Per chi lo conosce solo come giudice di MasterChef o come imprenditore della ristorazione, l’idea di trovarselo davanti in un one-man show teatrale può sorprendere. Eppure, lo stesso Bastianich ricorda che il teatro ha sempre fatto parte della sua biografia: è nato a New York, il suo primo ristorante era a Broadway, e il palco, in fondo, è solo un’altra sala piena di persone da sorprendere e soddisfare.
In “Money – Il bilancio di una vita“, Bastianich non si limita a raccontare aneddoti curiosi per fan: usa il teatro come pausa consapevole, “un momento per guardarsi indietro”, per interrogare successi, errori, fallimenti. Il denaro diventa il filo conduttore con cui rilegge la propria storia e, allo stesso tempo, una chiave per parlare di migrazione, famiglia, lavoro, desideri, paura di perdere tutto.
È anche una scelta editoriale precisa: in un momento storico in cui la conversazione pubblica sul costo della vita, sulle disuguaglianze e sulla precarietà è sempre più accesa, portare i soldi apertamente in scena – senza trasformarli in semplice ostentazione – significa toccare un tabù molto italiano.
Dal ristorante al palco
Un retro di ristorante che diventa mondo – la scena e la regia
L’azione si svolge in un retrobottega di ristorante: l’ora di chiusura, i fuochi spenti, i camerieri che devono sistemare gli ultimi dettagli. Poi accade qualcosa: il locale si trasforma in un teatro pieno di spettatori. È realtà o è un sogno? Inizia così un gioco di specchi in cui ristorazione e spettacolo si confondono, come se fossero due facce dello stesso mestiere: rischioso, dipendente dal giudizio del pubblico, carico di aspettative.
La regia di Massimo Navone gioca volutamente su questo confine poroso: il ristorante è al tempo stesso luogo concreto – con tavoli, frigo, pass, stoviglie – e spazio mentale in cui Bastianich riorganizza ricordi, bilanci, fantasmi familiari, desideri. Il pubblico non è solo spettatore, ma quasi cliente invitato dietro le quinte, a vedere ciò che di solito resta nascosto.
Scenografia, proiezioni, trasformazioni
Le scene e i costumi di Pier Paolo Bisleri partono da un realismo quasi documentario per poi scivolare verso un progressivo scarto visionario: quel retro bottega diventa club musicale, palcoscenico, stanza dei ricordi. Proiezioni curate da Leandro Summo amplificano il racconto con immagini della New York anni Settanta, di Wall Street, di paesaggi italiani attraversati on the road, ma anche con suggestioni più astratte che aprono squarci emotivi.
La metamorfosi dello spazio è la metafora più evidente dello spettacolo: dal luogo del lavoro quotidiano (dove si fanno conti, inventari, si chiudono i registri) a quello della domanda esistenziale. “Money” chiede: che cosa resta, al netto di tutto?
Musica dal vivo e band-personaggi: quando il conto lo fa il ritmo
Al centro del progetto c’è la musica dal vivo. Bastianich, “Il Capo”, suona e canta accompagnato da una band di musicisti-attori:
- Roberto Dibitonto, “Il Maître”, al sax contralto e direzione musicale;
- Mike Frigoli, “Il Cuoco”, tra chitarra e basso;
- Davide Rossi, “Il Cameriere”, alla tastiera;
- Diego Paul Galtieri, “Il Cameriere in prova”, alla batteria.
Non sono semplici strumentisti: interpretano personaggi, dialogano con Bastianich, lo provocano, diventano di volta in volta soci, colleghi, voci del passato o proiezioni del futuro. In pratica, la band è il coro greco di questo viaggio, commenta e rilancia, rende tangibile il fatto che nessun bilancio di vita si fa davvero da soli.
La colonna sonora alterna brani originali scritti ad hoc a classici rivisitati, con una funzione drammaturgica precisa: non riempire i vuoti, ma aprire nuove stanze emotive, far respirare i racconti, trasformare certi ricordi in vere e proprie sequenze musicali.
