Non tutti i capolavori vengono accolti con applausi. Alcuni devono attraversare l’ombra, sfiorare l’incomprensione, sopportare l’indifferenza dei loro contemporanei per essere riconosciuti, talvolta decenni dopo, nella loro grandezza. La letteratura italiana è costellata di classici che, al momento della pubblicazione, furono snobbati, criticati o addirittura ignorati, per poi diventare — con il tempo, la lentezza e la giusta distanza — testi imprescindibili, letti, amati e studiati.
Tre classici italiani riscoperti dopo la disfatta
Questo articolo è un invito a riscoprire tre classici italiani che hanno conosciuto un destino tortuoso: libri accolti con freddezza o sospetto, oggi considerati pietre miliari della nostra tradizione. Non è solo una questione di stile o trama, ma di sguardo: ogni autore qui citato ha osato vedere oltre il suo tempo, e per questo ha dovuto attendere che il tempo vedesse lui.
“La coscienza di Zeno” di Italo Svevo
Incompreso fino a quando Joyce non fece da garante
Quando “La coscienza di Zeno” uscì nel 1923, Italo Svevo era un impiegato triestino con la passione per la scrittura e un passato da romanziere fallito. I suoi primi due romanzi (“Una vita” e “Senilità”) erano passati inosservati.
Anche Zeno, con la sua struttura disarticolata, il protagonista ironico e contraddittorio, il tono distante e psicanalitico, non suscitò entusiasmo in Italia.
Fu uno scrittore allora sconosciuto al pubblico italiano, James Joyce — amico e insegnante di inglese di Svevo — a riconoscerne il genio e a promuoverlo negli ambienti intellettuali europei. Oggi “La coscienza di Zeno” è considerato uno dei grandi classici europei del Novecento.
È il primo vero esempio di romanzo introspettivo moderno nella nostra letteratura: Zeno Cosini, con le sue nevrosi, le sue contraddizioni, la sua ironia disincantata, anticipa temi esistenziali e strutture narrative che verranno pienamente sviluppate solo decenni dopo. Il romanzo è anche un ritratto pungente della borghesia italiana in bilico tra vecchio e nuovo secolo.
Perché leggerlo oggi: Perché Zeno siamo noi: insicuri, autoassolutori, sarcastici verso il mondo e verso noi stessi. E perché la voce di Svevo, colta e umanissima, resta sorprendentemente attuale.
“Il Gattopardo” di Giuseppe Tomasi di Lampedusa
Rifiutato da tutti, salvato da Giorgio Bassani
Quando Giuseppe Tomasi di Lampedusa terminò il manoscritto de “Il Gattopardo”, nessun editore volle pubblicarlo. L’autore, aristocratico siciliano appartato e privo di relazioni nel mondo letterario, morì nel 1957 senza aver visto il proprio romanzo stampato.
Fu Giorgio Bassani, scrittore e redattore per Feltrinelli, a riconoscerne la portata e a curarne la pubblicazione postuma nel 1958. La critica si divise: alcuni lo considerarono reazionario, nostalgico, irrimediabilmente anacronistico. Eppure i lettori lo elessero subito a capolavoro.
Ambientato nella Sicilia del Risorgimento, “Il Gattopardo” racconta la fine dell’aristocrazia borbonica attraverso lo sguardo malinconico del Principe di Salina, alter ego dell’autore.
È un romanzo di dissoluzione, ma anche di lucida consapevolezza: “Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi”, dice Tancredi, giovane nipote del protagonista.
In quella frase si annida tutta l’ambiguità e la modernità dell’opera.
Perché leggerlo oggi: Perché è una grande riflessione sull’identità, sulla trasformazione sociale e sul tempo. E perché la lingua di Tomasi di Lampedusa, sontuosa e precisa, è una delle più alte conquiste del nostro Novecento.
“Zibaldone di pensieri” di Giacomo Leopardi
Il capolavoro filosofico che il suo autore non pubblicò mai
Giacomo Leopardi è noto soprattutto come poeta, ma in vita fu filosofo e pensatore instancabile. A partire dal 1817 iniziò a scrivere lo “Zibaldone di pensieri”, una vastissima raccolta di riflessioni, aforismi, intuizioni filosofiche, estetiche, linguistiche e antropologiche.
Questo testo monumentale — oltre 4.500 pagine — fu tenuto nascosto, rielaborato, lasciato incompiuto e pubblicato solo settant’anni dopo la sua morte. Per lungo tempo fu ignorato o ridotto a mero “corollario” delle poesie.
Solo nel Novecento lo “Zibaldone” ha iniziato a essere studiato come opera a sé: oggi viene considerato una delle più straordinarie imprese intellettuali dell’età moderna, al pari dei “Pensieri” di Pascal o dei “Taccuini” di Kafka.
In questo diario mentale, Leopardi costruisce la sua personale filosofia del disincanto, ma anche un’indagine vivida e visionaria sulla condizione umana, la lingua, la storia, l’arte e la felicità.
Perché leggerlo oggi: Perché ci restituisce un Leopardi filosofo, visionario, moderno. E perché nelle sue pagine troviamo non solo lucidità e disincanto, ma una strenua, disperata fedeltà al pensiero e alla bellezza.