Con il debutto ieri sera su Rai 1 della nuova serie Sandokan, interpretata da Can Yaman, si apre un capitolo inedito per uno dei personaggi più amati della letteratura d’avventura italiana. Dopo quasi cinquant’anni dalla prima storica versione televisiva, quella del 1976, diretta da Sergio Sollima e con protagonista Kabir Bedi, la Tigre della Malesia torna sul piccolo schermo in una rivisitazione ambiziosa, pensata come origin story, cioè come racconto delle origini del mito.
Sadokan: Cosa resta e cosa viene riscritto
Il nuovo Sandokan non vuole essere una copia nostalgica di quello del 1976, né una semplice operazione commerciale. Vuole riscrivere il mito: capire come si forgia un eroe, come una tigre diventa leggenda, come un pirata può diventare un simbolo di libertà. Con Can Yaman e un cast internazionale, con tecnologie moderne e una sensibilità contemporanea, la serie tenta di guardare al passato senza restarci intrappolata.
Le analogie con l’originale non sono dimenticate, la tigre, la giungla, il mare, l’amore impossibile, la ribellione, ma il racconto è stato plasmato per un pubblico del presente. Sandokan torna per raccontare un tempo diverso, con problemi diversi, con un bisogno di libertà che forse oggi suona ancora più forte.
Se nelle prime due puntate abbiamo visto solo l’alba del mito, resta da scoprire quanto in alto quella tigre deciderà di ruggire. E se saprà farsi ascoltare anche nel nostro presente.
La versione del 1976 entrò nella memoria collettiva come un kolossal d’avventura: sei puntate per ridare vita ai romanzi di Emilio Salgari, in particolare Le tigri di Mompracem e I pirati della Malesia, con intrecci di pirateria, amori proibiti, lotta contro il colonialismo e una forte impronta romantica.
La nuova serie, invece, non vuole replicare pedissequamente quella narrazione: fin da subito è chiaro che lo scopo è diverso. Non un remake, bensì un racconto che esplora come Sandokan diventa Sandokan, da predone del mare a condottiero, da avventuriero a simbolo di resistenza.
Per esempio, nella 2025 la figura di Sandokan è tratteggiata con una complessità più contemporanea: accanto al fascino, c’è un conflitto interiore forte; non è semplicemente “eroe romantico”, ma uomo forgiato dal dolore, dalle ingiustizie, da una scelta di ribellione e protezione, verso i più deboli, verso i popoli oppressi.
Il contesto coloniale del Borneo del 1841, dominato dalla Compagnia delle Indie e dagli inglesi imperialisti, resta lo sfondo, ma l’attenzione narrativa si sposta sulle dinamiche di oppressione, liberazione, riscatto. La libertà non è solo per il protagonista, ma per popoli interi, e Sandokan diventa figura rivoluzionaria, non solo pirata in cerca di vendetta.
E la storia d’amore con Marianna (Lady Marianna di Labuan), sempre presente, assume sfumature più moderne, ambiguamente sospese tra passione, colpa, identità e conflitto di convinzioni.
Produzione, ritmo, visione: l’impronta contemporanea
Dal punto di vista produttivo, la differenza è evidente: scenografie, effetti speciali, location internazionali (tra Italia, Thailandia, l’isola di Réunion, ambientazioni ricostruite con tecnologie moderne) donano alla serie un respiro da kolossal globale. Anche le scene d’azione, i duelli, le marine, sono progettati per sorprendere lo spettatore contemporaneo, abituato a ritmi e spettacolari molto più serrati rispetto a mezzo secolo fa.
Il cast stesso riflette un approccio contemporaneo: Can Yaman porta con sé una fanbase internazionale, un carisma moderno, un’interpretazione che mescola sensualità, vulnerabilità e forza. Al suo fianco, ruoli di rilievo e antagonisti altrettanto potenti, come Ed Westwick nei panni di Lord James Brooke, scelto per dare al villain sfumature di ambiguità e fascino, non più la caricatura del “cattivo” puro.
