“Zootropolis 2”, il ritorno di Judy e Nick al cinema

16 Dicembre 2025

“Zootropolis 2” riporta Judy e Nick al centro di un nuovo caso: una città in espansione, nuove fratture sociali e un mistero da svelare. Al cinema.

“Zootropolis 2”, il ritorno di Judy e Nick al cinema

Zootropolis non è mai stata soltanto una “città di animali”: è un esperimento sociale travestito da buddy movie, un posto dove i quartieri cambiano clima nel giro di un isolato e dove la convivenza, quando funziona, sembra una magia; quando si incrina, diventa un caso di polizia.

È anche per questo che il ritorno con “Zootropolis 2” non suona come un semplice sequel, ma come una nuova occasione per rimettere sotto la lente quell’equilibrio fragile tra istinto e civiltà, tra stereotipo e verità, tra ciò che crediamo di essere e ciò che gli altri ci vedono addosso.

Disney lo presenta come il seguito di un film che ha superato il miliardo al box office ed è stato premiato agli Oscar, e l’idea è chiara: ripartire da un mondo già amatissimo, ma spingerlo fuori dalla comfort zone, in territori ancora inesplorati della metropoli.

“Zootropolis” prima di “Zootropolis 2”

Nel primo film, Judy Hopps arrivava a Zootropolis con l’energia di chi crede davvero nelle regole e nella possibilità di riscrivere il proprio destino, anche quando il mondo ti ripete che “non è per te”.

Nick Wilde, al contrario, era l’anima disincantata: uno che ha imparato presto quanto sia facile venire incasellati, e quanto sia conveniente, a un certo punto, interpretare la parte che gli altri si aspettano.

Il loro incontro funzionava perché metteva insieme due velocità diverse, due modi opposti di stare nel mondo, e li costringeva a diventare squadra senza addomesticarsi troppo. Ma “Zootropolis” funzionava soprattutto perché, dietro la commedia e l’azione, parlava di bias: paura e manipolazione. Erano messaggi infilati lì, nelle pieghe e nelle espressioni, nelle battute, nella retorica “sicura” con cui una città può convincersi che discriminare sia una forma di autodifesa.

La metropoli, con i suoi distretti e i suoi codici, era già un personaggio: una macchina perfetta finché non si inceppa, e allora costringe tutti a scegliere da che parte stare.

Una coppia investigativa e una domanda morale

La domanda, in fondo, era semplice e cattiva: cosa succede quando la paura diventa una scorciatoia politica, e l’identità degli altri si riduce a un’etichetta? Judy e Nick attraversavano il caos come due anticorpi, ma con ferite personali ancora aperte. Era questo a rendere il film così “adulto” pur restando adatto a tutti: non c’era solo il giallo da risolvere, c’era un modo di guardare il mondo che cambiava, a costo di perdere certezze.

In “Zootropolis 2” Judy Hopps e Nick Wilde tornano in servizio e finiscono dentro un nuovo mistero, innescato da un nuovo arrivato capace di scombussolare la città.

Secondo le informazioni diffuse, la miccia narrativa è un personaggio chiamato Gary De’Snake (doppiato da Ke Huy Quan, Max Angioni in Italia), una presenza “disturbante” che trascina la coppia in un’indagine più grande, fatta di infiltrazioni e di zone della città che non avevamo ancora visto, tra ambienti come paludi e dune desertiche.

E c’è un dettaglio che conta, perché dice molto del tono: non è un sequel “statico”, chiuso dentro lo stesso perimetro. L’idea è espandere lo spazio, farlo respirare, mostrare nuove aree e nuove comunità animali. Non solo per stupire visivamente, ma perché ogni quartiere di Zootropolis è sempre stato una metafora sociale: cambiare scenario significa cambiare regole, e quindi mettere davvero alla prova Judy e Nick.

Il nuovo caso

Un intruso, un mistero, una città che cambia umore

Il “mistero” sembra costruito in modo da fare leva su ciò che nel primo film era già fortissimo: la città come ecosistema emotivo, pronto a polarizzarsi. Judy e Nick, che nel primo capitolo imparavano a fidarsi l’una dell’altro, qui devono difendere la loro partnership dall’usura. L’indagine, per come viene descritta, diventa un viaggio che li costringe a rinegoziare ruoli e metodi: non basta essere bravi, bisogna essere sincronizzati.

