Stasera 6 novembre “The Tourist” torna in seconda serata su Rai Movie: un invito a rivedere (o scoprire) un film che nel 2010 divise pubblico e critica, ma che a distanza di anni continua a funzionare come fantasia di fuga tra Parigi e Venezia, sospesa tra thriller, romance e leggerezza da commedia sofisticata. Johnny Depp e Angelina Jolie, diretti da Florian Henckel von Donnersmarck (l’autore de “Le vite degli altri”), trasformano l’inseguimento di una spia latitante in un gioco di specchi dove nulla è come sembra e l’immagine — dei corpi, delle città, del desiderio — diventa la vera arena del racconto.
A suo tempo “The Tourist” fu accusato di essere “vuoto” e patinato; eppure, guardato oggi, dice qualcosa di noi: dell’Europa come brand, del cinema che corteggia l’idea di viaggio, di un romanticismo che sceglie deliberatamente il ton sur ton invece dell’abisso psicologico. È un film che non chiede di essere creduto: chiede di essere guardato.
Un americano qualunque e una donna che non lo è affatto
A bordo di un treno Parigi–Venezia, Frank (Johnny Depp), professore americano in “guarigione sentimentale”, incrocia Elise (Angelina Jolie), donna elegantissima e inafferrabile. L’incontro non è casuale: Elise cerca un esca che somigli al suo amante latitante, il ricercatissimo Alexander Pearce. Da qui, una serie di falsi bersagli, depistaggi e rendez-vous che trascinano Frank nella trama della donna — tra palazzi affacciati sul Canal Grande, balli mascherati e inseguimenti sui tetti. È un remake del francese “Anthony Zimmer” (2005) di Jérôme Salle, con lo stesso nocciolo hitchcockiano: una persona comune risucchiata in una cospirazione glamour.
Un tono più “travel romance” che spy-story cupa
Henckel von Donnersmarck ha sempre rivendicato che “The Tourist” non sia “né dramma puro né commedia”, piuttosto un “travel romance con elementi thriller”: un tono dichiarato, che spiega molte scelte di regia e ritmo. Anche la curiosa (e discussa) tripla candidatura ai Golden Globes 2011 nella sezione commedia o musical nasce da qui, e dice molto sull’equivoco percettivo attorno al film.
Dietro l’abito, la sartoria (di un blockbuster europeo)
Una produzione da 100 milioni e una pioggia di firme
Prodotto da GK Films e distribuito da Columbia/Sony in buona parte del mondo, “The Tourist” è un film da 100 milioni di dollari che ha messo insieme una writers’ room curiosa: Julian Fellowes (“Downton Abbey“), Christopher McQuarrie (“I soliti sospetti”, “Mission: Impossible”), Jeffrey Nachmanoff e William Wheeler hanno lavorato su varie stesure. Dietro la macchina da presa, Henckel von Donnersmarck sceglie John Seale alla fotografia e James Newton Howard alle musiche: due artigiani di lusso che danno al film la sua pelle lucida e il suo respiro melodico.
Venezia come set-scrigno (e non solo Hotel Danieli)
Chi ha amato il film spesso ricorda Venezia più della trama: “The Tourist” sfrutta Palazzo Pisani Moretta, scorci della Biblioteca Marciana, il mercato di Rialto, oltre al mito dell’Hotel Danieli (ricreato come composito di più location). La città è fotografata come un gioiello unto d’acqua, con feste in abito scuro, balli in maschera e terrazze al tramonto. Non è realismo: è vedutismo narrativo, e la regia non finge il contrario.
Accoglienza: perché divise così tanto e perché oggi, invece, regge così bene
Le stroncature celebri (e i numeri che le smentiscono a metà)
All’uscita, la stampa anglofona fu spietata: Rotten Tomatoes registra tuttora un consenso critico bassissimo (≈21%), con accuse di intreccio impastato e scarsa chimica tra i protagonisti; Metacritic si ferma in zona “sfavorevole”. Eppure, il pubblico fu più indulgente (CinemaScore “B”) e soprattutto il botteghino raccontò altro: 278 milioni di dollari worldwide su 100 di budget, un risultato da “piacere colpevole” planetario che la storia ricorda più delle stroncature.
Il paradosso dei Golden Globes
L’onda lunga dell’equivoco culminò ai Golden Globes 2011: “The Tourist” finì in Commedia/Musical, con candidature per miglior film, Depp e Jolie. Un corto circuito che generò ironie (Ricky Gervais docet) e discussioni sulla elasticità delle categorie. Ma, a guardare il film senza pregiudizi, la sua leggerezza programmatica giustifica quel posizionamento più di quanto si voglia ammettere.
