Ci sono libri che non gridano, ma sussurrano. Classici dimenticati o poco letti, che vivono ai margini dei grandi nomi ma custodiscono al loro interno mondi interi. Opere che attraversano i generi (dal gotico alla narrativa intimista, fino alla fiaba nera) e ci restituiscono uno sguardo sorprendente sulla letteratura e sulla sensibilità di epoche passate.
Questo articolo è un piccolo viaggio attraverso tre classici eterogenei, ciascuno con una voce distinta e un’atmosfera irripetibile: I mille e uno fantasmi di Alexandre Dumas, che mescola l’ironia della penna ottocentesca al brivido del soprannaturale; L’amore negato di Maria Messina, romanzo breve e struggente che racconta la clausura emotiva delle donne siciliane nei primi del Novecento; e Il licantropo di Clemence Housman (spesso italianizzato in Clerence Usman), una novella vittoriana dimenticata che intreccia horror, femminismo e simbologia.
3 libri classici da riscoprire: dalla denuncia femminile al brivido del soprannaturale
Tre libri molto diversi, eppure uniti da un filo rosso: parlano di ciò che si cela sotto la superficie. Desideri repressi, identità negate, paure collettive che prendono corpo. Recuperarli oggi significa riscoprire il piacere di un certo tipo di letteratura che sfida il tempo, l’omologazione e le etichette.
Il licantropo di Clerence Housman
“Un solo istante poteva portare alla rivelazione di un orrore mostruoso”, recita la quarta di copertina. Eppure, in Il lupo mannaro, l’orrore è insieme visione e simbolo, minaccia e desiderio, corpo e condanna. Un libro pubblicato per la prima volta nel 1896, questo romanzo breve di Clemence Housman, artista e attivista del movimento suffragista inglese, è un gioiello nascosto del gotico vittoriano, oggi riscoperto grazie all’edizione italiana Agenzia Alcatraz nella collana “La biblioteca di Lovedraft”
Sotto la veste di una “Christian horror story”, come la definì all’epoca un recensore, si cela un racconto ambiguo, sensuale, inquietante, che parla di mostruosità femminile e identità liminali con uno sguardo sorprendentemente moderno.
Una donna lupo tra le nevi
Libro ambientato in un villaggio alpino avvolto dalla neve e dall’isolamento, il racconto ruota intorno alla comparsa di White Fell, una donna misteriosa, bellissima, dalla forza soprannaturale. Il suo arrivo sconvolge la quiete del luogo e innesca una progressiva disgregazione dei legami affettivi tra i due protagonisti maschili, Christian e Sweyn, fratelli diversi come il giorno e la notte.
Ma White Fell non è una semplice seduttrice. È qualcosa di altro. È creatura notturna, essere liminale, figura ancestrale e predatrice. La sua identità, e la sua natura, si svelano a poco a poco, tra sospetti, inquietudini e visioni. Fino alla rivelazione finale, che trasforma la leggenda del licantropo in un grido politico e simbolico.
Femminile e potere: un horror sovversivo
Quello che rende Il lupo mannaro un libro straordinario è il modo in cui Clemence Housman sovverte gli stereotipi del gotico e del mostruoso. White Fell non è solo una minaccia esterna, ma incarna tutti gli elementi di paura che la cultura patriarcale attribuisce al femminile: forza, ambiguità, sessualità non controllata, indipendenza.
In un’epoca in cui le donne erano relegate alla domesticità, Housman immagina una creatura che entra in scena armata di ascia, silenziosa e determinata, che catalizza desideri e timori. In questo, l’autrice si avvicina ad altre figure rivoluzionarie della letteratura fin-de-siècle, come Carmilla di Le Fanu o Bertha Mason di Charlotte Brontë, ma con una carica simbolica ancora più esplicita.
“Un terrificante pericolo mortale, libero e all’attacco… in una cerchia di donne, fanciulle e uomini incuranti e indifesi!”