Il ritmo narrativo, già dalle prime due puntate, punta ad essere rapido: tra battaglie, incontri, ribellioni e tensioni morali, la serie alterna momenti di azione a scene emotive, approfondendo le motivazioni dei personaggi e le loro trasformazioni, qualcosa che nella versione anni ’70, per limiti di tempo e forma, era più semplificato.
Le analogie che rendono omaggio al mito originale
Nonostante le differenze, il nuovo Sandokan mantiene alcuni elementi imprescindibili che lo rendono riconoscibile come erede del mito di Salgari e come omaggio alla serie cult di mezzo secolo fa.
Il protagonista resta la “Tigre della Malesia”: un principe spodestato che sceglie la pirateria e la resistenza contro l’oppressione coloniale. La figura del fedele amico e alleato, l’astuto e leale Yanez de Gomera, continua ad avere un ruolo centrale. Il conflitto pirati vs inglesi, la lotta per la liberazione dei popoli oppressi, il mare come scenario di avventure e libertà: tutti temi fondanti del classico Salgari vengono richiamati.
La storia d’amore tra Sandokan e Marianna rimane il cuore emotivo della vicenda: un amore impossibile, diviso da schieramenti e lealtà, capace di dare profondità al personaggio e di umanizzarlo. Anche la figura del villain, Lord Brooke o simili, ricalca la tradizione del nemico coloniale arrogante e determinato, seppur riscritta in chiave più ambivalente e moderna.
In questo Sandokan 2025 si riconoscono le radici: l’avventura, la libertà, la ribellione, il mare, l’amore proibito, la giustizia per i dimenticati. Sono temi universali, senza tempo.
Le differenze che riflettono un mondo cambiato
Il cambiamento di epoca, non solo quello tra gli storici anni ’70 e oggi, ma anche quello narrativo e valoriale, influenza profondamente la resa di questo nuovo Sandokan. Prima di tutto, la serie si configura come origin story: racconta la nascita di un mito, la formazione del personaggio, la scelta di diventare eroe. Mentre la serie del 1976 partiva già da un Sandokan maturo e noto, con una trama già impostata su azione e vendetta, la 2025 si prende il tempo per far crescere il protagonista, con dubbi, paure, evoluzione morale.
Poi cambia il ritmo: la nuova versione privilegia azione, dinamismo, intrecci politici e sociale, riflettendo sensibilità contemporanee: la lotta contro il colonialismo è raccontata non solo come scontro militare, ma come resistenza culturale, protezione dei popoli, rivendicazione di libertà e identità.
Infine, il linguaggio visivo e narrativo si adatta al gusto moderno: effetti, ambientazioni curate, uno stile cinematografico, scene di battaglia e di mare da kolossal, combattimenti dinamici, una produzione internazionale. Questo trasforma Sandokan da “telefilm d’avventura” fine anni ’70 in una vera e propria serie per il pubblico del 2025, abituato a produzioni globali e ad alti standard visivi.
Il ritorno della Tigre della Malesia: cosa aspettarsi
Le prime due puntate sembrano stabilire le basi di un racconto di formazione e rivoluzione. Sandokan inizia come pirata solitario, “alla giornata”, guidato dal proprio codice morale e dalla ricerca della libertà. Ma gli eventi, l’incontro con Marianna, la scoperta delle ingiustizie ai danni dei popoli locali, l’oppressione coloniale, lo spingono a cambiare: non più semplice corsaro, ma leader, simbolo di libertà, protettore degli oppressi.
L’uso di location esotiche, la cura storica, la produzione internazionale e un cast internazionale suggeriscono un prodotto pensato non solo per l’Italia, ma per un pubblico globale, un’operazione ambiziosa che prova a rilanciare un classico in chiave moderna.
Per chi ha amato la serie originale, c’è la nostalgia dell’avventura degli anni ’70, delle musiche, del ritmo più lento, dell’ingenuità romantica. Per chi la scopre ora, c’è una storia rifatta, rinnovata, contemporanea, intensa e visivamente spettacolare. La domanda sarà: riuscirà la nuova Sandokan a conquistare il pubblico allo stesso modo, a diventare un classico per una nuova generazione
