arrivo di Sal porta con sé la paura, il sospetto, la violenza. La famiglia Bliss si sgretola lentamente, vittima del giudizio altrui, ma anche delle proprie fragilità interne.
Attraverso la voce adulta di Fielding, che ricorda quella lontana estate, McDaniel costruisce un romanzo devastante e poetico, dove la famiglia diventa il campo di battaglia dell’innocenza perduta. Il dolore, la discriminazione, la colpa e il rimorso si annidano tra le mura domestiche, lasciando cicatrici che il tempo non può cancellare.
“Piccoli crimini coniugali” di Éric-Emmanuel Schmitt
Un uomo torna a casa dopo un trauma che gli ha cancellato la memoria. Accanto a lui, la moglie cerca di aiutarlo a ricostruire la loro vita insieme. Ma il gioco si fa sottile: chi mente? Chi manipola? Chi ha davvero il controllo?
In questo libro, Schmitt ci porta nel cuore di una relazione di lunga data, dove l’amore si è trasformato in arma a doppio taglio, giochetti ed esercizio di sopravvivenza psicologica. Tuttavia, la tenerezza riaffiora nei momenti più improbabili…
Il matrimonio — e per estensione, la famiglia — viene esplorato qui non come luogo di sicurezza, ma come spazio ambiguo dove si intrecciano amore, gelosia, paura e desiderio di redenzione. La casa stessa diventa un teatro dell’assurdo, dove i protagonisti si studiano come in una partita a scacchi emotiva.
Una lettura breve ma densissima, perfetta per chi cerca una riflessione tagliente e raffinata sulle microdistanze affettive.