Superata la Spooky Season, Novembre si preannuncia un mese entusiasmante per gli amanti dei libri. Le giornate si accorciano e le temperature si fanno più rigide, ma noi non ci facciamo trovare impreparati, perché ricordiamo ancora le bellissime Coperte del Lettore della promozione Feltrinelli dello scorso anno; basterà tirare fuori la propria — e che sia “Orgoglio e Pregiudizio” o “Il conte di Montecristo”, noi siamo orgogliosi di voi allo stesso modo! — e mettersi comodi con un buon libro sulle gambe per rilassarsi dopo una giornata stressante.
Alcuni libri di novembre
Ma le case editrici stanno lavorando per noi e tra poco verranno sfornati altri libri coi fiocchi. Noi di Libreriamo siamo qui, come sempre, per aiutarvi a navigare tra le prossime uscite e abbiamo stilato una lista di dodici titoli interessanti che arriveranno presto sugli scaffali.
Pronti a scoprire quali?
“Il libro bianco” di Han Kang (Adelphi, 4 novembre)
Ne “Il libro bianco”, Han Kang distilla il lutto fino a renderlo materia luminosa. Il romanzo nasce da un gesto semplice — scrivere un libro sul bianco — ma sotto quella apparente purezza si cela un atto di ricomposizione. Il bianco, per Han Kang, non è solo colore: è un campo di riflessione sulla vita e sulla perdita, sulla possibilità che la parola restituisca forma a ciò che è svanito.
La scrittrice immagina di tornare a Seul in una primavera di magnolie e di concepire l’idea del libro proprio nel momento in cui la rinascita della natura contrasta con il ricordo della sorella maggiore, morta poche ore dopo la nascita. Solo anni più tardi, in una città straniera coperta dalla neve, quella memoria si riaccende e diventa narrazione.
Tra silenzi e immagini, Han Kang ricostruisce la vita mancata attraverso una costellazione di cose bianche: le fasce cucite per la neonata, il respiro che si condensa, i fiocchi di neve, la schiuma delle onde, la luce della luna. Ogni oggetto diventa simbolo di una sopravvivenza possibile. Il bianco è la pagina su cui si scrive la memoria, ma anche ciò che resta intatto dopo il dolore — la “parte di noi che non si corrompe”.
Nella scrittura di Han Kang convivono la precisione del rito e la leggerezza del respiro poetico: il suo linguaggio, rarefatto e visivo, si muove tra la realtà e l’assenza, trasformando il lutto in un atto d’amore.
“Il libro bianco” è una meditazione sulla fragilità e sulla cura, un’elegia che interroga il corpo, la lingua e la memoria collettiva, confermando Han Kang come una delle voci più luminose e spirituali della narrativa contemporanea.
“Implacabile” di Christopher Bollen (Bollati Boringhieri, 11 novembre)
Nel nuovo romanzo di Christopher Bollen, “Implacabile”, l’ombra del thriller incontra la brillantezza della satira psicologica. Maggie Burkhardt, ottantun anni, vedova di Milwaukee, trascorre gli ultimi mesi della sua vita nel Royal Karnak di Luxor, un hotel egiziano decadente e pieno di memorie.
Tra il caldo del deserto, i tramonti sul Nilo e la cortesia premurosa del direttore, Maggie sembra aver trovato una serenità tardiva. Per gli altri ospiti è solo un’anziana signora gentile, ospite della stanza 309. Ma dietro quell’immagine si nasconde un’inquietudine che nessuno sospetta: un bisogno ossessivo di “sistemare” la vita delle persone che incontra, come se potesse correggerne il destino.
Quando al Royal Karnak arrivano Tess, una giovane madre dal passato opaco, e il figlio Otto, di otto anni, Maggie sente risvegliarsi un istinto di protezione che confina con la mania. Vuole occuparsi di loro, accoglierli nella propria quotidianità, perfino nella propria idea distorta di famiglia. Ma quell’impulso la trascina in un nuovo gioco pericoloso — un duello mentale con un avversario inaspettato, che la costringerà a guardare in faccia la parte più spietata di sé.