La prosa di Housman è raffinata, evocativa, visiva. Ogni descrizione sembra scolpita nella neve: la tensione cresce con ritmo costante, tra accensioni poetiche e improvvisi scarti emotivi. Il paesaggio innevato diventa uno specchio psichico, simbolo della solitudine, del gelo morale, della separazione tra ciò che è lecito e ciò che non lo è.
Il libro gioca anche con il tema della doppiezza, caro al gotico: Christian e Sweyn, ragione e passione, fiducia e sospetto. Ma soprattutto, White Fell è insieme dea e mostro, angelo e lupo, figura che sfugge a ogni definizione e proprio per questo affascina e terrorizza.
L’edizione italiana è parte della curatissima collana La Biblioteca di Lovecraft, ma non si tratta di horror cosmico. Qui siamo in pieno horror vittoriano d’atmosfera, con una tensione più psicologica che esplicitamente sanguinaria. Il lavoro di Gabriele Scalessa come curatore e traduttore è preciso e rispettoso della musicalità originale, mentre la postfazione di Vera Gheno arricchisce l’esperienza di lettura con riflessioni sul corpo, sul linguaggio e sull’alterità.
Temi chiave:
Corpo femminile e alterità: White Fell è un corpo che sfugge al controllo, e proprio per questo deve essere annientato.
Lupo mannaro come metafora: non solo metamorfosi fisica, ma trasformazione sociale e politica.
Inverno, neve, isolamento: il paesaggio è un elemento attivo, che amplifica la tensione e rappresenta il gelo dell’anima.
Se amate il gotico d’atmosfera, le riletture del mito del mostro da una prospettiva femminile, i testi che mescolano inquietudine e bellezza lirica, questo libro: Il lupo mannaro è una lettura imperdibile. Libro breve di sole 100 pagine, Clemence Housman riesce a sovvertire una leggenda, trasformandola in una potente metafora del controllo sul corpo femminile e del terrore per ciò che non può essere definito.
I milleuno fantasmi di Alexandre Dumas
Chi conosce Alexandre Dumas solo come autore de I tre moschettieri o Il conte di Montecristo potrebbe rimanere sorpreso da questo libro che è una raccolta gotica, eppure I milleuno fantasmi, pubblicato per la prima volta nel 1849, rivela un’altra anima dello scrittore francese: quella appassionata di cronaca nera, spiritualismo, leggende e sovrannaturale. ABEditore ripropone oggi questo prezioso testo in una edizione curatissima (a cura di Loreta Lombardi), che lo restituisce in tutta la sua forza evocativa e narrativa.
La raccolta si apre con una scena quasi cinematografica: un viaggiatore, lo stesso Dumas, si trova a passare per un quartiere parigino desolato e si imbatte in un evento inquietante, legato a un omicidio e a una misteriosa testa mozzata che sembra parlare. È l’inizio di una serata tra amici, in cui ognuno, seduto attorno a un fuoco, racconta la storia più terrificante che abbia mai vissuto o sentito. Quasi un Decamerone infernale.
Da qui prende vita una struttura a cornice, ispirata dichiaratamente a Le mille e una notte, in cui le storie si susseguono e si intrecciano in un crescendo di suspense, ironia, spavento e meraviglia. Dumas si diverte a creare un gioco metaletterario: i personaggi diventano narratori, i lettori testimoni, e ogni storia rilancia la precedente, mescolando oralità e letteratura, cronaca e leggenda.
Vampiri, spiriti, apparizioni: il fascino dell’insolito
Tra i racconti troviamo episodi che spaziano dalla cronaca nera alla tradizione popolare, con una passione per l’enigmatico e l’inspiegabile. Alcune delle storie più memorabili ruotano attorno a:
Teste parlanti e maledizioni, come nella storia d’apertura che dà il tono all’intero libro.
Apparizioni di spiriti vendicativi che sembrano usciti dai racconti folklorici più antichi.
