Non importa se sono romanzi, saggi o graphic novel, la letteratura contemporanea continua a sorprenderci con voci originali, storie necessarie e prospettive capaci di illuminare aspetti nascosti dell’esperienza umana.
In questo articolo, ti proponiamo dieci libri recenti da non perdere, scritti da autrici e autori che hanno qualcosa di autentico da dire sul mondo, sulla memoria, sulla solitudine, sul desiderio e sulla ricerca interiore.
Dalle notti insonni di Annabel Abbs alle atmosfere sensuali e underground di Vera Nevi, passando per l’introspezione filosofica di Tommaso Guido, la forza storica di Mehrmah Khanum e l’eco poetica di Kafu Nagai, questi titoli raccontano il nostro tempo in modi profondamente diversi ma tutti indimenticabili.
Sono letture che parlano a chi ha voglia di interrogarsi, viaggiare con la mente, conoscere vite distanti ma familiari, e, perché no, anche mettersi in discussione. Alcuni affondano le radici nel passato, altri esplorano il presente con lucidità e coraggio. Tutti, però, hanno qualcosa da dire a chi ha ancora fame di storie vere, emozionanti, non scontate.
10 libri che devi leggere se vuoi totalmente rilassarti nel fine settimana
Ogni libro che abbiamo selezionato è un invito a guardare oltre la superficie. Che si tratti del minimalismo struggente de L’Isolo, della rabbia elegante di Finché nessuno muore, della dolce ribellione di Junika o dell’eredità intellettuale di Jane Austen, queste opere ci ricordano che la letteratura continua ad avere un potere straordinario: quello di svelarci a noi stessi, aprire finestre su altri mondi e farci sentire meno soli.
Che tu stia cercando un libro per riflettere, per commuoverti, per comprendere meglio il tuo corpo o per esplorare il mistero di un luogo lontano, in questa selezione troverai sicuramente qualcosa che ti parlerà. Perché i buoni libri, proprio come le buone notti, non si dimenticano mai.
“Le magnifiche vite precedenti del Buddha – i Jataka“
Come si racconta l’illuminazione prima dell’illuminazione? Le magnifiche vite precedenti del Buddha è una raccolta che risponde a questa domanda con grazia, ironia e profondità.
I Jataka, testi cardine del buddhismo Theravāda, narrano le molteplici reincarnazioni del Buddha prima della nascita come Siddhartha Gautama. E lo fanno in modo sorprendente: attraverso fiabe, leggende e racconti popolari, dove l’Illuminato si incarna in animali, spiriti, mendicanti, sovrani e mercanti.
Questi racconti, tradotti dal pali da Genevienne Pecunia e curati insieme a Tea Pecunia, compongono un vero e proprio affresco dell’etica buddhista, fatto di compassione, generosità, sacrificio, saggezza e umiltà.
Ma non si tratta solo di insegnamenti spirituali: ciò che colpisce è l’universalità delle storie, il tono vivo e immediato, che sembra uscito dalla bocca di un cantastorie seduto sotto un albero.
La narrazione non è mai distante né dogmatica: al contrario, ci si affeziona a queste figure archetipiche, si ride, si riflette, si resta spiazzati dal modo in cui il sacro si mescola all’umano.
La scrittura è fluida, elegante nella resa ma semplice nella forma, ideale sia per chi vuole approfondire il buddhismo, sia per chi cerca un libro spirituale ma accessibile, narrativo e ricco di suggestioni.
Le magnifiche vite precedenti del Buddha è un’opera che unisce la forza della tradizione alla bellezza della narrazione. Ci ricorda che ogni vita, anche la più piccola o improbabile, può custodire una verità preziosa.
E che il cammino verso la consapevolezza passa anche dal riconoscere l’umanità che abita ogni creatura, ogni storia, ogni reincarnazione.
“Un anno con Jane Austen” di Liliana Rampello
Non è soltanto un omaggio all’autrice che ha ridefinito il romanzo di formazione femminile, ma anche un invito a rileggere la grande scrittrice inglese con occhi nuovi.
Liliana Rampello, una delle studiose italiane più attente al pensiero e allo stile di Jane Austen, costruisce un vero e proprio calendario letterario in 365 tappe.