Il filo rosso del denaro: autobiografia e racconto collettivo
Dal Queens a Wall Street, fino alle cucine
La cronologia del racconto è volutamente disordinata: Bastianich salta dall’infanzia nel Queens degli anni Settanta, alle giornate nella Wall Street aggressiva degli anni Ottanta, all’Italia degli anni Novanta esplorata “on the road” per imparare i mestieri della cucina, fino alla costruzione del suo impero nella ristorazione tra Stati Uniti e Friuli.
Non è un curriculum vitae recitato, ma una serie di istantanee in cui un dettaglio economico – i primi dollari visti da bambino, il capitale investito in un locale, il mutuo, la banca – diventa spunto per riflettere su fiducia, rischio, paura di fallire, senso di appartenenza.
Fallimenti, successi, ossessioni
Lo spettacolo non si limita alla celebrazione del successo. Bastianich dichiara apertamente che “Money” “parte anche da un fallimento, quello di un ristorante” e che il vero bilancio di una vita non è mai lineare. Il denaro è mostrato come ossessione, opportunità, ma anche illusione: qualcosa che può emancipare e allo stesso tempo intrappolare.
Qui lo spettacolo tocca uno dei punti più interessanti: non moralizza, non dice che i soldi sono il male assoluto, ma ne mostra l’ambivalenza. Il pubblico è spinto a chiedersi: quando il denaro è strumento, e quando diventa il metro unico con cui valutiamo noi stessi e gli altri?
Un Bastianich inedito: narratore, musicista, “capo sala”
Il personaggio televisivo si spoglia (un po’) della corazza
Chi entra in teatro aspettandosi il giudice severo che rovescia piatti e grida “this is garbage” si trova davanti a un Bastianich più autoironico e vulnerabile. Le recensioni di testate come Spettacolinews e Dissapore lo descrivono come un performer capace di alternare sarcasmo, aneddoti scanzonati e momenti di sincera commozione, soprattutto quando rievoca la nonna emigrata, la madre Lidia, o la precarietà degli inizi.
Non mancano i momenti da showman – gag, interazioni con il pubblico, parentesi più leggere – ma l’impressione generale è quella di un artista che si mette in gioco e accetta di raccontare anche gli inciampi, le decisioni sbagliate, le notti in cui il bilancio economico e quello emotivo non tornavano affatto.
Cosa ci dice di lui, cosa ci dice di noi
Il cuore dello spettacolo, però, non è la curiosità biografica sul “dietro le quinte” dell’impero Bastianich: è la consapevolezza che la sua storia, per quanto eccezionale, risuona con la nostra.
- Chi non ha mai misurato la propria autostima in base allo stipendio o al conto corrente?
- Chi non ha mai fatto un investimento – economico o affettivo – sperando di “rientrare delle spese”?
- Chi non si è sentito, prima o poi, definito dai propri fallimenti finanziari?
“Money” ci ricorda che dietro ogni cifra ci sono relazioni, memorie, paure. In questo senso, Bastianich diventa quasi un mediatore: usa la sua biografia iper-esposta per parlare di un tema che, nella quotidianità, teniamo spesso sotto traccia.
Come è stato accolto: prime impressioni di critica e pubblico
Trieste, la prima nazionale e l’effetto sorpresa
La prima nazionale al Rossetti di Trieste ha confermato l’effetto sorpresa: il pubblico si è trovato davanti “un Joe Bastianich che non ci si aspetta”, più cantante e narratore che giudice inflessibile. Recensioni come quella del Corriere dello Spettacolo parlano di “show dinamico che unisce racconto, musica e immagini per esplorare il rapporto universale con il denaro”, sottolineando la capacità dello spettacolo di tenere insieme intrattenimento e interrogativi più profondi.
Testate locali come NordestNews insistono sul clima di confidenza che si crea in sala: Bastianich “si racconta come se fossimo amici seduti a tavola”, passando con naturalezza da episodi divertenti a momenti più intimi.
