I libri di Natale sono piccole finestre aperte, fanno luce nelle stanze in cui manca qualcuno, laddove il freddo può essere spento con amore e sulle Vigilie in cui ci si scopre incapaci di voltarsi dall’altra parte.
Libri da leggere a Natale
È anche per questo che i libri di Natale, quando sono scritti bene, funzionano come piccoli strumenti di sopravvivenza. Ne esistono di classici, ma anche di più contemporanei. Scopriamone qualcuno…
“Il panettone non bastò” di Dino Buzzati
Il Natale di Buzzati è un ricordo che punge, una raccolta emotiva di usanze e regali, la scelta letteraria di più personaggi dispersi tra le pagine in una geografia che si sposta.
Buzzati cambia continuamente registro: alterna il dolore di un ricordo privato, che può aprirsi all’improvviso come una ferita, a una riflessione sul presepe o sulla “tecnica” del regalo; passa da una scena quasi fiabesca alla descrizione di un rito africano, sconosciuto ai più; e, tra le righe, soggiunge una voce dickensiana: prova che certi fantasmi sanno prendere residenza proprio nelle ricorrenze.
Il titolo è una specie di avvertimento: la dolcezza non basta. Non basta il simbolo (il panettone). Che cosa stiamo celebrando, quando usiamo la parola “Natale”? E cosa resta, quando le lucine si spengono e gli addobbi si tolgono?
“Piccole cose da nulla” di Claire Keegan
Bill Furlong attraversa fattorie e villaggi con il camion carico di combustibile fossile: un lavoro pratico, ripetuto, quotidiano, che alcuni considererebbero “rassicurante”; è lui che permette alla gente di tenere accese le stufe, è lui che “tiene in ordine il mondo” in inverno, mentre la neve cade sulle strade di campagna.
Poi, una mattina, nel cortile di un convento, succede qualcosa. Non è un vero e proprio colpo di scena, ma un incontro che porta Bill a prendere una posizione.
Keegan costruisce la storia così: con la neve che continua a scendere e con una domanda che si allarga dentro la testa, finché diventa impossibile far finta di niente.
Quanto costa continuare a vivere bene quando il bene, intorno, è solo un’abitudine di facciata; e quando la comunità, la fede, le convenienze chiedono di voltarsi dall’altra parte? Bill sa che correre via è facile e sa anche che, a volte, il coraggio non coincide con gesti grandi.
“Piccole cose da nulla” è un libro che accende un Natale diverso e che ha ispirato il film “Piccole cose come queste” in cui ha recitato Cillian Murphy.
“I fratelli Kristmas” di Giacomo Papi
Nella notte del 24 dicembre, il Natale si inceppa per una ragione banalissima e quasi umiliante: Babbo Natale ha la febbre alta e una tosse che lo svuota. L’elfo-dottore lo guarda come si guarda un motore che non deve assolutamente partire: se esce al gelo, “ci lascia le penne”. E allora il mito fa una cosa che non ama fare: delega; l’incarico finisce nelle mani di Luciano, il fratello minore di Niklas Kristmas, uno che non ha il temperamento del santo né il talento del manager. Lui è un “ugualiatore”, uno che vorrebbe consegnare a ogni bambino lo stesso numero di doni, perché l’ingiustizia gli rovina la festa.
È qui che il racconto comincia a muoversi sul serio: non tanto sull’avventura, quanto su una domanda scomoda mascherata da fiaba. Se il Natale è una macchina di regali, chi decide le regole? E quanto costa, in termini morali, farla funzionare “come sempre”?
Intorno a Luciano si stringe una squadra da favola storta: lo gnomo-orologiaio che rallenta il tempo (perché a volte serve proprio più tempo per fare la cosa giusta), Efisio, nano picchiatore, che porta addosso la parte fisica della missione, e poi due bambini, Maddalena e Pietro, chiamati a prestare coraggio a un mondo adulto che predica bene e si organizza male. Dall’altra parte c’è Panicus Flynch, industriale dei giocattoli: uno che non vuole rovinare il Natale, vuole possederlo. E quando un’avidità del genere entra in scena, perfino le valchirie diventano “servizio clienti” armato.
Ne esce un racconto natalizio che gioca con l’epica, ma non dimentica la satira: sotto la neve, la festa più luminosa dell’anno somiglia a un campo di battaglia tra due idee opposte di dono.
“Il volo di Natale” di Craig Johnson
È la Vigilia e fuori nevica, quando lo sceriffo Walt Longmire, immerso nella lettura di Dickens, si accorge della presenza di una giovane donna dai tratti orientali.
È così che, senza quasi accorgersene, torna indietro di venticinque anni, a un’altra Vigilia in cui era più giovane e il mestiere non aveva ancora scavato tutti i suoi solchi.
Osserva: un incidente terribile, due genitori morti, una bambina salva per miracolo insieme alla nonna. Lei, la vecchietta giapponese che non capisce una parola d’inglese, sembra ancora più sola…
La bambina è grave, va portata d’urgenza a Denver. Peccato che con quella tempesta nessun aereo possa decollare, nessun elicottero possa alzarsi e nessun “protocollo” abbia spazio per la realtà.
Allora succede la cosa più natalizia e meno sentimentale che ci sia: si improvvisa. Longmire mette insieme un equipaggio di fortuna e un vecchio bombardiere della Seconda guerra mondiale, come se l’unico modo di salvare una vita fosse rubare al passato un pezzo di coraggio e farlo funzionare nel presente. E, per completare l’assurdo, va a pescare in un bar il suo predecessore: ubriaco, mutilato, ma con addosso la memoria di un pilota che un tempo ha attraversato il Pacifico.