Ogni giorno dell’anno è accompagnato da una citazione tratta da uno dei sei romanzi maggiori della scrittrice o da un frammento dei suoi scritti minori, seguito da una riflessione che fonde analisi critica, suggestione emotiva e osservazione contemporanea.
Rampello non si limita a un’operazione celebrativa, ma tenta di restituire la modernità di Austen, scavando nel cuore della sua scrittura.
L’autrice ci invita a riconoscere quanto siano attuali i temi affrontati da Austen: la posizione sociale delle donne, la libertà e l’autonomia femminile, l’educazione sentimentale, il ruolo dell’ironia come forma di resistenza.
Austen, ci ricorda Rampello, scriveva dalla canonica di Steventon ma sapeva osservare il mondo come pochi. I suoi personaggi femminili non sono mai vittime: sono donne complesse, capaci di desiderare, giudicare, scegliere.
Figure come Elizabeth Bennet, Anne Elliot, Elinor Dashwood o Emma Woodhouse diventano, grazie all’analisi di Rampello, archetipi letterari ma anche specchi in cui molte donne di oggi possono ancora riconoscersi.
Ciò che rende prezioso questo volume è anche la struttura: non è un saggio accademico, ma nemmeno un semplice diario di lettura. È piuttosto una forma ibrida, perfetta per chi desidera mantenere un contatto quotidiano con l’opera di Austen, riscoprendo a ogni pagina l’eleganza della sua lingua, la musicalità delle sue frasi, la capacità di costruire dialoghi memorabili.
Rampello ci mostra come Austen riesca a cogliere l’essenza delle relazioni umane, restituendo i moti del cuore e i drammi del quotidiano con una lucidità che disarma.
Tra le righe, emerge anche una riflessione sulla lettura come atto trasformativo. Rampello suggerisce che leggere Austen ogni giorno è un esercizio non solo intellettuale, ma anche affettivo.
In un mondo che corre veloce, concedersi un frammento di Austen può diventare un gesto di resistenza, un modo per rieducare lo sguardo, per ascoltare le sfumature delle emozioni, per riabituarsi alla profondità. “Un anno con Jane Austen” si inserisce con intelligenza e passione nel filone delle riscritture affettive del canone.
Liliana Rampello, con garbo e precisione, accompagna il lettore in un viaggio che è insieme letterario e esistenziale. Il suo stile è curato ma mai ampolloso, accessibile ma mai superficiale.
Ne risulta un libro capace di dialogare con il lettore comune e con lo studioso, con chi ha amato Austen da sempre e con chi la incontra per la prima volta.
Una lettura preziosa per chi crede che la letteratura possa ancora illuminare il quotidiano, consolare, interrogare e, soprattutto, insegnare a guardare il mondo con uno sguardo più acuto e consapevole.
“Mai fidarsi delle donne insonni” di Annabel Abbs
Mai fidarsi delle donne insonni, della scrittrice e saggista britannica Annabel Abbs, è uno di quei testi preziosi che riescono a restituire dignità all’inquietudine, senso al dolore e libertà al silenzio.
Perché l’insonnia, condizione debilitante, spesso sottovalutata, qui diventa motore di un’esplorazione fisica, filosofica e creativa. Un viaggio nella notte e nelle sue possibilità più sovversive, attraverso un racconto autobiografico che intreccia scienza, letteratura, storia dell’arte e femminismo.
Annabel Abbs è una delle voci più originali della saggistica narrativa contemporanea, già nota per aver esplorato la vita di donne visionarie come Frieda von Richthofen e Lucia Joyce.
In questo nuovo libro, edito in Italia da Einaudi, parte da una condizione personale: l’insonnia cronica che la accompagna sin da bambina, aggravata nel 2020 da un’ondata di lutti e dolori personali.
Invece di soccombere, però, Abbs decide di “seguire l’insonnia”, di ascoltarne le implicazioni più profonde, trasformandola da nemica a compagna di viaggio.
Da qui prende forma un libro difficilmente incasellabile, a metà tra memoir, reportage e saggio letterario. L’autrice non si limita a esplorare le dinamiche neurologiche e fisiologiche del sonno interrotto, ma attraversa i paesaggi del mondo e della cultura in cerca di affinità notturne.