Un tour che attraversa l’Italia
Dopo Trieste, “Money” ha intrapreso un tour fitto: Montecatini, Latisana, Sacile, Spilimbergo, Pontebba, San Vito al Tagliamento, Milano (Teatro Carcano), Torino (Teatro Colosseo), Bologna (Teatro Duse), con la prospettiva di proseguire anche nel 2026 grazie al circuito TAM On Tour e ad altre realtà teatrali.
La presenza in città molto diverse – grandi centri e province – è coerente con il tipo di discorso che lo spettacolo porta in scena: il denaro come esperienza trasversale, che riguarda chi lavora nella finanza come chi si spezza la schiena in cucina, chi emigra e chi resta.
Uno spettacolo ibrido: tra musical, stand-up e confessione
Critici e giornalisti faticano a incasellare “Money – Il bilancio di una vita” in una categoria unica: c’è chi lo definisce “un po’ musical, un po’ show, un po’ confessione”, chi insiste sull’aspetto di storytelling con band, chi lo avvicina a certe forme di teatro-canzone.
La verità è che lo spettacolo è deliberatamente ibrido:
- non è un musical classico, perché la trama non è fissa e la musica serve soprattutto a commentare e ampliare il racconto;
- non è un monologo puro, perché la band ha voce, corpo e funzioni narrative;
- non è stand-up comedy, anche se non mancano ironia e improvvisazione;
- non è semplice autobiografia, perché ogni episodio personale è subito allargato a una considerazione più universale.
Questa natura “mista” può spiazzare chi cerca un genere preciso, ma è anche ciò che rende “Money” interessante: riflette il fatto che le nostre vite non sono mai ordinate in categorie nette.
I soldi sono tutto o non sono niente?
Lo spettacolo si chiude – come racconta la nota di regia – con una domanda aperta: i soldi sono davvero tutto, o non sono niente? Non arriva una risposta definitiva, e questo è forse l’elemento più onesto del progetto.
Bastianich non pretende di moralizzare il pubblico: mette sul tavolo esperienze, fatiche, errori, e lascia che ognuno faccia il proprio bilancio personale. L’obiettivo non è uscire dal teatro con la soluzione, ma con un piccolo spostamento di sguardo: dal conto in banca ai legami che quel conto ha alimentato o messo in crisi, dalle cifre alle scelte che le hanno generate.
Tre buoni motivi per vederlo, anche se parlare di soldi ci mette a disagio
Un ritratto inedito di un personaggio noto
Vedere Bastianich fuori dal contesto televisivo significa scoprire una parte meno scontata di lui: il musicista, il narratore, l’uomo che ammette i propri passi falsi.
Un tema necessario, trattato con leggerezza intelligente
“Money” parla di soldi senza prediche, alternando ironia e profondità. È un modo per fare i conti con un argomento che ci riguarda tutti, ma che raramente affrontiamo senza imbarazzo.
Un’esperienza teatrale ibrida e contemporanea
Chi ama il teatro-canzone, la musica dal vivo, i racconti autobiografici e i format che mescolano linguaggi diversi troverà in “Money” un esperimento riuscito, capace di parlare sia agli appassionati di teatro sia a chi entra per la prima volta in sala attirato dal “nome”.
Tre domande da portarsi a casa
- Quando penso al denaro, penso più alla libertà che mi dà o alla paura di perderlo?
- Se dovessi fare il bilancio della mia vita, quali “investimenti” non in denaro metterei al primo posto?
- In che modo il mio modo di spendere e guadagnare racconta chi sono, da dove vengo, chi vorrei diventare?
“Money – Il bilancio di una vita” non è solo lo spettacolo di un imprenditore di successo che racconta com’è diventato ricco. È un tentativo – imperfetto, vitale, onesto – di trasformare il denaro in pretesto narrativo per parlare di tutto ciò che resta quando i conti, finalmente, li facciamo con noi stessi.