Con la precisione di un orologiaio e la crudeltà elegante di Patricia Highsmith, Bollen costruisce un intreccio di solitudini, potere e desiderio di controllo. “Implacabile” è un romanzo lucido e perverso, che si muove tra Hitchcock e il noir contemporaneo, scandagliando il confine sottile tra cura e dominio, tra amore e ossessione. Un ritratto tagliente della vecchiaia come territorio di potenza e di paura, dove la lucidità diventa follia e la pietà si trasforma in arma.
“Kill Creatures. Bugie che uccidono” di Rory Power (Mondadori, 4 novembre)
Una notte d’estate quattro ragazze sfidano il buio: una barca rubata, un ultimo tuffo nel fiume, l’idea che l’amicizia possa tenere lontani tutti i pericoli. Ma solo Nan torna a casa; Luce, Edie e Jane svaniscono nelle gole del canyon. Un anno dopo, alla veglia in loro memoria, dalle acque riaffiora un corpo. È Luce. Respira, parla, sorride: un miracolo, dicono tutti.
Tutti tranne Nan, che serra i pugni perché sa qualcosa che non può confessare: ricorda il momento in cui l’ha uccisa. Eppure Luce è lì, con la stessa voce e gli stessi gesti, come se la morte fosse stata un malinteso. Quando, a ruota, ricompaiono “vive” anche Edie e Jane, la festa si trasforma in incubo.
Tra pettegolezzi di provincia, memorie che scivolano, gelosie mai guarite, Rory Power costruisce un thriller allucinato in cui l’identità è una superficie fragile e l’amore tra adolescenti brucia fino a lasciare cenere. Nan deve scegliere: proteggere la versione rassicurante della storia o affrontare la verità — che odora di fango, sangue e desideri sbagliati — prima che le “creature” create dalle loro bugie divorino anche lei.
“La lunga ombra” di Celia Fremlin (Sellerio editore Palermo, 11 novembre)
Ivor, professore carismatico e tirannico, è morto da poco in un incidente. La moglie Imogen affronta il primo Natale da vedova nella grande casa di campagna: pareti che ricordano, neve che ovatta, parenti che arrivano con dolci e sorrisi. Di notte, però, il telefono squilla: una voce anonima la accusa di aver ucciso suo marito. È uno scherzo crudele? O qualcuno sa più di quanto dice?
Intanto la dimora si riempie: figli, nipoti, consuoceri, un’amante del passato, ogni ingresso una frattura nell’equilibrio già precario. Piccoli incidenti, biglietti insinuanti, una bottiglia di whisky abbandonata nello studio del patriarca, il vecchio travestimento da Babbo Natale che torna a infestare i sogni dei bambini: tutto si somma in un crescendo hitchcockiano.
Imogen, a lungo schiacciata dall’ombra di Ivor, scopre di conoscere meglio di chiunque l’egoismo e i veleni della “famiglia allargata”. E più cerca di proteggere la facciata, più la verità bussa alle finestre ghiacciate. Con ironia tagliente e suspense psicologica, Fremlin mette in scena il teatro domestico delle menzogne: un Natale di convenienze e rancori che conduce, passo dopo passo, a un finale di fredda, inesorabile lucidità.
“Il caffé della luna piena” di Mai Mochizuchi (Mondadori, 4, novembre)
Tra le vie silenziose di Kyoto, solo nelle notti di luna piena, appare un luogo che non esiste sulle mappe: una roulotte illuminata da lanterne di carta e profumata di dolci appena sfornati. È il “Caffè della Luna Piena”, gestito da un misterioso chef e da tre gatti astrologi che sembrano conoscere il destino dei clienti meglio di loro stessi.
Qui non si ordina: sono i gatti a decidere cosa servire, scegliendo la bevanda o il dessert capace di curare i cuori smarriti. Nel corso di quattro notti diverse, la luna riunisce persone che hanno perso la strada: Serikawa, ex sceneggiatrice di successo ora prigioniera dell’insicurezza; Akari, che non riesce a lasciarsi alle spalle un amore sbagliato; Megumi, costretta a scegliere tra carriera e libertà; e Mizumoto, tornato nella sua città per affrontare il passato. Ogni incontro è una costellazione: tra una tazza di latte stellare e un pancake al burro di plenilunio, le loro carte astrali rivelano che le ferite e i desideri umani si intrecciano come pianeti in orbita.
