12 libri Neri Pozza da recuperare con gli sconti

26 Ottobre 2025

Un’occasione preziosa per gli amanti della buona letteratura: sconti Neri Pozza. Libri del catalogo a -20% fino al 19 novembre. Consigli di Libreriamo.

12 libri Neri Pozza da recuperare con gli sconti

Fino al 19 novembre 2025, il catalogo Neri Pozza torna protagonista con un’offerta imperdibile: -20% su una selezione di titoli che attraversano epoche, continenti e generi letterari. Dalla narrativa orientale al romanzo americano, dalla giovane letteratura europea alla saggistica internazionale, la casa editrice vicentina conferma il suo ruolo di ponte tra culture e sensibilità diverse, scegliendo storie che illuminano l’animo umano nei suoi chiaroscuri.

Abbiamo scelto alcuni titoli che raccontano il catalogo di Neri Pozza

Libri che sanno coniugare profondità e fascino, memoria e inquietudine, introspezione e avventura.

“Shantaram” di Gregory David Roberts

Shantaram” è uno di quei romanzi rari in cui l’avventura si intreccia con la ricerca spirituale, e la fuga diventa un modo di ritrovare se stessi.

Gregory David Roberts, ex studente di filosofia e attivista politico australiano, condannato a diciannove anni di carcere per rapina a mano armata, evade da una prigione di massima sicurezza e fugge fino a Bombay. Lì assume il nome Lin e, tra le baraccopoli e i vicoli di Colaba, scopre una nuova forma di libertà. Cura gli indigenti in un ospedale di fortuna, stringe amicizie tra i reietti e i mafiosi, si innamora, recita in film di Bollywood e finisce coinvolto nelle guerre di Afghanistan e Pakistan.

Attraverso un racconto di oltre mille pagine, Roberts trasforma la sua biografia in un romanzo-mondo, popolato da contraddizioni: spiritualità e violenza, amore e colpa, redenzione e dannazione. L’India diventa lo specchio dell’animo umano — caotico, brulicante, luminoso — e Lin un moderno Ulisse alla ricerca della pace interiore.

Con una scrittura densa di immagini e filosofia, “Shantaram” è una confessione epica sull’impossibilità di fuggire dal proprio destino, ma anche una testimonianza vibrante su come la compassione, persino tra le rovine, possa ancora salvare.

“Fantasmi” di Edith Wharton

“Non credo ai fantasmi, ma ho paura di loro”.

Da questa frase — insieme ironica e inquieta — nasce la raccolta “Fantasmi”, in cui Edith Wharton, maestra del romanzo sociale, rivela il suo talento più segreto: quello per il perturbante.

Fin dall’infanzia, dopo una lunga malattia che la costrinse a letto, la piccola Edith scoprì il potere della paura e la sua capacità di generare immaginazione. Cresciuta, trasformò quel terrore in arte, diventando una delle più raffinate autrici di storie sovrannaturali del primo Novecento. Le sue case stregate non sono castelli gotici, ma salotti eleganti e camere borghesi dove la solitudine, la memoria e il rimorso si materializzano.

In queste pagine, i fantasmi di Wharton non spaventano: sussurrano, osservano, ricordano. Sono proiezioni del desiderio, dell’angoscia o della colpa. Tra influssi di Poe, Henry James e Hawthorne, la scrittrice costruisce racconti di una precisione psicologica disarmante, capaci di far provare quel brivido domestico di chi si scopre estraneo nella propria casa.

Pubblicata postuma nel 1937, la raccolta torna oggi in una nuova traduzione che illumina il suo nucleo tematico: il soprannaturale come specchio della condizione umana, dove il vero spavento non è l’aldilà, ma ciò che ci abita dentro.

“L’Imaginifico. Vita di Gabriele D’Annunzio” di Maurizio Serra

Vincitore del Prix Chateaubriand 2018 e del Prix de l’Académie des Littératures 2019, L’Imaginifico è una monumentale biografia in cui Maurizio Serra restituisce, con rigore e fascino narrativo, la complessità di Gabriele D’Annunzio — poeta, soldato, dandy e mito nazionale.