Parte dal Sussex e arriva al Polo Nord, dorme all’addiaccio nelle foreste, si immerge nel Canale della Manica, cammina ore al buio nei sentieri più remoti dell’Europa e dell’Asia.
Ad accompagnarla non è solo il suo Sé Notturno, un alter ego più sensibile, rabbioso, curioso e intuitivo, ma soprattutto la compagnia ideale di artiste e pensatrici che nel buio hanno trovato libertà e ispirazione.
Ed è qui che il libro si accende di una luce particolare. Perché Abbs ci porta con lei alla scoperta di un “pantheon di insonni”: Virginia Woolf, Georgia O’Keeffe, Jean Rhys, Louise Bourgeois, Lee Krasner, Mary Webb, Laura Cereta.
Donne che, come lei, hanno abitato la notte non solo come rifugio, ma come spazio di sovversione e potenza creativa. Il buio, spesso associato alla paura, al disordine, al caos, viene qui ribaltato: diventa tempo di autenticità, di dialogo con sé stesse, di disobbedienza alla narrazione lineare del giorno, della produttività, della conformità.
Scritto con una prosa poetica, ricca di riferimenti e mai pedante, “Mai fidarsi delle donne insonni” è un inno alla complessità del vivere notturno.
Abbs riflette sull’inadeguatezza della medicina moderna nel trattare l’insonnia femminile, ma anche sul potere delle ore che “nessuno vuole”.
E soprattutto, lancia un messaggio fortissimo: la notte può diventare un tempo politico. Un tempo in cui, finalmente, le donne smettono di essere soltanto figlie, madri, mogli, lavoratrici, e tornano ad abitare se stesse.
Non è un caso che la scrittrice parli esplicitamente di un “Sé Notturno” come entità liberata, più sincera, più connessa con il corpo e l’istinto.
In un’epoca che ci spinge a performare giorno e notte, Abbs ci ricorda il valore della veglia come resistenza, dell’oscurità come momento fertile e necessario.
Il titolo stesso, volutamente provocatorio, è un avvertimento e una rivendicazione: le donne insonni non sono rotte, fragili o sbagliate. Sono solo più sveglie degli altri. E forse per questo fanno paura.
In nomine matris di Lorenza Ghinelli
Con In nomine matris, Lorenza Ghinelli conferma la sua capacità di raccontare l’oscurità nei luoghi più inattesi e nei momenti più fragili.
In sole 80 pagine, la scrittrice cesella un racconto breve, ma denso di tensione emotiva e inquietudine psicologica, ambientato durante uno dei periodi più drammatici della nostra storia: l’inverno del 1943.
La protagonista, Irma, è una giovane donna sola e in fuga, che trova riparo in un convento antico e silenzioso, credendolo un porto sicuro tra le macerie della guerra.
Ma dietro le mura sacre, nulla è come sembra. In quel luogo di preghiera e raccoglimento, Irma si scontra con un orrore viscerale, inaspettato, che ha poco a che vedere con il mondo esterno e molto con il potere, la colpa e il trauma.
Ghinelli, con il suo stile essenziale ma evocativo, costruisce un crescendo narrativo dove la paura si insinua piano, come un sussurro tra i corridoi bui.
La scrittura si fa specchio dell’angoscia, e il convento diventa un labirinto simbolico: un ventre materno deformato, un luogo che invece di proteggere, divora.
Il titolo stesso, In nomine matris, richiama una religiosità capovolta, dove il materno è attraversato da violenza e ambiguità. Il racconto è una parabola sulla solitudine femminile, sulla guerra come teatro non solo di battaglie, ma di ferite interiori e abusi sotterranei.
In poco spazio, l’autrice riesce a evocare domande profonde sul sacro, sul corpo e sul potere. Perfetto per chi cerca una lettura intensa, rapida ma capace di lasciare un’eco profonda. Una prova matura, raffinata e disturbante, che conferma Lorenza Ghinelli come una delle voci più potenti del noir psicologico italiano contemporaneo.
