Le notti d’estate, dopo il tramonto bruno, sono i momenti migliori per leggere libri come questi. Le cicale continuano ancora per poco, poi c’è il silenzio e le pale dei esterne dei condizionatori ronzano appena. Il terreno giusto per una di queste tre letture fuori dal comune.
C’è chi in estate cerca il brivido, chi la leggerezza e chi, invece, vuole lasciarsi portare altrove: in un altrove perturbante, ambiguo, a volte surreale, dove le parole non confortano, ma inquietano.
3 libri strani e disturbanti che vi lasceranno senza fiato in queste notti d’estate
Se appartenete a quest’ultima categoria, ecco tre libri strani — davvero strani — da leggere sotto la luce obliqua della luna, quando il mondo tace e ogni pagina risuona più forte, sono questi. Tre libri che non hanno paura di essere indefinibili, disturbanti, visionari. Tre piccole esplosioni letterarie capaci di incrinare le vostre certezze.
“L’anulare” di Yōko Ogawa, il perturbante sussurra piano
Poche scrittrici riescono a disturbare il lettore con tanta eleganza come Yōko Ogawa. Ne “L’anulare”, tutto è levigato, silenzioso, apparentemente innocuo. Noi di Libreriamo abbiamo deciso d’inserirlo tra i tre libri perché è perfetto per chi cerca una narrativa sensoriale, lenta ma tagliente, capace di far vibrare i non detti.
La protagonista è una giovane donna che ha perso una falange del dito anulare in un incidente sul lavoro. Lascia la fabbrica e trova impiego in un laboratorio misterioso dove si “conservano” oggetti impregnati di memoria. Il direttore, un uomo taciturno e ambiguo, la guida in un ambiente sospeso tra il rituale e l’ossessione, mentre il confine tra lavoro e dipendenza si fa sempre più sottile.
Il racconto è breve, poco più di un centinaio di pagine, e volendo lo si legge in una notte. Nonostante ciò, lascia addosso una sensazione continua, duratura, difficile da dimenticare. Yōko Ogawa non racconta il trauma: lo lascia fluttuare. Non mostra mai la violenza: la lascia intuire, insinuandosi tra le pieghe del quotidiano.
Il corpo femminile, mutilato ma ancora desiderabile, diventa centro di attrazione e controllo. L’anulare, simbolo dell’appartenenza, dell’unione, diventa in questo libro un vuoto attorno a cui ruota tutto il senso della storia.
Letto d’estate, “L’anulare” è un gelido respiro sulla pelle. Una storia claustrofobica in un mondo quasi ermetico, dove ogni gesto sembra una cerimonia e ogni parola pesa come un sasso.
“Ventre” di Giulia della Cioppa, dove il corpo si fa terreno
Se Yōko Ogawa lavora per levare, Giulia della Cioppa spinge a fondo, senza paura di entrare nel corpo, nella carne, nell’osceno. “Ventre”, edito Alter Ego, è un body horror. Un esordio letterario tutto italiano.
Sconvolge il lettore non tanto per ciò che racconta, ma per come lo fa: in una prima persona dalla lingua tagliente, essenziale, quasi chirurgica. E il lettore si fonde con il narratore, entra nel corpo della protagonista, resta immobile.
Margherita ha ventisei anni quando tenta il suicidio. Quando inizia il romanzo, è già oltre: in stato vegetativo da un mese, attaccata ai macchinari, immobile. Ma dentro, sente. Pensa, ricorda, osserva. La sua voce si scompone e si ricompone in un flusso continuo, denso, spesso disturbante.
Attorno a lei si muovono poche figure: la madre, affettuosa ma ingombrante, presenza costante anche ora che la figlia è “spenta”; e Bianca, l’infermiera, figura inquietante che si prende cura di quel corpo muto con gesti a volte ambigui, quasi oltre il limite. Il ventre del titolo è lo spazio simbolico e fisico in cui tutto avviene: origine, fine, prigione. Luogo della vita e della violenza.
C’è il sangue, c’è il desiderio, c’è la maternità in forme che non hanno nulla di rassicurante. C’è anche la trasformazione, che non è mai indolore.
Giulia della Cioppa scrive con un linguaggio potente, poetico e brutale al tempo stesso. Il suo stile è onirico, talvolta allucinato, eppure lucidissimo nel rifiutare ogni idealizzazione del corpo femminile. Il ventre non è sacro, è reale. È pulsante, viscido, vivo. Ed è da lì, da quel luogo carnale, che nasce la sua voce.
In estate, quando la pelle brucia e il corpo si impone con forza, “Ventre” è uno dei libri che ci mette a confronto con il nostro lato più oscuro.
Impossibile rimanerne indifferenti.
“I terrestri” di Sayaka Murata, la normalità è una violenza
L’autrice giapponese, tradotta in Italia da Edizioni e/o, costruisce una storia in cui l’alienazione non è solo metafora, ma possibilità. La protagonista, Natsuki, è convinta di essere un’aliena.
Cresce in una famiglia opprimente, incapace di comprenderla, in una società che esige obbedienza e conformismo. Per sopravvivere, si rifugia nel mondo della fantasia… o forse della verità.
Murata gioca con l’idea di “diversità” in modo radicale. Qui non ci sono mezze misure: la società è una macchina di riproduzione biologica, sociale, psicologica. Chi non si adatta, viene escluso. Natsuki e il cugino Yuu decidono di salvarsi scappando: dalla scuola, dai genitori, dalla civiltà. Ma dove si può andare, se l’intero pianeta è un’unica grande gabbia?
La scrittura di Murata è tagliente e limpida. Anche quando racconta situazioni scioccanti non indulge mai nella morbosità. L’orrore è spesso nel non detto, nella logica di fondo. Il romanzo scivola via con inquietante naturalezza, e alla fine lascia una domanda scomoda: chi sono davvero i “mostri”? Chi vuole distruggere il sistema o chi si ostina a difenderlo?
Tra tutti, “I terrestri” è forse il libro più estivo nella struttura, ma anche il più disturbante nei contenuti. Una lettura perfetta per chi ha voglia di spezzare il ritmo del romanzo tradizionale e lasciarsi travolgere da un urlo silenzioso contro la normalità.