Mai Mochizuki fonde la poesia giapponese della rinascita con l’incanto zodiacale dell’Occidente, costruendo una favola contemporanea sulla necessità di rallentare, ascoltare e accettare ciò che la vita – o le stelle – hanno già scritto per noi. Un romanzo dolce come un sogno e luminoso come la luna che lo ispira.
“Quello che possiamo sapere” di Ian McEwan (Einaudi, 4 novembre)
Nel 2014, durante una cena fra amici in campagna, il celebrato poeta Francis Blundy legge un componimento intimo dedicato alla moglie Vivien: la “Corona per Vivien”. Quel testo non verrà mai pubblicato e, nel giro di poco, sembrerà svanire dalle carte e dai ricordi.
Un secolo dopo, in un’Europa in gran parte allagata da un Grande Disastro, lo studioso Thomas Metcalfe – specialista della letteratura 1990-2030 – insegue proprio quel fantasma. La Bodleiana è stata trasferita tra le montagne della Snowdonia per salvarla dalle acque, la ricerca è scomoda e lenta, ma Thomas è convinto che la Corona nasconda un nodo amoroso e forse un crimine rimasto impunito.
Dai diari e dalle lettere riemergono figure magnetiche: Vivien, brillante e irrisolta; il suo primo marito Percy, liutaio dal talento inquieto; gli amici che ruotavano attorno ai Blundy, tra rivalità, desideri e gelosie. L’eco di un leggendario banchetto letterario – modellato sul “Secondo Immortal Convivio” dell’Ottocento – suggerisce verità taciute e mosse di potere. Ma della poesia, ancora nessuna traccia. Che fine ha fatto? Perché qualcuno ha voluto cancellarla?
Seguendo un filo che attraversa secoli e rovine, Metcalfe intraprende una caccia al tesoro erudita e romanzesca, in cui ogni indizio illumina il passato e insieme racconta il presente: l’ossessione per la memoria, la nostalgia di un mondo perduto, il bisogno di storie per non cedere al senso di catastrofe.
Quando il puzzle finalmente combacia, non è solo una poesia a riemergere: cambiano le biografie, si incrinano certezze, e diventa chiaro “quello che possiamo sapere” – e ciò che, inevitabilmente, sfugge.
“Il miglior libro del mondo” di Manuel Vilas (Guanda, 4 novembre)
Ogni mattina, uno scrittore si sveglia con un compito impossibile: scrivere “il miglior libro del mondo”. Fa colazione, accende il computer, e si siede davanti al vuoto. Ma tra un paragrafo e l’altro, affiorano domande più grandi della pagina stessa: che senso ha creare, quando la vita – con la sua assurda bellezza e il suo disordine – è già il miglior romanzo possibile?
Manuel Vilas costruisce da questo paradosso un testo ironico, spiazzante e struggente, dove realtà e finzione si confondono come in uno specchio deformante. L’autore si mette a nudo con un coraggio disarmante, raccontando le ossessioni e le fragilità dello scrivere: la fame di riconoscimento, la paura di fallire, il desiderio di lasciare un segno che resista al tempo.
Ogni frase diventa una confessione, un atto d’amore e di ribellione insieme, una risata dentro la malinconia. Tra autoironia e lirismo, Vilas trascina il lettore in un viaggio dentro la mente di chi vive di parole: un luogo abitato da ansie, rivalità, e sogni troppo grandi per la realtà.
Il risultato è un romanzo che parla di solitudine creativa, di dialoghi interiori con i grandi del passato e del senso eterno di inadeguatezza che accompagna ogni artista. Con il suo stile esuberante e poetico, “ Il miglior libro del mondo” è una riflessione sul mestiere dello scrivere, ma anche un elogio della vita stessa — caotica, imperfetta e infinitamente più grande di qualsiasi libro.
“Regretting You. Tutto quello che non ti ho detto” di Coleen Hoover (Sperling & Kupfer, 18 novembre)
Morgan e Clara Grant, madre e figlia, non potrebbero essere più diverse. Morgan ha sacrificato i propri sogni troppo presto: è diventata madre giovane, ha costruito una famiglia perfetta solo in apparenza e ora cerca disperatamente di proteggere sua figlia dagli stessi errori.
