Una compagnia sta provando una commedia quando, all’improvviso, giungono sei figure e interrompono il lavoro; dicono di essere personaggi, non persone, e di essere stati abbandonati dal loro autore: per questo sono lì, sul palco, a chiedere di vivere la loro storia.
Questo succede per la prima volta nella sera del 10 maggio 1921 sul palco del Teatro Valle di Roma: uno scandalo, uno shock! Gli spettatori iniziano a ribellarsi con fischia e urla, invocando per l’autore il “manicomio”. Dov’è la trama? Una cosa del genere non s’è mai vista. Dov’è la catarsi? Quello che sta accadendo sul palco è una presa in giro, una buffonata.
Ancora non sanno che Luigi Pirandello, il tanto criticato autore, ha appena creato una frattura netta e dato alla luce quello che a oggi è il teatro contemporaneo.
“Sei personaggi in cerca d’autore”: l’idea che cambia tutto
“Sei personaggi in cerca d’autore” è destinata a capovolgere per sempre il rapporto fra realtà e rappresentazione, fra attori e pubblico, fra “vita” e “forma”: la prima, affidata alla Compagnia di Dario Niccodemi con Vera Vergani e Luigi Almirante, va in scena il 10 maggio 1921 al Teatro Valle; il clamore è immediato, le repliche poche.
Poi, un anno dopo, succede il miracolo: il successo nelle piazze del Nord e a Milano. La modernità ha trovato la sua porta d’ingresso.
Personaggi senza autore, autori senza personaggi
Pirandello capovolge il meccanismo della mimesi: non è l’autore a creare i personaggi, ma i personaggi che reclamano un autore. Hanno una storia “fissata”, incandescente, e cercano forma.
Il Capocomico e gli attori provano a “metterla in scena”, ma l’operazione fallisce: la vita eccede la forma, la scena non riesce a contenerla. Da qui l’invenzione del metateatro: il teatro che rappresenta il proprio farsi, che mette in vetrina le sue regole per smentirle, che trasforma spettatori e attori in testimoni di un processo.
È il gesto che anticipa tanta avanguardia del Novecento, da Beckett a Ionesco, da Grotowski a Mnouchkine: l’idea che il teatro sia prima di tutto un dispositivo di coscienza.
Maschere, identità e verità
A muovere l’ingranaggio è la famosa intuizione pirandelliana: “noi non siamo uno, siamo maschere che cambiano con gli sguardi, con le occasioni, con le relazioni”.
In scena questo diventa una geometria di doppi: gli Attori che mimano i Personaggi, i Personaggi che rifiutano d’essere mimati, il Capocomico che cerca un compromesso impossibile.
Il teatro si fa tribunale della verità: ma una verità contraddittoria, che non coincide né con la vita né con la recita, bensì con il conflitto fra le due.
Una tragedia “inerte” e incandescente
Sotto l’apparente esperimento teatrale, Pirandello racconta una storia di famiglia, e non una qualunque.
I sei personaggi — Padre, Madre, Figliastra, Figlio, Bambina, Giovinetto — si presentano come fantasmi vivi: sono stati immaginati da un autore che poi li ha abbandonati, e ora vagano in cerca di qualcuno che metta in scena la loro vicenda.
La vicenda che li lega è dolorosa e vergognosa.
Il Padre, un uomo che ha perso ogni punto di riferimento morale, ha avuto in casa come serva una giovane donna, la Madre, con la quale ha avuto dei figli. Quando la donna se ne va, il Padre resta solo con il Figlio, e la Madre, per sopravvivere, si risposa e ha una figliastra — la Figliastra, appunto — insieme a due bambini più piccoli (la Bambina e il Giovinetto).
Molti anni dopo, per puro caso, il Padre si ritrova a incontrare la Figliastra in una casa di appuntamenti, senza riconoscerla subito. Lì rischia di compromettere la propria dignità e quella della ragazza, e solo in un secondo momento scopre la verità: quella giovane è la figlia della donna che aveva amato.
Il dramma nasce proprio da questo incrocio di vergogna e desiderio, da un incontro che non doveva avvenire e che tutti i membri della famiglia vorrebbero rivivere per raccontarlo, per purificarsene.
Ed è questo il motivo per cui i sei “personaggi” si presentano sul palcoscenico: vogliono che la loro storia venga finalmente rappresentata davanti a un pubblico, perché solo attraverso la recita può trovare una forma e una conclusione.
Pirandello trasforma così un fatto privato in metafora universale: la compagnia teatrale che sta provando uno spettacolo viene invasa da questi “personaggi reali” che chiedono spazio. Da un lato c’è il teatro-negozio, fatto di attori, luci e prove; dall’altro il teatro-coscienza, dove la verità dei sentimenti esplode.
Mentre il Capocomico e gli attori tentano di “mettere in scena” la vicenda, la distinzione fra realtà e rappresentazione si dissolve: il pubblico, guardando, si accorge di guardare sé stesso.
Il dolore familiare diventa allora uno specchio per chi è in sala: tutti, dice Pirandello, viviamo una parte che non coincide mai davvero con ciò che sentiamo.
E forse è proprio per questo che Sei personaggi in cerca d’autore resta un testo senza fine — perché non parla solo di un dramma, ma del bisogno di ciascuno di noi di dare un senso alla propria storia.
Fischi e trionfi. Cronaca di un capovolgimento
Roma 1921: la rivolta del pubblico
La prima romana, con la Compagnia Niccodemi, è rimasta un’icona di incomprensione creativa: il pubblico si ribella alla “commedia che non comincia mai”, alle regole infrante, alle luci accese in sala, alla confusione fra prova e spettacolo.