Cosa può aggiungere senza ripetersi

Il rischio dei sequel, quando il primo capitolo è diventato un classico moderno, è sempre lo stesso: rifare la stessa corsa con un paio di ostacoli in più. “Zootropolis 2” può evitarlo proprio grazie alla natura del suo mondo.

Perché Zootropolis non è un’ambientazione neutra, ma una città-mondo, un laboratorio narrativo in cui puoi cambiare tema senza tradire il DNA della saga. Se nel primo film il focus era la costruzione del pregiudizio e la manipolazione della paura, qui la domanda potrebbe spostarsi su un’altra frattura: cosa succede quando una società apparentemente “riparata” scopre di essere ancora vulnerabile? Che forma prende l’insicurezza quando non puoi più chiamarla emergenza?

Judy e Nick: l’intimità di una partnership che deve crescere

Una delle cose più riuscite del primo film era il modo in cui Judy e Nick diventavano una coppia investigativa credibile: non perfetti, non sempre d’accordo, ma capaci di costruire un linguaggio comune. Un sequel davvero centrato può fare qualcosa di più difficile: raccontare la fase in cui la fiducia non è più una conquista, ma un lavoro quotidiano. Se l’indagine li porta sotto copertura e li trascina in nuove zone, la loro intesa verrà testata non solo dall’esterno, ma da ciò che ognuno porta dentro.

Una città più grande significa anche una città più contraddittoria

Espandere Zootropolis non è solo “aggiungere scenari”. È moltiplicare le regole sociali, i microclimi culturali, le gerarchie invisibili. Paludi e deserti non sono soltanto ambienti spettacolari: sono luoghi che, in una narrazione come questa, diventano mentalità. Più la città si espande, più aumenta il numero di identità possibili, e quindi anche il numero di conflitti, di incomprensioni, di paure.

Anche il suono fa worldbuilding

Nel primo film, la musica pop di Gazelle era un elemento di costume, una firma di mondo: dava la sensazione che Zootropolis avesse un sistema mediatico, idoli, mode. In “Zootropolis 2” la componente musicale torna con una promessa precisa: nel teaser si parla di un brano originale (“ZUTU”) eseguito da una band fittizia, i LEMEEENS, e Shakira ha lasciato intendere nuovi contenuti musicali e coreografici per Gazelle.

Questo non è un dettaglio da marketing e basta. In un universo così, la musica è un termometro sociale: racconta cosa è “mainstream”, cosa è marginale, cosa è accettabile. Se il film gioca con un nuovo “intruso” che destabilizza la città, è plausibile che anche l’immaginario pop venga usato come specchio: quanto velocemente una società trasforma un evento in trend, quanto facilmente lo banalizza, o lo demonizza.

Perché “Zootropolis 2” è un film che piace anche agli adulti

C’è un equivoco ricorrente: l’animazione come genere “per bambini”. “Zootropolis” aveva già smentito questa idea, perché si reggeva su un giallo ben costruito e su un sottotesto politico-sociale leggibile a più livelli. Disney stessa insiste sull’identità del primo film come fenomeno globale e premiato, e il seguito si inserisce in quella scia: un grande titolo popolare, sì, ma con la possibilità concreta di dire qualcosa sul presente senza trasformarsi in un sermone.

Il punto è che “Zootropolis” ha un vantaggio raro: può raccontare dinamiche umane senza nominare direttamente categorie reali, e proprio per questo arrivare in modo più netto. Può parlare di paura del diverso, di panico morale, di capri espiatori, di propaganda, di identità pubblica e privata, e farlo attraverso una narrazione che resta intrattenimento. Se “Zootropolis 2” mantiene questa intelligenza, potrebbe essere uno di quei sequel che non servono solo a “tornare” in un mondo amato, ma a farlo maturare.

Un ritorno, ma anche una scommessa

Se la premessa è quella di un nuovo caso che mette in crisi la città e costringe Judy e Nick a inseguire la verità in territori sconosciuti, “Zootropolis 2” ha già in mano un’ottima leva narrativa: l’idea che l’ordine non sia mai definitivo. Che una metropoli, anche quando si racconta come inclusiva e moderna, possa essere attraversata da scosse improvvise. E che, quando succede, la differenza la faccia sempre la stessa cosa: non l’eroismo, ma la capacità di vedere l’altro come individuo, non come categoria.

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