Clara, invece, vive sospesa tra rabbia e incomprensione: rifiuta la prudenza materna e sogna un futuro in cui poter scegliere da sola chi essere e chi amare. A tenere insieme il fragile equilibrio familiare è Chris, marito di Morgan e padre di Clara.
Ma quando un incidente improvviso e sospetto lo porta via, tutto crolla. Madre e figlia si ritrovano sole in un silenzio pieno di parole non dette, costrette a confrontarsi con segreti, bugie e una verità che cambia per sempre il modo in cui si guardano. Morgan, distrutta, trova conforto dove meno se lo aspetta, mentre Clara si rifugia nell’amore proibito di un ragazzo che le era stato vietato. In questo intreccio di colpa, dolore e riscoperta, Colleen Hoover costruisce un romanzo sull’amore in tutte le sue forme — quello che unisce e quello che ferisce, quello che rimane anche quando tutto sembra perduto.
Con la sua scrittura limpida e intensamente emotiva, Hoover racconta la distanza tra genitori e figli, l’impossibilità di proteggere chi si ama e la difficile arte del perdono. “Regretting You” è una storia di ferite familiari e rinascite silenziose, in cui il rimpianto diventa un modo per capire quanto vale davvero la verità, e quanto amore può nascondersi dentro l’errore.
“La bugia dell’orchidea” di Donato Carrisi (Longanesi, 11 novembre)
Immagina un’alba estiva in campagna, l’aria ferma, il canto dei grilli, panni stesi che non si muovono. Al centro, un casale rosso: una casa qualunque, una famiglia qualunque. Tre bambini, due genitori che agli occhi di tutti sono amorevoli. Poi, il buio arretra davanti al giorno e quel silenzio immobile si spezza con un urlo. Quando la quiete torna, non è più la stessa.
Dentro il casale qualcosa si è spezzato per sempre: il quadro della famiglia perfetta va in frantumi e resta un’unica certezza, la più insidiosa di tutte — la verità sembra lì, a portata di mano, così lineare da non ammettere dubbi. C’è un solo sopravvissuto, un solo possibile colpevole, ogni indizio punta nella stessa direzione. Eppure le storie non finiscono quando crediamo di aver capito tutto: cominciano.
Carrisi costruisce attorno a quella notte d’agosto un labirinto di indagini e memorie, confessioni metà sussurrate e metà taciute, bugie che si annidano nei dettagli minimi — il giocattolo abbandonato sulla ghiaia, la mosca che ronzava sul secchio, le galline agitate senza motivo.
A ogni pagina la versione “giusta” dei fatti si incrina e riappare con una luce diversa, come se la casa stessa custodisse una regola nascosta. Chi ha mentito, e perché? Che cosa protegge davvero una famiglia: l’amore o il segreto condiviso?
Nel cuore del mistero, un’orchidea: bellezza rara che fiorisce solo in condizioni precise, emblema di una menzogna perfetta. Quando l’ultima foglia cadrà, scopriremo che la verità è più crudele — e più umana — di quanto immaginavamo.
“Notti nere. Un’avventura del commissario Bordelli” di Marco Vichi (Guanda, 4 novembre)
Giugno 1970. L’Italia guarda i Mondiali in Messico, le piazze si riempiono di ragazzi e soprattutto ragazze che rivendicano diritti, il vento del cambiamento soffia impetuoso. A Firenze, l’ex commissario Franco Bordelli osserva questo nuovo mondo dalla distanza della pensione: ha tempo per ricordare la madre, la guerra, i casi che non hanno trovato pace; ha anche un futuro a cui pensare, con la fidanzata Eleonora, e un’idea ostinata di giustizia che non lo abbandona.
Ma il crimine torna a bussare alla sua porta. Piras, il suo vecchio vice prossimo a diventare commissario, continua a chiedergli consiglio e lo coinvolge di nuovo sul campo; perfino il nuovo questore sembra non poter fare a meno del suo fiuto. Bordelli, sospeso tra la fatica del mestiere e la tentazione di lasciarsi tutto alle spalle, si ritrova immerso in una Firenze notturna e ambigua, dove allegria mondiale e inquietudine politica convivono.
Ogni pista spalanca ricordi, ogni volto riaccende domande su che cosa sia davvero Bene e che cosa sia Male, su come si riconoscano quando la realtà confonde le linee.