D’Annunzio emerge come figura proteiforme, divisa tra l’artista e il condottiero, tra l’amante del bello e il manipolatore di simboli. Bianco come la neve e vestito con impeccabile eleganza, era insieme un Narciso e un demiurgo, capace di trasformare la vita stessa in opera d’arte. Serra segue il suo percorso dal successo mondano e letterario agli scandali, dalle passioni febbrili alle imprese eroiche, fino al ritiro al Vittoriale, dove l’esteta si fa sacerdote della propria leggenda. Attraverso lettere, diari e testimonianze, il libro scava dietro la maschera dell’“Imaginifico” per rivelare l’uomo — fragile, ossessivo, teatrale — che cercò nell’azione e nella bellezza un antidoto alla decadenza del suo tempo.

Più che una biografia, è un ritratto esistenziale: D’Annunzio come figura liminale tra Otto e Novecento, tra estetismo e modernità, tra l’eroismo e la malinconia. Un’opera che illumina la grande illusione dannunziana: fare della parola un destino e dell’arte, una religione.

“In” di Natsuo Kirino

Con “In”, Natsuo Kirino — maestra del noir psicologico giapponese — costruisce un labirinto letterario in cui verità e finzione si riflettono come specchi. Suzuki Tamaki, scrittrice di successo, sta lavorando al suo nuovo romanzo, “In” – Oscenità, ispirato a L’innocente, un libro scandaloso scritto quarant’anni prima da Midorikawa Mikio, autore misogino e venerato. Decisa a trasformare in protagonista la donna che in quel vecchio romanzo era solo un oggetto di desiderio, Tamaki parte alla ricerca della vera Maruko, l’amante segreta di Midorikawa.

La sua indagine diventa presto un viaggio dentro la corruzione del mondo letterario e dentro se stessa: tra manoscritti perduti, memorie erotiche e vendette postume, emergono figure femminili diverse ma ugualmente intrappolate nel desiderio maschile di possesso e nella crudeltà del successo.

Kirino intreccia due tempi e due romanzi in uno, mescolando autobiografia e finzione, erotismo e critica sociale. Il risultato è un’opera metaletteraria e perturbante, che riflette sulla creazione artistica, sulla rivalità tra uomini e donne e sull’ambiguità del racconto come forma di potere. Con una scrittura precisa e glaciale, “In” esplora gli abissi della psiche e dell’arte, dove ogni verità, come ogni personaggio, può essere solo una menzogna ben scritta.

“Figlie della notte” di Laura Shepherd-Robinson

Londra, 1782. Nei giardini notturni di Vauxhall, sotto lanterne tremolanti e cieli di fumo, una donna viene trovata in fin di vita. Si faceva chiamare Lucia di Caracciolo, ma il suo vero nome era Lucy Loveless — una prostituta d’alto bordo dal passato misterioso. A scoprire il corpo è Caroline Corsham, moglie del capitano Henry Corsham, che decide di indagare nonostante il disinteresse delle autorità. Per la società elegante di Mayfair, la morte di una donna di piacere non merita attenzione; ma per Caroline, schiacciata da un segreto personale e da un matrimonio logorato, quella ricerca diventa una forma di redenzione.

Tra bordelli e salotti, taverne e teatri, “Figlie della notte” attraversa una Londra georgiana brulicante di intrighi, ipocrisie e violenza. Shepherd-Robinson intreccia il rigore del giallo con la precisione del romanzo storico, costruendo una trama tesa e visivamente cinematografica, dove i peccati degli uomini “rispettabili” emergono dall’ombra delle strade basse.

Definito dal Times “il miglior romanzo storico poliziesco dell’anno”, il libro offre molto più di un mistero: è un affresco morale sul prezzo della rispettabilità e sulla voce delle donne — quelle dimenticate, tradite, cancellate — che tornano, nella notte, a reclamare la loro verità.

“Thérèse e Isabelle” di Violette Leduc

Censurato per decenni e oggi considerato un capolavoro della letteratura erotica francese, “Thérèse e Isabelle” è il romanzo più scandaloso e sincero di Violette Leduc, musa ribelle e protetta di Simone de Beauvoir. Pubblicato integralmente solo nel 2000, il libro racconta l’amore travolgente e proibito tra due adolescenti in un collegio femminile: Thérèse, alter ego dell’autrice, e Isabelle, la compagna che diventa la sua iniziazione al desiderio, alla libertà e al dolore.

Ambientato in un mondo chiuso e opprimente, il romanzo è una confessione fisica e spirituale insieme, dove la sensualità non è mai ridotta a gesto, ma diventa linguaggio: la ricerca disperata di un’identità attraverso il corpo. La scrittura di Leduc — poetica, esatta, ossessiva — è una rivelazione continua, un fluire di immagini che unisce la dolcezza e la ferocia del sentimento amoroso.