Con Junika, Silvia Grossi ci porta nel cuore di una delle tradizioni più affascinanti e controverse dell’Oriente: quella delle Kumari, le bambine-dee del Nepal, venerate come incarnazioni del divino, ma prigioniere della perfezione. Junika è una di loro.
È stata scelta, intrappolata nel mito e separata dalla vita. Adorata come una divinità, non può toccare terra, non può piangere, non può essere una bambina.
La scrittura di Grossi è delicata e penetrante, capace di entrare nei pensieri di Junika senza mai tradire la sua età né l’aura mitica che la circonda.
Il palazzo dove vive diventa una gabbia dorata, dove le giornate scorrono tra rituali, silenzi imposti e desideri repressi. Ma Junika osserva, sogna, si interroga.
E pian piano matura dentro di sé una silenziosa ribellione. Il romanzo si svolge negli anni Novanta, un decennio cruciale per il Nepal: tra fermenti sociali, tensioni politiche e voglia di cambiamento.
Sullo sfondo di una nazione in trasformazione, Junika diventa simbolo della lotta tra destino e scelta, tra cultura e libertà personale. Grossi riesce così a intrecciare storia e intimità, sacro e umano, in un racconto che si legge come una fiaba amara, ma radicata nella realtà.
Junika è un libro potente e poetico, che pone interrogativi profondi sull’identità, sull’infanzia negata, sul potere e sul senso di sacro. È il ritratto struggente di una bambina che non può essere se stessa, ma che tenta, con tutto il suo silenzioso coraggio, di reclamare la propria voce.
Un romanzo che scuote con grazia e denuncia con tenerezza, consigliato a chi ama le storie di crescita ambientate in contesti culturali inusuali e profondamente simbolici.
Finché nessuno muore di Vera Nevi
Nel suo esordio letterario, Vera Nevi ci accompagna in una Milano che vibra di contrasti: primi anni Duemila, locali underground, rumori di bassi distorti e sogni affilati come rasoi.
La protagonista ha diciannove anni, una vita davanti e una sola certezza: non vuole essere normale. Così sceglie la via più spiazzante, più temuta, più giudicata, quella della Dominatrice.
Una scelta che è insieme provocazione e salvezza. Non si tratta solo di piacere, ma di potere, di identità, di sopravvivenza. Quello che Finché nessuno muore costruisce non è semplicemente il ritratto di una giovane donna che entra nel mondo del BDSM, ma un vero e proprio percorso di formazione attraverso i margini.
La Dominatrice è un personaggio potentissimo: mai vittima, sempre consapevole, ma comunque umana. Nevi non la idealizza e non la riduce a cliché: la narra in tutte le sue contraddizioni, tra impeto e fragilità, desiderio e malinconia.
L’elemento più riuscito del romanzo è proprio il modo in cui un’esperienza estrema come la dominazione diventa specchio delle dinamiche umane più comuni: il bisogno di controllo, la paura dell’abbandono, l’illusione dell’invulnerabilità
Ogni sessione, ogni incontro, ogni gesto rituale è anche un frammento di racconto intimo. In quel corpo in latex si agitano una figlia, una ragazza, una sopravvissuta.
Accanto alla trama erotica, mai compiacente, mai fine a se stessa, si sviluppa un secondo filone narrativo che dà al romanzo la sua tensione noir: la scomparsa misteriosa di una giovane donna, che pare avere più punti di contatto con la protagonista di quanto sembri.
Così, l’indagine esistenziale si trasforma anche in thriller psicologico, dove la ricerca della verità coincide con quella di sé. La scrittura di Vera Nevi è ruvida, sensuale, evocativa.
Sa essere cruda e poetica, diretta e onirica. Milano emerge come personaggio vivo: non la città da cartolina, ma quella sotterranea, notturna, popolata di creature erranti e anime affamate.
Un’ambientazione perfetta per una storia dove il buio non è solo fuori, ma anche dentro. Finché nessuno muore è un romanzo che sorprende per il coraggio con cui affronta temi spesso relegati all’ombra: la sessualità femminile autodeterminata, il confine tra dolore e piacere, l’arte come terapia, il desiderio come atto politico.