Tra pedinamenti lenti, dialoghi taglienti, vecchi fantasmi e nuove solitudini, Bordelli affronta un’indagine che lo costringe a misurarsi con i propri limiti e con la città che cambia: quartieri che non riconosce più, legami che si sfilacciano, una comunità che cerca un ordine possibile. Le “notti nere” del titolo sono quelle in cui la verità non arriva come un lampo, ma come una luce che si fa strada a fatica: abbastanza forte, però, da indicare il colpevole — e il prezzo umano di ogni scelta.
“Le parole della pioggia” di Laura Imai Messina (Einaudi, 11 novembre)
A Tokyo, nei giorni di pioggia, c’è chi lavora per non far sentire soli i passanti. Aya è una donna-ombrello: il suo compito è camminare accanto agli sconosciuti che escono dalla stazione, ripararli dall’acqua e, per un tratto di strada, dal peso della loro vita. Sotto quel cerchio trasparente di plastica, il mondo rallenta: le parole diventano più leggere, le confessioni più sincere, il silenzio una lingua comune.
Aya sa ascoltare. Da sempre abita quel tempo sospeso tra le nuvole, dove il dolore si stempera e ogni goccia sembra un pensiero che si scioglie. Le donne-ombrello di Laura Imai Messina sono un coro silenzioso di voci femminili che custodiscono le ferite e i desideri della città: studentesse, madri, vedove, donne che hanno perso o trovato se stesse “in un giorno di pioggia”.
Ognuna, prima di aprire il proprio ombrello, pronuncia una frase rituale, come una promessa. Aya, invece, non ha bisogno di parole: la pioggia è la sua lingua. Ne conosce ogni sfumatura — quella che cade leggera come polvere, quella profumata di ciliegi, quella densa di malinconia.
E poi c’è Toru, il giovane pugile che corre sotto l’acquazzone per non arrendersi, e che Aya osserva da lontano, seduta al termine della salita. Forse non si incontreranno mai, ma entrambi sanno che nella vita serve anche chi resta fermo, chi accetta la sconfitta e impara a guardare il mondo da un’altra prospettiva. Le parole della pioggia è una fiaba metropolitana sull’ascolto, sull’attesa e sulla dolce necessità di lasciarsi bagnare dal mondo per sentirsi vivi.
“Sotto mentite spoglie” di Antonio Manzini (Sellerio Editore Palermo, 4 novembre)
Ad Aosta l’inverno arriva con una malinconia di luci intermittenti e fiato che fuma nell’aria: è quasi Natale, ma per Rocco Schiavone non c’è nessuna tregua. La città si agita tra vetrine lampeggianti e acquisti frettolosi, mentre in questura regna il nervosismo.
Una rapina, apparentemente banale, degenera in un pasticcio colossale: qualcuno filma l’operazione e il vicequestore finisce sulle prime pagine come il bersaglio di turno.
Mentre Rocco fa i conti con lo scherno e con l’amarezza di una vita privata sospesa (Marina resta un’assenza che punge), il freddo porta a galla un caso ben più cupo: dal fondo di un lago riemerge un cadavere senza nome, incatenato a pesi da palestra. Chi voleva che non risalisse mai?
Quasi in contemporanea sparisce un chimico di un’azienda farmaceutica, uomo schivo e meticoloso: fuga volontaria, rapimento, o regolamento di conti? Le piste si incrociano, deviano, e per Rocco significa rimettere insieme intuizioni e stanchezze, fidarsi della sua squadra e del fiuto che non lo abbandona mai del tutto.
Tra indagini sul campo e carte d’ufficio, tra colleghi che provano a capirlo e superiori pronti a scaricare colpe, Schiavone avanza come può, dentro e fuori una nebbia che è meteorologica e morale. Nevica. E qualcosa, piano, si schiarisce: Sandra dà segnali di ripresa, il gruppo sembra ricompattarsi, una briciola di futuro si affaccia.
Ma dietro le “mentite spoglie” dei buoni propositi natalizi si nasconde una vendetta che ha la pazienza del ghiaccio. Rocco dovrà scegliere quando fermarsi e quando, invece, farsi ancora una volta male per arrivare alla verità.