Definito “un romanzo luminoso e oscuro” (Independent), “Thérèse e Isabelle” è molto più di una storia erotica: è un atto di verità, un gesto di resistenza contro il silenzio imposto al desiderio femminile. Oggi la sua potenza rimane intatta, capace di restituire voce e corpo a una passione che la storia, per troppo tempo, aveva censurato.

“La fabbrica” di Hiroko Oyamada

In un Giappone dove il lavoro è diventato religione, “La fabbrica” di Hiroko Oyamada ritrae con umorismo kafkiano la lenta dissoluzione dell’individuo dentro la macchina aziendale. La “Fabbrica” è una città a sé: ha ponti, taxi, autobus, un fiume artificiale e persino un reparto per lo “sviluppo dei tetti verdi”. Nessuno sa davvero cosa produca, ma tutti vogliono entrarvi.

Tre personaggi — Yoshiko, giovane laureata addetta a distruggere documenti; Yoshio, briologo specializzato in muschi promosso a un reparto inesistente; e Ushiyama, ex tecnico informatico ora correttore di bozze — si muovono tra corridoi senza fine e mansioni senza senso. Tutti credono di aver ottenuto un privilegio, ma presto il tempo perde coerenza, gli spazi si dilatano, le stagioni si confondono.

La Fabbrica diventa un organismo vivo, tentacolare, che inghiotte le loro identità. Con una prosa limpida e perturbante, Oyamada mette in scena la precarietà contemporanea come incubo lucido: un mondo dove il lavoro non produce più valore, ma sopravvivenza; dove il controllo è invisibile e l’alienazione ha il volto dell’efficienza. Surreale e profondamente umano, “La fabbrica” è una parabola moderna sul capitalismo estremo, sull’oblio quotidiano e sul bisogno disperato di sentirsi ancora reali.

“2084. La fine del mondo” di Boualem Sansal

In un futuro dominato da un unico impero teocratico, l’Abistan, ogni parola, gesto e pensiero sono consacrati alla gloria di Yölah e del suo profeta Abi. La data 2084 è ovunque: scolpita nei templi, ripetuta nei discorsi, stampata nella mente dei cittadini, ma nessuno sa più cosa significhi davvero. Forse è l’inizio della guerra santa che ha cancellato la “Grande Miscredenza”, forse il giorno della rivelazione divina.

Boualem Sansal, tra i più lucidi scrittori contemporanei, costruisce una distopia che dialoga con Orwell e con la tradizione del pensiero illuminista, mettendo in scena una civiltà dove la fede è diventata strumento di controllo e la lingua stessa — l’Abilang — è stata riscritta per eliminare ogni dubbio. In questo mondo apparentemente perfetto, “morire per vivere felici” è il motto dell’esercito.

Attraverso lo sguardo inquieto di Ati, un uomo che comincia a sospettare che oltre i confini dell’Impero possa esistere un’altra verità, “2084” interroga il destino dell’umanità quando la libertà di pensare è sostituita dalla pace imposta. Visionario e implacabile, Sansal mette a nudo il pericolo eterno delle utopie totalizzanti, dove la fede o l’ideologia diventano la maschera di un potere assoluto.

“Mary” di Anne Eekhout

Anne Eekhout ricostruisce con grazia e inquietudine l’origine di Frankenstein, dando voce alla giovane Mary Shelley prima che diventasse leggenda. È il 1816, “l’anno senza estate”: un cielo oscurato dalle ceneri di un vulcano getta l’Europa in una penombra irreale.

Nella villa Diodati, sulle sponde del lago di Ginevra, Mary, il marito Percy, la sorellastra Claire, Lord Byron e John Polidori trascorrono serate di pioggia a raccontarsi storie di fantasmi. Ma gli spettri più veri abitano la mente di Mary: il ricordo della figlia perduta, la gelosia per Claire, e un trauma sepolto in Scozia, dove quattro anni prima aveva incontrato la misteriosa Isabella Baxter e l’ambiguo Mr Booth.

Eekhout intreccia storia e invenzione in un racconto febbrile sull’immaginazione come forma di sopravvivenza. Mary, a soli diciannove anni, è già segnata da lutti e passioni, ma la sua mente trasforma il dolore in visione. Da quelle notti di oppio e pioggia, dalla confusione tra realtà e incubo, nascerà la creatura che cambierà per sempre la letteratura. “Mary” non è solo un romanzo biografico, ma una discesa negli abissi della creatività femminile: il ritratto di una mente che sfida Dio, la società e la morte per generare vita con la sola forza dell’immaginazione.