La pièce regge quattro sere. Le cronache d’epoca riportano un clima da processo pubblico. Eppure, già allora i critici più attenti — fra questi Adriano Tilgher — intuivano che si era aperto un varco: il teatro aveva trovato un nuovo oggetto, il suo stesso farsi.
Nord Italia 1921–1922: Bologna, poi Milano
Pochi mesi dopo, un’altra tournée ribalta il giudizio: Bologna e quindi Milano accolgono la commedia con crescente attenzione, fino al trionfo che suggella la stagione 1921–1922. Da scandalo a capolavoro: il pubblico capisce che la “trama che manca” è il tema, e che la mancanza di catarsi è la catarsi di un tempo in cui le forme tradizionali non bastano più.
Riletture senza fine
Strehler e la maturità pubblica del classico
Nel secondo dopoguerra, il Piccolo Teatro di Milano — fondato da Giorgio Strehler e Paolo Grassi nel 1947 — diventa la casa naturale dei classici moderni.
Strehler, con la sua idea di teatro come servizio pubblico, riporta Pirandello dentro un orizzonte civile, rendendolo patrimonio della comunità.
Le sue letture dei “Sei personaggi in cerca d’autore” e dell’universo pirandelliano — un lavoro pluridecennale — mostrano come la macchina metateatrale possa convivere con una fortissima empatia verso i Personaggi, senza mai trasformarli in schemi.
Ronconi e il laboratorio dell’identità
Luca Ronconi ha fatto dei “Sei personaggi in cerca d’autore” un cantiere più volte riaperto. Nel decennio 2010–2012, dopo i laboratori del Centro Teatrale Santa Cristina, allestisce una versione che lavora sulla permeabilità fra prove e spettacolo, spingendo Pirandello verso una drammaturgia porosa, quasi da installazione. L’ossessione per il processo (più che per il prodotto) rende i “Sei personaggi in cerca d’autore” il luogo perfetto della sua ricerca: in scena, la realtà non coincide con l’evento, ma con le condizioni dell’evento.
Le generazioni più recenti
Da Emma Dante a numerosi registi di area indipendente, il testo è stato riletto come allegoria dell’identità fluida, come dispositivo per parlare di famiglia e potere (temi centrali nella poetica di Dante) o di algoritmi dell’io (nelle versioni che mediano con il digitale).
Il cuore è lo stesso: chi decide chi siamo? il Capocomico (le regole sociali), i Personaggi (la nostra esigenza di verità), gli Attori (i ruoli che ricopriamo)? La scena contemporanea continua a rispondere in modi diversi, segno che l’opera è viva.
H2: Dal palcoscenico al piccolo schermo: le versioni televisive
Il Novecento italiano ha avuto anche il suo Pirandello televisivo. Una storica messa in scena RAI del 1965, con Romolo Valli (Padre) e Rossella Falk (Figliastra), fissava su pellicola il dispositivo metateatrale senza neutralizzarlo, dimostrando che “Sei personaggi in cerca d’autore” può abitare la camera senza perdere potenza. Più tardi, altri adattamenti hanno continuato a esplorare la soglia fra prova e rappresentazione, fra palcoscenico e medium.
Marta Abba e la linea dell’interiorità
Se c’è un nome che sigilla il legame fra Pirandello e la scena, è Marta Abba. Musa, complice, attrice-simbolo di una nuova recitazione, Abba incarna la Figliastra come creatura tagliente e vulnerabile, meno “numero” e più coscienza incarnata. La corrispondenza e i memoir mostrano come, dagli anni Venti in poi, Pirandello abbia trovato in lei la cifra vocale del suo teatro.
È una linea che attraversa il Novecento e arriva fino alle interpreti contemporanee: il personaggio femminile non è un “tipo”, ma una tensione morale che passa per il respiro, lo sguardo, il tempo del silenzio.
Padri, Madri, Figli
Il Padre ha conosciuto letture epocali: dal borghese “filosofo” che giustifica l’ingiustificabile, al colpevole senza tribunale che chiede di essere rappresentato per esistere. La Madre è l’icona del dolore puro — quasi muta, ma centrale —, mentre il Figlio diventa spesso il testimone ostile della messinscena: rifiuta la “teatralità” familiare, e proprio così ne svela l’ossessione. È il cast, di volta in volta, a spostare il baricentro: “Sei personaggi in cerca d’autore” è un classico a trazione attorale.
Smascherare la recita sociale
Pirandello non offre manifesti, ma dispositivi. Il più attuale è lo smascheramento della recita sociale: la scoperta che viviamo dentro copioni (familiari, professionali, mediatici) e che il nostro bisogno di “verità” è continuamente mediato.
Se ieri il Capocomico era il regista o l’impresario, oggi può essere l’algoritmo di una piattaforma, un protocollo di comportamento, la narrazione pubblica di noi stessi. I Personaggi, allora, siamo noi: profili in cerca d’autore, storie in cerca di forma.
Lo spettatore come co-autore
Dal 1921 in poi, andare a teatro non è più un atto passivo. “Sei personaggi in cerca d’autore” obbliga lo spettatore a decidere dove sta la verità: nella vita bruta dei Personaggi o nella cultura degli Attori? Nella storia “così com’è” o nella sua messa in forma? Ogni regia rimette in discussione la risposta, e ogni pubblico la aggiorna. È così che un classico non invecchia: chiede scelte.