Vera Nevi ci regala una protagonista fuori dagli schemi, che non cerca redenzione ma comprensione. E ci invita a guardare oltre lo scandalo per scorgere la verità che pulsa sotto la pelle.
Un libro che divide, ma non lascia indifferenti. Ideale per chi ama la letteratura viscerale, per chi cerca voci nuove e disobbedienti, per chi vuole scoprire cosa succede tra un colpo di frusta e l’altro, e capire che forse, davvero, finché nessuno muore, tutto è possibile.
La cura è dentro di te di Tommaso Guido
Nel suo libro La cura è dentro di te, Tommaso Guido, infermiere olistico e divulgatore amatissimo sui social, propone un approccio alla salute che non separa, ma unisce.
Da una parte la medicina occidentale, con le sue conquiste e le sue tecnologie avanzate; dall’altra la medicina tradizionale cinese, con la sua antica saggezza sui flussi energetici, sull’equilibrio tra organi e sulle connessioni invisibili ma profondissime tra mente e corpo.
L’obiettivo? Riscoprire che la vera guarigione parte da dentro. Il testo si muove agilmente tra narrazione personale e spiegazione scientifico-divulgativa.
Guido racconta in prima persona la sua scoperta dell’universo orientale, portandoci dentro un percorso fatto di studi, pratiche e incontri, ma anche di domande esistenziali.
Il suo stile è chiaro, diretto, accessibile anche a chi si avvicina per la prima volta al tema del benessere olistico. Ciò che lo distingue è la capacità di far convivere due mondi che troppo spesso vengono visti come opposti: quello della medicina “ufficiale” e quello delle discipline energetiche, della visione sistemica del corpo umano, della spiritualità applicata alla salute.
Il cuore del libro è un messaggio semplice, ma radicale: non possiamo pensare di curarci davvero se ignoriamo le nostre emozioni, le nostre abitudini, i segnali del corpo.
Per questo Guido ci invita a considerare la malattia non come un nemico da combattere, ma come un messaggero da ascoltare. L’infiammazione, il dolore, la stanchezza cronica diventano così porte d’accesso per conoscerci meglio e prenderci cura di noi in modo più profondo.
Tra i punti di forza del libro c’è la parte dedicata all’autotrattamento: una sezione pratica che fornisce tecniche, punti energetici, piccoli esercizi quotidiani per imparare ad ascoltare e riequilibrare il proprio corpo.
Il tono è sempre rispettoso della medicina convenzionale, ma suggerisce un’integrazione intelligente, in cui il paziente non è più solo destinatario di cure, ma protagonista attivo del proprio percorso di benessere.
Guido attinge a fonti millenarie, come i testi della Cina imperiale, ma lo fa con un linguaggio contemporaneo, coinvolgente e mai dogmatico.
Il suo intento non è imporre una verità, ma aprire una strada. E lo fa con competenza e calore umano, qualità che spiegano bene il suo successo anche online.
La cura è dentro di te è un libro che unisce spiritualità e scienza, saggezza antica e modernità, offrendo al lettore strumenti concreti per migliorare la propria salute fisica, emotiva e mentale.
Un invito gentile, ma potente, a riprendere in mano la responsabilità del proprio benessere, imparando ad ascoltare ciò che il corpo già sa: che dentro di noi esiste una medicina più forte di quanto immaginiamo.
In un tempo in cui la sovrabbondanza ci travolge, di parole, di immagini, di stimoli, di richieste, L’Isolo di Maicol & Mirco arriva come un piccolo naufragio necessario.
Un fumetto che si legge in silenzio, con un po’ di malinconia e una dolcezza spiazzante, come se fosse una bottiglia con un messaggio lanciata nel mare.
Conosciuti per il loro umorismo fulminante e l’ironia tagliente dei Gli Scarabocchi, Maicol & Mirco sorprendono con un’opera intima e riflessiva, capace di mostrare un volto diverso, più vulnerabile e poetico.
L’Isolo è la storia di un uomo che ha deciso di abbandonare tutto per rifugiarsi su una minuscola isola, lontano dalla confusione del mondo, dai legami, dalle aspettative, perfino da sé stesso.