“Trilogia della guerra” di Erich Maria Remarque

Riuniti in un unico volume, “Niente di nuovo sul fronte occidentale”, “La via del ritorno” e “Tre camerati” compongono la grande epopea disillusa del Novecento. Con lucidità e pietà, Remarque racconta la dissoluzione di un’intera generazione travolta dalla guerra e dalla pace che ne segue.

In “Niente di nuovo sul fronte occidentale”, l’autore trasforma la trincea in un inferno senza retorica: un’intera classe di diciottenni, spinta da discorsi patriottici, scopre il volto grottesco dell’onore e la banalità della morte. È la guerra vista dal basso, nella sua fame, nel fango, nel silenzio dei caduti.

La via del ritorno” mostra l’altro fronte, quello invisibile: il ritorno a una patria irriconoscibile, dove la disillusione è la nuova battaglia. I superstiti camminano tra macerie morali e fisiche, incapaci di reintegrarsi in un mondo che non li comprende più.

Con “Tre camerati”, Remarque completa il ciclo: la Germania schiacciata dalla crisi economica e dall’ombra del nazismo diventa il teatro di una fragile speranza di amicizia e amore. L’eroismo non è più gesto ma sopravvivenza.

In queste pagine, la guerra non finisce mai davvero: continua nella memoria, nelle ferite e nella dignità ostinata di chi rifiuta di disumanizzarsi.

“Il menestrello” di Oliver Pötzsch

Ambientato nella Germania del Quattrocento, “Il menestrello” rilegge il mito di Faust restituendolo alle sue radici storiche e popolari. Il giovane Johann Georg, detto “Faust”, cresce in un villaggio povero ma nutre un’irrefrenabile sete di conoscenza che lo isola dagli altri. Figlio di un contadino e di una madre che gli ha sussurrato di avere sangue nobile, Johann si sente destinato a qualcosa di più grande, anche se non sa cosa.

L’unica che lo comprende è Margherita, la figlia del castaldo, con la quale condivide un’amicizia segnata da silenzi e stupore. Quando nel villaggio arrivano i menestrelli — giullari mascherati, suonatori e funamboli — l’atmosfera si fa inquieta: si dice che chi danza con loro sia destinato all’inferno. Dopo la scomparsa di alcuni bambini, tra cui il fratellino di Johann, la paura si trasforma in ossessione.

E sarà allora che il misterioso Tonio del Moravia, “magister delle sette arti”, rivelerà al ragazzo un destino che sfida le leggi umane e divine. Pötzsch costruisce un romanzo d’iniziazione sospeso tra cronaca e leggenda, dove il desiderio di sapere diventa peccato e promessa insieme. Il Faust bambino è qui simbolo di un’Europa che comincia a guardare oltre i confini della fede, pagando però il prezzo della conoscenza.

“Romeo e Rosalina” di Natasha Solomons

E se la storia d’amore più celebre di sempre fosse cominciata con un inganno? Natasha Solomons ribalta il mito shakespeariano e restituisce voce a Rosalina Capuleti, la ragazza che Romeo amava prima di incontrare Giulietta.

In una Verona attraversata da musica, vino e faide senza memoria, Romeo giura a Rosalina amore eterno, promettendole matrimonio e fuga. Ma quando l’ardore si consuma e l’orgoglio vacilla, il suo sguardo già si posa su un’altra. Rosalina, destinata al convento e cresciuta nell’ombra del nome Capuleti, diventa così la prima vittima di un amore teatrale, di un uomo che sa recitare meglio di quanto sappia amare.

Delusa e furiosa, la giovane si interroga: chi è davvero Romeo Montecchi? E se il suo amore non fosse che una recita? Tra desiderio, umiliazione e riscatto, “Romeo e Rosalina” riscrive la tragedia in chiave femminile e moderna.

Solomons mostra la nascita del mito da una prospettiva negata: quella di chi resta, di chi sopravvive. In un racconto di ribellione e memoria, l’autrice ridà dignità a una donna dimenticata dalla storia, suggerendo che dietro ogni leggenda romantica si nasconde un’altra verità — più dolorosa, più umana, infinitamente più vera.

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