Un SMS e un numero sconosciuto: è così che inizia il calvario descritto in questo docufilm Netflix intitolato “Numero sconosciuto: uno scandalo di cyberbullismo” — titolo originale: “Unknown Number: The High School Catfish”.
Un messaggio senza volto, e poi un altro
Allusioni, oscenità, minacce. Netflix ricostruisce un caso reale e recentissimo: due adolescenti statunitensi diventano il bersaglio di una persecuzione digitale che si insinua nei loro cellulari e li segue dove dovrebbero sentirsi più al sicuro, in casa.
Uscito il 29 agosto 2025, il docufilm ha già sconvolto parecchio e riscosso grande successo fino ad approdare sulle piattaforme social come TikTok. La regia è di Skye Borgman, autrice fra gli altri di “La ragazza nella foto”; il risultato è un true crime che non spettacolarizza il dolore, ma lo documenta con freddezza e spinge lo spettatore a empatizzare con le vittime.
L’assedio: quando la violenza diventa notificabile
Il dispositivo narrativo è semplice e feroce: i messaggi non hanno un volto, ma hanno orari, ritmi, strategie. I due ragazzi — un’adolescente e il suo fidanzato — vengono travolti da un flusso che si riorganizza di continuo, anche perché il mittente cambia numeri e strumenti, sfruttando app che rendono difficile il tracciamento e il blocco.
L’ansia diventa ambientale: a scuola, in camera, in strada, il telefono è un detonatore. E l’“arena” non è più solo la chat, ma la vita sociale della piccola città in cui vivono.
La regia di Borgman: un’indagine fredda, un montaggio che stringe
È un documentario true crime disponibile su Netflix, scaricabile per la visione offline; durata: 94 minuti. La scheda ufficiale parla di un film “twisty” — traduzione: attento ai colpi di scena — ma il valore del titolo sta soprattutto nella pazienza con cui accompagna lo spettatore dentro il meccanismo del cyberbullismo.
Borgman evita i virtuosismi e sceglie una regia sobria: interviste, materiali investigativi, voci fuori campo essenziali. Il montaggio fa crescere la pressione poco a poco, tenendo lo spettatore vicino ai ragazzi, ma lasciandolo anche nell’incertezza che attraversa la comunità: chi c’è dietro? Un compagno? Uno sconosciuto? Qualcuno di casa? L’autrice aveva già mostrato una sensibilità simile in “La ragazza nella foto”, dove il rigore del racconto diventava esso stesso metodo d’indagine.
Qui il controllo del ritmo serve a evitare il compiacimento e a far emergere il vuoto di protezione intorno alle vittime.
Non solo cronaca
Il docufilm non risponde soltanto alla domanda “chi è stato?”, ma anche al “come”: innanzitutto per via dell’anonimato — servizi di numeri usa e getta, account fake che possono essere generati in pochissimo tempo —; in secondo luogo per via dell’erosione della fiducia, una conseguenza quasi matematica del tormento di uno stalker ma anche un’arma nelle sue mani; infine la spettacolarizzazione, l’effetto spettatore, il bombardamento di notifiche nei feed.
Sono elementi che la regista rimette in fila convocando, accanto ai ragazzi, anche adulti e istituzioni: per capire quanto il problema non riguardi solo il tempo libero, ma la sfera pubblica.
Come il pubblico lo sta leggendo (e discutendo)
A pochi giorni dall’uscita, testate e piattaforme hanno rilanciato il twist e il contesto comunitario del caso, con discussioni sui limiti etici del dare spazio di parola anche alla persona responsabile: una scelta divisiva ma narrativamente utile per comprendere i meccanismi di auto-giustificazione. Altri pezzi hanno raccolto dettagli rimasti fuori dal montaggio, a complemento (non in contraddizione) con il film. Il dibattito pubblico, in questo senso, allunga il documentario, spingendo su prevenzione e protocolli.
Skye Borgman, un’autrice con un metodo
Chi ha visto “La ragazza nella foto” ricorda la progressione metodica, l’attenzione alle fonti, l’empatia senza eccessi. “Numero sconosciuto” prosegue su questa linea: la regista costruisce un racconto che non chiude tutto — perché certi traumi non si chiudono — ma lascia allo spettatore una cassetta degli attrezzi per leggere la realtà.
È anche per questo che il film “resta”: non solo per il colpo di scena, ma per la chiarezza con cui mostra come un attacco digitale possa durare mesi senza che le persone sappiano più di chi fidarsi.
Chi era davvero dietro al numero sconosciuto? (attenzione: spoiler)
Se non hai visto il film e vuoi evitare anticipazioni, fermati qui
La rivelazione del docufilm è che la persona dietro ai messaggi non era un coetaneo né un estraneo: era Kendra Licari, madre di una delle vittime. Il caso è esploso nella piccola comunità di Beal City, Michigan; dopo mesi di indagini, anche federali, le tracce digitali hanno ricondotto a lei. Licari è stata arrestata nel 2022, ha patteggiato nel 2023 ed è stata condannata a 19 mesi fino a 5 anni; è uscita in libertà vigilata nell’agosto 2024.
Oggi vive sotto restrizioni e con limitazioni nei rapporti con la figlia, mentre la famiglia cerca una forma di ricomposizione. Il film — e gli approfondimenti successivi — mostrano l’onda lunga di un tradimento intra-familiare: quando l’aggressore coincide con la persona che dovrebbe proteggerti, la ferita non è solo penale, è antropologica, perché spezza la fiducia originaria.