La sua scelta estrema sembra inizialmente un inno alla libertà, all’indipendenza assoluta, alla ricerca dell’essenziale. Ma sotto la superficie tranquilla delle tavole a colori e delle linee semplici si nasconde qualcosa di più profondo: un dialogo costante con la perdita, con la memoria, con le ferite non dette.
Il protagonista dice di aver trovato la verità, ma il lettore avverte che forse sta anche cercando di proteggersi da un dolore più grande.
È questa ambiguità emotiva a rendere il fumetto così toccante: la libertà non è mai del tutto pura, e ogni solitudine ha un prezzo. Le tavole, graficamente minimaliste ma dense di significato, fanno da specchio allo stato interiore del protagonista.
Il mare che lo circonda è infinito, apparentemente calmo, ma carico di simboli: è il mare dell’assenza, del tempo sospeso, della riflessione.
In questo spazio rarefatto, il lettore è costretto a rallentare, a soffermarsi, a chiedersi dove finisce la scelta e dove comincia la fuga. Maicol & Mirco riescono in un’impresa rara: raccontare la solitudine senza cadere nella retorica, evocare l’essenziale senza appesantirlo, commuovere senza cercare il dramma.
Il tono è tenero, meditativo, quasi filosofico. E il messaggio finale è tanto semplice quanto disarmante: tutti, in fondo, siamo isole circondate dal mare. Nessuno può davvero salvarci, se non noi stessi.
L’introduzione di Paolo Rossi, attore, comico, lettore entusiasta, aggiunge un tocco di familiarità e affetto al libro, come se ci dicesse: “Non temete, potete entrare in questa storia. È per voi”.
L’Isolo non è solo un fumetto, ma una parabola illustrata sulla fragilità umana, una dichiarazione d’amore verso ciò che ci spaventa di più: stare soli con noi stessi.
È un invito a guardare dentro, a contemplare l’essenziale, a trovare pace anche nel vuoto. Una lettura breve nella forma, ma lunghissima nell’eco che lascia. Chi ama le storie che parlano piano, chi cerca un libro che sappia far sentire meno soli, troverà in L’Isolo un rifugio raro e prezioso.
Prima e dopo la stagione delle piogge di Kafū Nagai
Nel cuore della Ginza degli anni Trenta, quando l’illusione della modernità cominciava a sbiadire sotto le prime piogge del disincanto, Kafū Nagai compone un romanzo di raffinata malinconia e tagliente lucidità.
Prima e dopo la stagione delle piogge, pubblicato nel 1931 e oggi riscoperto in questa nuova edizione italiana a cura di Alberto Zanonato, è molto più di una semplice cronaca metropolitana: è una critica profonda, dolente e ironica a una società giapponese in piena trasformazione, raccontata attraverso il destino ambiguo e sfuggente di una giovane donna.
Kimie, vent’anni, cameriera nel caffè Don Juan, è l’ultima erede involontaria del “mondo dei fiori e dei salici”, quell’universo fatto di geishe, caffè danzanti e amori a pagamento che stava scomparendo insieme alla vecchia Tokyo.
Attorno a lei ruotano figure maschili incapaci di comprenderla: lo scrittore-amante Kiyo’oka, il maturo libertino Matsuzaki, uomini che la desiderano ma non la vedono davvero.
Le voci maligne che la colpiscono, le molestie di uno sconosciuto, il sospetto che tutto derivi dal suo passato da prostituta, iniziata dall’amica geisha Kyōko, sono lo specchio di una società che punisce le donne per le stesse scelte che gli uomini cercano in loro.
Kimie, però, non è una vittima inerte. È scaltra, osservatrice, capace di manovrare con intelligenza un ambiente in cui ogni carezza è un calcolo, ogni promessa una trappola.
In lei, secondo Kawabata Yasunari, si condensa la vera tridimensionalità del romanzo: non una donna simbolo, ma una donna reale, con contraddizioni, desideri e paure.
Con il suo stile misurato e distaccato, Kafū Nagai tratteggia questo mondo con una grazia quasi cinematografica, tanto da essere definito da Tanizaki Jun’ichirō “un rotolo illustrato moderno”.
