Serie tv divise in due parti: strategia di marketing o nuova formula narrativa?

18 Agosto 2025

Scopri come le serie tv divise in due parti rappresentano una nuova formula narrativa e una strategia di marketing innovativa.

Serie tv divise in due parti: strategia di marketing o nuova formula narrativa?

Con Mercoledì 2 che ha esordito ad agosto solo con la sua prima parte, lasciando la seconda in arrivo a settembre, si è riacceso un dibattito che riguarda ormai molte delle serie più amate dal pubblico: perché le piattaforme di streaming decidono sempre più spesso di spezzare una stagione in due? È soltanto una furba strategia di marketing, per mantenere gli abbonati più a lungo, o esiste anche un valore narrativo in questa scelta?

Serie tv divise in 2 andremo sempre di più in questa direzione?

La divisione delle stagioni in due parti è il segno di un equilibrio nuovo che le piattaforme stanno cercando tra logiche di mercato e esigenze narrative.

È marketing, certo, ma è anche un modo per reinventare il rapporto tra serie e pubblico, riportando l’attesa al centro dell’esperienza. In fondo, ciò che accade con Mercoledì 2 dimostra che il rito collettivo della visione non è morto con lo streaming: si è solo trasformato.

Oggi l’episodio non si consuma soltanto davanti allo schermo, ma continua a vivere nei commenti, nelle teorie, nei meme. Che sia un trucco o un’evoluzione, resta il fatto che le serie divise in due parti hanno cambiato il nostro modo di guardare, e soprattutto di parlare, delle storie.

L’attesa come parte dello spettacolo

Un tempo l’attesa era la norma: le serie tv uscivano con un episodio a settimana, e il pubblico viveva quel rituale come un appuntamento fisso.

Con lo streaming, la logica del binge-watching ha ribaltato le regole, regalando stagioni intere da divorare in poche ore. Eppure, proprio nel momento in cui sembrava che il binge fosse l’unico modello possibile, Netflix e le altre piattaforme hanno iniziato a sperimentare un ritorno all’attesa: non più settimanale, ma calibrata con stagioni divise in due blocchi. Lo abbiamo visto con Stranger Things 4, con The Crown 6, con Bridgerton 3, e ora con Mercoledì 2.

Un format che crea inevitabilmente un cliffhanger a metà percorso, costringendo lo spettatore a fermarsi proprio nel momento in cui è più coinvolto.

Marketing, abbonamenti e hype

La prima motivazione è senza dubbio economica. Una stagione spezzata costringe chi si abbona per vedere una serie a rimanere sulla piattaforma più a lungo: due mesi invece di uno, in attesa della seconda parte.

È un modo per ridurre il fenomeno del “mordi e fuggi”, ovvero l’iscrizione temporanea per guardare una sola serie e poi disdire. In più, l’attesa tra una parte e l’altra mantiene alta l’attenzione sui social.

Meme, teorie, clip su TikTok e X diventano una seconda linfa vitale per la serie, che rimane al centro della conversazione pubblica per settimane. Una strategia perfetta in un’epoca in cui l’attenzione è la vera moneta del mercato culturale.

Ma funziona davvero dal punto di vista narrativo?

Qui si apre la questione più interessante: l’attesa è davvero utile anche alla narrazione? Alcuni critici sostengono di sì. Dividere una stagione permette di costruire un climax a metà, una sorta di “mini-finale” che regala intensità al percorso narrativo.

È successo in Stranger Things 4 , dove il rilascio della seconda parte ha trasformato l’arrivo di Vecna in un evento quasi cinematografico, con episodi lunghissimi e attesi come l’uscita di un film.

Altri, invece, vedono questa scelta come un tradimento del binge-watching, un’interruzione artificiale che spezza il ritmo naturale della visione. Per molti spettatori, la magia del binge era proprio quella continuità ininterrotta: poter restare immersi nella storia senza tempi morti.

Il ruolo dei social nella costruzione dell’attesa

Non si può negare che l’ecosistema digitale abbia reso più vantaggiosa questa formula. L’hashtag di una serie resta in tendenza per settimane, i fan elaborano teorie, gli influencer commentano, e ogni episodio diventa materiale per contenuti virali.

In questo senso, l’attesa forzata non è più solo una manovra di marketing, ma un vero strumento di narrazione collettiva: lo spettatore diventa parte attiva, riempie i vuoti con l’immaginazione, prepara il terreno per il ritorno.

Serie evento o serie infinite?

Un altro aspetto interessante riguarda il posizionamento. Spezzare una stagione in due permette alle piattaforme di presentare la serie due volte come “evento”.

Non un unico lancio, ma due momenti di hype, due campagne promozionali, due ritorni sulle homepage e nei discorsi del pubblico. Una moltiplicazione di visibilità che, nel mare magnum delle uscite quotidiane, può fare la differenza tra una serie che passa inosservata e una che domina il dibattito per mesi.

Il rischio della saturazione

Naturalmente, c’è anche un rovescio della medaglia. Non tutti i titoli reggono l’attesa. Se una serie non ha un fandom solido o non sa costruire cliffhanger convincenti, la divisione rischia di diluire l’interesse e far perdere pubblico.

Non tutte le produzioni hanno la forza narrativa di Stranger Things o il seguito globale di Mercoledì: in alcuni casi, la strategia può rivelarsi un boomerang.

Una formula destinata a restare?

Guardando ai prossimi mesi, sembra che questa tendenza sia destinata a consolidarsi. Squid Game 2 e altre grandi produzioni internazionali potrebbero seguire lo stesso schema, proprio perché la formula ha dimostrato di essere efficace almeno sul piano dell’attenzione.

Ma resta aperta la domanda: i fan accetteranno di buon grado di tornare a un modello di fruizione più “vecchio stile”, o la nostalgia del binge totale tornerà a farsi sentire?

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