Il film “La ragazza del mare” è tratto da una storia vera e s’ispira alla vita di Gertrude “Trudy” Ederle, prima donna ad attraversare a nuoto la Manica. Oggi arriva in prima serata su Rai 1 (ore 21:30) e noi di Libreriamo consigliamo a tutti coloro che non l’hanno già fatto, di recuperarlo.
Il libro di Glenn Stout
Il film si basa sul volume di Glenn Stout che s’intitola “Young Woman and the Sea: How Trudy Ederle Conquered the English Channel and Inspired the World” — in italiano: “La ragazza del mare”. Il libro ricostruisce la biografia di Ederle: l’infanzia a New York, gli inizi nel nuoto femminile, le Olimpiadi e, soprattutto, l’impresa del 1926 che la consacrò alla storia: l’attraversamento della Manica.
Stout mette a fuoco la portata sociale dell’impresa — una vittoria per lo sport e per l’emancipazione femminile — con taglio documentato ma leggibile.
Chi è Gertrude?
Trudy cresce in una famiglia di immigrati tedeschi; dopo il morbillo resta parzialmente sorda, ma l’acqua la consola, diventando il suo elemento naturale. Entra in una squadra femminile, supera i record nazionali, arriva a Parigi 1924 e poi insegue un sogno che allora sembrava proibito: il Canale della Manica.
Il libro segue allenamenti, sponsor, scelte tecniche (grassi protettivi, rotta, barche di supporto), conflitti con allenatori, scetticismo della stampa, fino alla traversata del 1926 e alla folla oceanica che l’accoglie a Manhattan. Il ritratto è insieme sportivo e culturale: l’impresa di Trudy cambia per sempre la percezione delle atlete e di ciò che “le donne possono fare”.
Un biopic classico firmato Joachim Rønning
Diretto da Joachim Rønning, interpretato da Daisy Ridley (Trudy), con Tilda Cobham-Hervey (Meg) e Christopher Eccleston (Jabez Wolffe), “La ragazza del mare” dura 129 minuti ed è uscito nel 2024 con ottime recensioni complessive; è disponibile a oggi su su Disney+ per gli abbonati, ma grazie a Rai è possibile vederlo oggi in prima serata.
Nella pellicola seguiamo Trudy dalla giovinezza al grande sogno della Manica: l’ostilità di parte del mondo del nuoto (il coach Wolffe come antagonista), la pressione mediatica, i pregiudizi di genere, i fallimenti (il primo tentativo interrotto) e la lenta costruzione di una seconda, leggendaria traversata.
Lo stile è quello del biopic sportivo classico: fotografia luminosa, grande attenzione alla fisicità della nuotatrice e alla ricostruzione d’epoca; Ridley è stata elogiata per presenza fisica e tenuta emotiva.
Cosa cambia dal libro al film?
Gli adattamenti biografici, si sa, tendono a semplificare, a costruire archi narrativi più netti e a rendere i conflitti personali più leggibili. “La ragazza del mare” non fa eccezione. Alcune differenze rispetto al libro e alla realtà storica sono particolarmente significative.
Il primo tentativo di attraversare la Manica, nel 1925, è emblematico. Nel libro e nelle ricostruzioni storiche, Trudy abbandona la prova a causa di un malore e successivamente confida di sospettare un avvelenamento. A suo dire, il colpevole poteva essere proprio l’allenatore Jabez Wolffe, che non aveva mai nascosto la preferenza per altre atlete. Un’ombra riportata dalle fonti, ma mai provata. Il film, però, non si limita a suggerire il dubbio: accentua il conflitto e trasforma Wolffe in un antagonista dichiarato, quasi indispensabile per creare tensione narrativa.
Anche la cronologia subisce aggiustamenti. Nella realtà, Trudy attese un anno intero prima di riprovare, tornando in acqua solo nel 1926. Sullo schermo, invece, la ripartenza sembra quasi immediata, un’accelerazione che evita di diluire la tensione e mantiene vivo il ritmo del racconto.
È una compressione temporale tipica del biopic, che sceglie il battito drammatico più che la precisione storica.
Non mancano poi le licenze spettacolarizzanti: fughe rocambolesche, ostacoli enfatizzati, momenti che spingono verso il tono edificante. Alcuni critici hanno parlato di un approccio “troppo disneyano”, capace di rendere la storia accessibile e coinvolgente, ma al prezzo di una certa prevedibilità.
Eppure, al di là delle variazioni, ciò che conta resta intatto. Il cuore della vicenda — la determinazione di Trudy, la sua forza fisica e mentale, la dimensione femminista ante litteram della sua impresa — non subisce tradimenti. Libro e film, pur con strumenti diversi, si ritrovano perfettamente allineati nel raccontare una donna che ha infranto barriere e lasciato un segno indelebile nella storia dello sport.