Vampiri e morti che ritornano, resi con uno stile elegante e inquietante.
Ma non aspettatevi solo horror. Dumas alterna tensione e leggerezza, e riesce a evocare il soprannaturale senza rinunciare alla sua consueta ironia e brillantezza.
Anche in queste storie brevi, Dumas mostra la sua padronanza del ritmo narrativo: i dialoghi sono vivi, le descrizioni mai ridondanti, i personaggi hanno voce e spessore anche in poche pagine. L’autore sa quando spaventare e quando affascinare, e costruisce ogni racconto come una miniatura gotica, con precisione e gusto.
«Amico mio, sono tempi tristi, e i miei racconti, vi avverto, non saranno felici…»
Questa frase iniziale non è solo un avvertimento, ma una promessa: quella di condurci in un mondo dove l’orrore è quotidiano, familiare, e proprio per questo più inquietante.
Dumas non scrive queste storie per semplice gusto macabro: da curioso frequentatore di salotti spiritici, da osservatore del lato oscuro della vita, sa bene che il soprannaturale è anche una lente con cui leggere la società, le sue paure, i suoi desideri repressi.
Nel far raccontare agli amici questi episodi, Dumas sembra anche riflettere sul potere della narrazione: ogni racconto diventa un esorcismo, una confessione, un rito collettivo per domare l’ignoto. Un’idea che suona sorprendentemente attuale.
L’edizione ABEditore: un’opera d’arte tipografica
Questa nuova pubblicazione di I milleuno fantasmi da parte di ABEditore è un oggetto da collezione: copertina grafica potente, ispirata al gusto tipografico del XIX secolo, carta di qualità, cura editoriale impeccabile. La scelta di riportare in vita questo testo meno noto di Dumas è un atto di amore per la letteratura gotica e per la narrazione come rito sociale e artistico.
Il prezzo accessibile (€15) lo rende un regalo perfetto per chi ama la letteratura dell’orrore d’antan, le storie intorno al fuoco, il brivido che cammina a braccetto con l’eleganza.
I milleuno fantasmi è un’opera che dimostra quanto Alexandre Dumas fosse uno scrittore multiforme, capace di passare dal romanzo storico alla novella gotica senza perdere una briciola della sua capacità di affascinare. Le storie che compongono questa raccolta sono brividi beneducati, pensati per solleticare la mente prima ancora che spaventare.
Un libro che ci ricorda che, prima del cinema horror e delle serie TV, il vero terrore nasceva attorno a un camino, dalle labbra di qualcuno che aveva una storia da raccontare. E quando il narratore è Dumas, possiamo stare certi che quella storia ci rimarrà dentro a lungo.
L’amore negato di Maria Messina
Maria Messina scrittrice italiana troppo a lungo dimenticata fa parte di quella letteratura italiana del primo Novecento, dove i nomi femminili che emergono sono pochi, spesso relegati ai margini, come se la scrittura fosse un affare riservato agli uomini. Eppure, proprio in quell’ombra, si cela una delle voci più intense e vibranti della nostra letteratura: Maria Messina. L’amore negato, raccolta di racconti pubblicata postuma e ora riportata in libreria da Edizioni Croce, è un’opera fondamentale per restituire centralità a una scrittrice colpevolmente dimenticata.
Maria Messina (1887–1944), siciliana, visse un’esistenza segnata dalla malattia (una forma aggressiva di sclerosi multipla) e dall’isolamento. Fu tra le prime scrittrici a essere pubblicata da Treves, e persino Giovanni Verga ne riconobbe il talento. Eppure, con il tempo, il suo nome è scivolato fuori dal canone ufficiale. L’amore negato ci dimostra quanto questo oblio sia stato un errore.
Il libro è una raccolta di racconti, spesso brevi, che ruotano attorno a un tema centrale: l’impossibilità dell’amore per le donne. Non l’amore come concetto romantico e idealizzato, ma l’amore concreto, quotidiano, quello che si scontra con la miseria, l’oppressione sociale, i ruoli imposti dalla famiglia e dalla comunità.
