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La Buona Scuola e la differenza tra ”sapere” e ”saper fare”

Non ci sono buone notizie per la lettura nelle scuole. Nella Buona Scuola - la riforma scolastica varata dal governo in carica - in linea di principio si afferma che “La capacità di leggere e di produrre bellezza è un elemento costitutivo del nostro essere Italiani”...

Non ci sono buone notizie per la lettura nelle scuole. Nella Buona Scuola – la riforma scolastica varata dal governo in carica – in linea di principio si afferma che “La capacità di leggere e di produrre bellezza è un elemento costitutivo del nostro essere Italiani” ma concretamene non contiene alcuna ulteriore informazione. Le uniche novità sono costituite dal potenziamento della lingua Inglese, della Storia dell’Arte e della Musica.

 

Certamente le istanze di rinnovamento sono state dettate certamente da altre esigenze riguardanti l’aggiornamento dei contenuti didattici ma i pedagogisti e gli insegnanti sono concordi nell’affermare che oggigiorno è indispensabile “sapere” per “saper fare”, un’espressione che ha molti significati: avere una solida cultura generale per entrare facilmente nel mondo del lavoro, per superare un test per iscriversi all’università, per svolgere con competenza la propria professione che richiede continui aggiornamenti o, più semplicemente, per affrontare con maggior consapevolezza i problemi quotidiani. Un esercizio che – a scuola e fuori da essa – si nutre di un aggiornamento continuo perché nel mondo attuale la conoscenza conta più che in passato. Secondo i dati di un sondaggio dell’Ocse – che fa una classifica del livello di istruzione per essere in grado di comprendere un questionario o il titolo di un giornale – fra quasi trenta paesi industrializzati l’Italia occupa il penultimo posto con il 68,2% della popolazione, seguita solo dal Portogallo.

 

In effetti, a scuola si legge sempre di meno, eccetto che nell’elementare e media inferiore. Al biennio delle superiori la lettura obbligatoria è limitata a uno o due classici (I promessi Sposi, l’Eneide), al triennio alla Divina Commedia. Naturalmente gli insegnanti possono arricchire volontariamente il ventaglio della lettura con altri libri o con quotidiani ma manca uno spazio organico, regolamentato espressamente dalla legge. L’abitudine a leggere si acquisisca fin dall’età scolare. Non meraviglia, dunque, che aumentino coloro che non leggono nemmeno un libro all’anno. Soprattutto se il Ministero della Pubblica Istruzione non fa niente per invertire la tendenza.

 

Giuseppe Sangregorio

 

2 marzo 2015

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