La messa in scena come promessa mantenuta
Se c’è una cosa che “The Tourist” promette e offre è piacere visivo: vestiti (Colleen Atwood), stanze, vaporetti, feste, corse sui tetti — tutto concorre a una coreografia del guardare. La fotografia calda di John Seale rende Venezia una città-salotto; la colonna sonora di James Newton Howard porta un’ironia orchestrale che tocca il pastich di spionaggio classico. L’eleganza di Jolie e l’imbarazzo controllato di Depp sono gesti più che psicologie: pose consapevoli, parte del gioco.
La “sospensione dell’incredulità” come patto onesto
Chi rimprovera al film l’inverosimiglianza degli snodi dimentica il genere che “The Tourist” sceglie: non la spy-story seria, ma il capriccio hitchcockiano del “wrong man”, dove lo scherzo romanzesco è sostanza, non ornamento. In questo registro, il racconto scorre pulito: non sorprende sempre, ma flirta di continuo con lo spettatore — e in TV, dove l’esperienza è più rilassata, quel flirt funziona.
Il minimo sindacale del conflitto interiore
Frank ed Elise restano figure-icona: lui “americano spaesato”, lei “dea modernista”. La sceneggiatura risparmia il lavoro sporco del carattere per completare quello dell’atmosfera. A tratti la chimica sembra una somma di aure più che un cortocircuito tra persone; per chi cerca psicologie profonde, la patina può stancare. Le stroncature dell’epoca non nascono dal nulla — ma oggi, a distanza di quindici anni, pesano molto meno della tenuta pop del film.
Il plot twist “telefonato”
Si è scritto che il twist finale sia prevedibile; lo è, se vuoi che lo sia. In realtà il film “nasconde” poco perché non vuole barare: gioca con il pubblico a carte scoperte, facendo della prevedibilità elegante una scelta, non un difetto. È l’opposto della sorpresa-shock: è la carezza di un colpo di scena confortevole.
“The Tourist” come remake
Dal brivido francese alla cartolina internazionale
“Anthony Zimmer” di Jérôme Salle (2005) era un piccolo thriller algido, più essenziale e meno seduttivo; “The Tourist” ne ingrandisce scala e glamour, scivolando dal giallo “alla francese” verso la cartolina internazionale: più location, più abiti, più ironia. Il prezzo è pagato in gravità; il guadagno è in piacere iconografico. È un remake che dichiara la propria metamorfosi, e per questo — paradossalmente — più onesto di tanti altri.
Venezia protagonista: guida sentimentale alla visione
Dove ti porta il film se ti lasci portare
Rivedendolo in TV, si può giocare a riconoscere i luoghi: la Stazione Santa Lucia dove tutto comincia; Rialto con le fughe acrobatiche; Biblioteca Marciana trasformata in quartier generale della polizia; Pisani Moretta e i saloni che fingono di essere il Danieli. È un itinerario cinefilo che si può rifare a piedi, con il film in mente e la città come colonna sonora vera.
Perché in TV funziona meglio che in sala
Il tempo ha fatto il suo e gli ha dato ragione
Nel 2010, uscire dopo anni di thriller “seri” e in mezzo alla stagione dei premi lo condannò a una competizione sbagliata: chi si aspettava un noir alla “Bourne” o una spy-story alla “De Palma” rimase spiazzato. Nel contesto televisivo, “The Tourist” torna nella sua cornice ideale: quella del film-aperitivo di seconda serata, che accompagna, intrattiene e fa venire voglia di partire il giorno dopo.
L’Europa come promessa estetica
C’è un discorso più ampio che rende il film interessante oggi: l’Europa come esperienza estetica. “The Tourist”anticipa quel cinema-viaggio che diventerà linguaggio dominante nelle serie globali — pensiamo a “Emily in Paris” o a certi heist-movie recenti —: non ti porta “dentro” la politica, ti chiede di abitarne la superficie — un’idea discutibile ma reale del nostro tempo. È un documento culturale oltre che un intrattenimento.
Depp e Jolie: due “icone” più che personaggi
Johnny Depp, il turista smarrito
Depp gioca Frank in sottrazione: postura leggermente curva, sguardo sorpreso, tempi comici da screwball rallentata. Non è il mattatore; è l’uomo-cornice che permette allo spettacolo di Jolie e alla coreografia di Venezia di accadere. Le sue esitazioni sono “pennellate” che umanizzano il balletto.
Angelina Jolie, l’occhio del ciclone
Elise è disegnata come apparizione: incedere, spalle dritte, profilo che taglia l’inquadratura. Jolie recita per vettori — entra, guarda, decide — più che per sottotesto. È un personaggio-segnale (segui la sua traiettoria e arrivi alla verità), deliberatamente “irraggiungibile”: se non scatta la chimica “tradizionale”, scatta quella iconografica. E il film è chiarissimo su quale delle due vuole. Le perplessità critiche sul “mancato incendio” di coppia restano legittime, ma appartengono a un’altra poetica.
