Con l’arrivo imminente della serie “IT: Welcome to Derry” (dal 27 ottobre in esclusiva su Sky), torniamo nel luogo dove la paura ha preso forma: la cittadina immaginaria del Maine dove Stephen King ha ambientato “It”.
Ma tornare a Derry non significa solo rivedere un clown: significa entrare di nuovo nel laboratorio umano di uno scrittore che, da oltre cinquant’anni, racconta la paura come condizione dell’esistenza. King non è solo il “maestro dell’horror”: è un pensatore della condizione umana attraverso il fantastico, un autore che ha trasformato il male in linguaggio, il terrore in pedagogia morale.
La filosofia di riportare i “Mostri” su carta
“Ci inventiamo gli orrori per aiutarci ad affrontare quelli veri”.
Così scriveva in Danse Macabre, offrendo la chiave di lettura della sua intera opera. L’onda di attualità legata alla serie TV sta, inoltre, riportando alla ribalta le pubblicazioni legate al mondo di “It” e della Torre Nera, riconfermando la centralità del suo multiverso.
Il Mostro come allegoria e rivelazione
In King, il mostro non è mai solo una creatura sovrannaturale: è la concretizzazione simbolica di un trauma. Pennywise, l’Overlook Hotel, Randall Flagg: ognuno è la faccia grottesca di un male reale.
La violenza domestica, la crudeltà scolastica, l’abuso di potere, il fanatismo religioso: tutto ciò che la società vorrebbe ignorare, nei suoi romanzi si materializza e prende corpo. Riportare i mostri su carta diventa un atto politico e terapeutico insieme.
La scrittura esorcizza ciò che è indicibile e permette al lettore di “toccare” il male senza esserne distrutti.
King afferma:
“L’orrore ci offre una prova generale della morte”.
Il lettore affronta simbolicamente ciò che non può sopportare nella realtà.
In questa funzione, la paura diventa conoscenza: una lente che costringe a guardare l’oscurità che abbiamo dentro. L’orrore, per King, è un rito laico di consapevolezza, un modo per attraversare il buio e tornare a vedere.
L’universo interconnesso: la “Torre Nera” come arché filosofico
Se i mostri di King incarnano le nostre paure, la Torre Nera le organizza e dà loro un senso cosmologico.
Tutto il suo corpus narrativo — da “It” a “Shining”, da “Le notti di Salem” a “Doctor Sleep” — è parte di un multiverso coerente, in cui personaggi, luoghi e oggetti si rispecchiano. L’interconnessione non è un semplice fan service, ma una dichiarazione metafisica.
La Torre come principio originario
La “Torre Nera” è l’arché del suo cosmo: l’asse che regge tutti i mondi e le storie. Come nei filosofi presocratici, la Torre Nera è il punto d’origine e di ritorno, la matrice che unisce e separa, la metafora ultima della ricerca di senso.
Attorno ad essa si muovono due forze opposte: Gan, principio di creazione e ordine, e It, incarnazione del caos e dell’entropia. L’orrore non è un incidente, ma la manifestazione di una disarmonia originaria che minaccia l’asse di tutti i mondi.
Il Ka come destino narrativo
Tutto è governato dal Ka, la forza del destino che muove i personaggi come in una ruota karmica. Roland, protagonista della Torre Nera, è condannato a ripetere il viaggio verso la salvezza — un eterno ritorno che è anche metafora della nostra incapacità di imparare davvero dal male.
Ogni libro di King diventa così una tessera di un’unica parabola cosmica, dove il fine ultimo non è la vittoria, ma la comprensione.
La paura come educazione sentimentale
King è uno degli autori che più hanno saputo trasformare la paura in crescita emotiva e morale. Nei suoi romanzi di formazione — “It”, “The body”, “Carrie” —, la paura è il passaggio obbligato per diventare adulti.
Il rito di passaggio
Affrontare l’orrore significa misurarsi con il proprio trauma.
- In “It”, i bambini devono imparare a nominare la paura e a guardarla in volto per sconfiggerla.
- In “Carrie”, la pubertà diventa apocalisse, la trasformazione del corpo è il primo spavento.
- In “Shining”, Danny impara che i veri fantasmi non abitano l’hotel, ma la mente malata e dipendente del padre.
Ogni romanzo è una educazione morale travestita da incubo.
Il Coraggio morale e la comunità
King suggerisce che non si sopravvive da soli: la forza nasce dall’amicizia, dalla lealtà e dalla fantasia. Il Club dei Perdenti di “It” o i ragazzi di Stand by Me rappresentano la prima comunità etica, l’embrione della società che verrà. L’orrore, in fondo, insegna a non essere complici del silenzio e a fare corpo unico.
La Paura come rivelatore sociale
Infine, la paura in King è sempre un rivelatore politico e culturale. Le sue piccole città — Derry, Castle Rock — sono microcosmi corrotti dal perbenismo, dove il male prospera perché nessuno lo nomina o lo denuncia. Il mostro non spaventa, ma denuncia le ipocrisie sociali.
Scrivere per sopravvivere
King ha spesso detto che la scrittura lo ha salvato. Romanzi come “Misery” — che narra di uno scrittore prigioniero dei suoi personaggi — o “Doctor Sleep” — sulla disintossicazione e la guarigione — sono, in realtà, racconti catartici e autobiografici.
Per lui, scrivere non è un atto di creazione, ma di purificazione. La paura, in questo senso, è la più grande forma di sincerità: non si inventa, si riconosce e, attraverso l’arte, si esorcizza.
“Scrivere è come scavare nella mente con un cucchiaio. A volte trovi oro, a volte solo sangue”.
L’Arte di crescere attraverso la Paura
L’universo di Stephen King è un grande rito collettivo: una mappa del male che serve per imparare a essere vivi. Il suo orrore non allontana: educa, cura, costringe a guardarsi dentro.
Nei suoi libri, crescere significa accettare che la paura non sparirà mai — ma che, una volta nominata e affrontata in comunità, smette di comandarci.
King scrive:
“Il male è reale. Ma lo è anche il coraggio”.
Ed è per questo che continuiamo a tornare a Derry, a Castle Rock, alla Torre Nera: per ricordarci che il buio, se affrontato, può diventare conoscenza.
“IT: Welcome to Derry”
Nel momento in cui la serie “IT: Welcome to Derry” si appresta a debuttare — con la prima stagione ambientata nel 1962 a Derry, nel Maine — riavvolgiamo il filo del tempo: non più solo bambini contro clown, ma un’intera comunità che si risveglia al male.
La serie, concepita come prequel dei film tratti dal romanzo di Stephen King, non si limita a raccontare l’iconico Pennywise in un nuovo capitolo: scava nelle strutture sociali di Derry, nella storia razziale e nelle tensioni di una cittadina che, pur apparentemente pacifica, cela abissi.
Questo salto indietro nel tempo ha una doppia funzione: da un lato ci permette di osservare la nascita del mostro, dall’altro di riscoprire i “mostri” reali — il razzismo, l’omertà, la violenza di una città che chiude gli occhi.
Ecco allora che “Welcome to Derry” si inserisce perfettamente nel filo conduttore che stiamo tracciando: la paura non è solo “da film” ma evento storico, rito collettivo, specchio della crescita individuale — della comunità che impara a vedere. Come in tutti i romanzi di King, l’orrore esterno parla dell’orrore interno.