Fin dalle prime pagine si percepisce la cifra stilistica della Messina: uno sguardo tagliente e insieme compassionevole, capace di raccontare con pochi tratti la condizione femminile in una società che nega alle donne qualsiasi possibilità di autodeterminazione. Le protagoniste di questi racconti sono giovani spose, madri, figlie, tutte incatenate a una realtà che non lascia spazio ai sentimenti, se non come sacrificio. L’amore, per loro, è sempre un lusso che non possono permettersi.
Uno degli aspetti più affascinanti dell’opera è la capacità dell’autrice di rappresentare la claustrofobia domestica. Le case diventano prigioni, i mariti dei carcerieri, e la famiglia, che dovrebbe essere nido, si trasforma in trappola. C’è una tensione costante tra desiderio e dovere, tra passione e rassegnazione. L’ambiente siciliano è vivo, evocato con realismo e insieme con una vena lirica che accarezza la pagina: il caldo torrido, le stanze silenziose, il peso delle convenzioni sono elementi quasi tangibili.
Lo stile di Messina è essenziale ma non spoglio, lirico senza mai indulgere nel sentimentalismo. Ogni parola sembra posata con precisione, ogni silenzio carico di senso. A volte, bastano pochi dialoghi o una descrizione di un gesto quotidiano per spalancare un abisso emotivo. È una scrittura che sa essere asciutta e struggente insieme.
Tra i racconti più significativi, c’è Felicità, in cui una donna sogna un futuro diverso ma viene subito ricondotta alla realtà dalla voce autoritaria del padre. Oppure La porta socchiusa, che racchiude tutta l’ambiguità dei legami familiari e l’impossibilità di trovare un vero rifugio. I finali sono spesso sospesi, non consolatori, ma mai del tutto disperati: in quelle vite negate, qualcosa resiste, come una luce fioca che non si lascia spegnere.
Il titolo della raccolta, L’amore negato, è quanto mai preciso e rivelatore. Non si tratta solo dell’amore romantico, ma di ogni forma d’amore: per sé, per la vita, per la conoscenza. Alle donne della Messina viene negato il diritto di esistere come soggetti desideranti. Eppure, anche nella sottomissione, anche nella rinuncia, queste figure conservano una straordinaria forza narrativa. Non gridano, ma parlano forte. Non si ribellano apertamente, ma nel modo stesso in cui vengono raccontate si avverte un’energia che ancora oggi interroga e scuote.
Leggere oggi Maria Messina significa anche riappropriarsi di una voce che ha anticipato molte riflessioni del femminismo contemporaneo, pur non dichiarandosi mai ideologica. Non c’è denuncia esplicita, non c’è retorica: c’è solo la scrittura, come strumento per scavare, per mostrare senza filtri, per dare corpo a ciò che era stato nascosto. In questo senso, L’amore negato è un libro prezioso, perché offre uno spaccato autentico e intenso di un’Italia arcaica, in cui i ruoli di genere sono imposti con violenza silenziosa.
L’edizione curata di Salvatore Ferlita, con una lunga e documentata introduzione, è puntuale nel ricollocare la figura dell’autrice nel panorama letterario del suo tempo e nell’evidenziare la modernità del suo sguardo. Le Edizioni Croce, con questo recupero editoriale, fanno un lavoro fondamentale per riportare alla luce una voce che merita di essere letta, studiata e amata.
L’amore negato non è solo una raccolta di racconti: è un affresco malinconico e potente sull’invisibilità femminile, una denuncia delicata ma feroce di una società che ha tradito le donne. Maria Messina, con la sua scrittura sottile e lancinante, ci restituisce storie che sembrano appartenere a un altro secolo ma che, tragicamente, parlano anche del nostro presente. È tempo che la sua voce non sia più relegata ai margini, ma letta come una delle più lucide e commoventi del nostro Novecento letterario.