Ogni scena è accompagnata da una pioggia che non è solo meteorologica: è pioggia interiore, pioggia di decadenza, pioggia come sipario sulla fine di un’epoca.
Il romanzo è infatti attraversato da un senso di crepuscolo, in cui il demi-monde si dissolve sotto l’assalto del nuovo Giappone borghese, industriale, smemorato.
Prima e dopo la stagione delle piogge non indulge mai nel sentimentalismo. È elegante, ma crudele. Sensuale, ma amaro. Non offre redenzioni né morali: solo la consapevolezza che ogni stagione della vita, come quella della pioggia, porta con sé ciò che lava via e ciò che fa germogliare.
È un’opera che si legge con lentezza, come si osserva un paesaggio che si trasforma sotto il temporale. Per chi ama la letteratura giapponese d’autore, la scrittura evocativa, i personaggi femminili sfuggenti ma indimenticabili, questo romanzo è una lettura imprescindibile.
Un piccolo gioiello letterario che restituisce voce e dignità a un mondo perduto, e lo fa attraverso uno sguardo lucido, malinconico, profondo.
Da Teheran alla Mecca. Il diario di viaggio di Mehrmah Khanum, nobile persiana
Nel 1880, una donna persiana di alto rango, Mehrmah Khanum, intraprende un viaggio straordinario che attraversa non solo terre, deserti e mari, ma anche confini culturali e sociali.
A renderlo straordinario non è soltanto la destinazione, la sacra Mecca, luogo centrale dell’Islam, ma il fatto che a raccontare questa esperienza sia una donna.
Da Teheran alla Mecca non è soltanto un diario di viaggio: è un atto di autorappresentazione potente, lucido, critico, che si colloca in un contesto in cui la voce femminile era rara e spesso messa a tacere.
Mehrmah Khanum, nobile sciita di Teheran, parte il 30 agosto 1880, “quattro ore prima del tramonto”, annotando con precisione il momento astrologico propizio: già da questa scelta emerge la cura e la consapevolezza con cui affronta il pellegrinaggio.
Il suo sguardo è profondo e vigile. Non si limita a descrivere il tragitto, che tocca l’Iran curdo, i luoghi sacri dell’Iraq, fino a La Mecca, ma restituisce un vivido affresco del suo tempo, tra ostacoli materiali, tensioni sociali e pratiche religiose, con una voce che è insieme interiore e politica.
Il suo diario si distingue per l’attenzione ai dettagli quotidiani: dalle fonti d’acqua, indispensabili alla sopravvivenza nel deserto, alle descrizioni dei rituali del ḥajj, dalle interazioni con i locali alle difficoltà legate alla corruzione e ai tributi imposti lungo il percorso.
Ogni pagina riflette una tensione costante tra sacro e profano, intimità spirituale e realtà brutale del viaggio. Il suo pellegrinaggio si trasforma così in un attraversamento simbolico del ruolo della donna, del corpo e della fede, in una società dove le donne erano escluse dallo spazio pubblico.
Eppure Mehrmah Khanum non è mai un’osservatrice passiva. Pur accompagnata, non è sotto la tutela di alcun uomo. Viaggia con fermezza, autonomia e un acuto spirito di osservazione.
La sua scrittura, limpida e analitica, documenta la realtà politica e sociale dell’Impero Persiano e dei territori attraversati: dall’urbanistica delle città irachene al ruolo dei religiosi sciiti, dalle relazioni intertribali alle tensioni tra autorità locali e potere centrale.
Questa nuova edizione italiana, accuratamente curata e contestualizzata, permette al lettore contemporaneo di riscoprire una figura femminile che merita un posto di rilievo nella storia della letteratura di viaggio e nella memoria storica dell’Iran.
Il diario è anche un documento etnografico e geografico, capace di illuminare angoli del mondo e della storia spesso trascurati, attraverso la lente soggettiva eppure rigorosa di una viaggiatrice consapevole.
In un tempo in cui parlare di “sguardo femminile” è spesso un’etichetta, Da Teheran alla Mecca ci offre un esempio autentico di come una donna, già nel XIX secolo, seppe raccontare il mondo, la fede e la propria esperienza con una voce che ancora oggi risuona potente, meditativa e necessaria.