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Psycho, dal romanzo di Robert Bloch al film di Alfred Hitchcock

Oggi voglio raccontarvi di due capolavori, uno della letteratura e uno del cinema. In comune hanno lo stesso titolo: Psycho. Il primo è stato scritto da Robert Bloch nel 1959, il secondo (probabilmente il più conosciuto) è stato diretto da Alfred Hitchcock nel 1960.

Il maestro del brivido, che si è ispirato al romanzo di Bloch per il suo film forse più famoso, è stato anche un maestro nello scovare autori e racconti geniali, ma poco noti soprattutto al di fuori dell’America, e farli conoscere al grande pubblico, me compresa. Sono infatti numerosi i romanzi ai quali si è ispirato per i suoi film e Psycho ne è un esempio.

Robert Bloch è uno scrittore che si è dedicato principalmente ai generi horror, pulp, fantasy e giallo, collaborando anche come sceneggiatore nel mondo del cinema (ha scritto la sceneggiatura di tre episodi di Star Trek). La sua opera più nota è appunto Psycho, un romanzo che unisce elementi del thriller, del giallo e dello psicologico, dosando sapientemente la suspence e i colpi i scena (ho contato ben tre colpi di scena in una delle pagine finali). Tutto questo ti tiene incollato al libro fino alla fine. Ovviamente, avendo visto prima il film, sapevo cosa aspettarmi e quale sarebbe stato il finale, ma lo stile di Bloch rende la storia così imprevedibile e movimentata – e per certi versi macabra – che non ho smesso di stupirmi comunque fino alla fine.

La protagonista è Mary Crane (che nel film avrà il nome di Marion), un’impiegata di città che fugge dal proprio ufficio con i soldi di un cliente. Con questi 40.000 dollari la ragazza ha intenzione di iniziare una nuova vita insieme a Sam Loomis, proprietario di una ferramenta di provincia e pieno di debiti, nonché ignaro del furto e con il quale ha una storia a distanza. I due tardano a sposarsi in quanto prima, il metodico e razionale Sam, vuole appianare i debiti del padre e garantirsi un futuro stabile con Mary.

La fuga in auto di Mary per raggiungere Sam è serrata, ma si imbatte in un temporale notturno e, complice il fatto di aver perso la strada, decide di fermarsi al Bates Motel. Ed ecco che entra in scena il vero protagonista della storia: Norman Bates, un grasso e solitario uomo che vive nella casa retrostante il motel, insieme all’anziana madre Norma.

Bloch sviluppa in modo magistrale la personalità di Norman, che si intuisce sin da subito non essere propriamente stabile: ha sviluppato un morboso attaccamento alla madre, che lo soggioga e lo umilia in ogni modo. La madre lo controlla e non gli permette di avere contatti con le donne, poiché le ritiene tutte delle meretrici impure. Le donne, per lei, sono tutte prostitute che non meritano di vivere, Mary compresa. E infatti, l’ignara Mary, che nel frattempo decide di ripartire l’indomani per restituire il denaro, diventa una vittima di Norma. La ragazza viene infatti decapitata da una misteriosa figura femminile mentre sta facendosi la doccia nella stanza del motel.

La scena dell’accoltellamento è resa celebre da Hitchcock in una delle sequenze forse più famose del cinema. Questa scena dura solo 45 secondi e ha come sottofondo un commento musicale, anch’esso molto riconoscibile, di archi stridenti, che ne sottolineano la drammaticità. La scena risulta crudele e il delitto efferato, nonostante l’inquadratura si soffermi solo sulla ragazza che urla, prima, e sulla lama del coltello poi. Non si vedono le ferite o il corpo martoriato, ma l’effetto da film horror è assicurato. Ovviamente, grazie al sapiente uso delle inquadrature e dell’uso della macchina da presa. Il regista impiegò ben sette giorni di lavorazione e 72 posizioni della macchina da presa per creare questa sequenza, oltre a fiumi di cioccolato nella vasca per ricreare il sangue (il film è in bianco e nero).

Tornando alla storia, passano i giorni e Lila, la sorella di Mary, si reca da Sam poiché non ha più sue notizie. Con lei sopraggiunge anche il detective privato Arbogast, assoldato dall’azienda di Mary per rintracciare sia i soldi che la ragazza. Nessuno ha avvertito la polizia, per evitare all’azienda lo scandalo. Arbogast è convinto che Mary abbia rubato i soldi e che la sorella e il fidanzato ne siano complici. Quando Lila e Sam rivelano di non sapere dove sia Mary, il mistero si infittisce.

Le indagini conducono Arbogast al Bates Motel, dal quale non farà più ritorno. Lila e Sam, che nel frattempo hanno iniziato a investigare con lo sceriffo, scoprono che la madre di Norman è morta molti anni addietro e che l’uomo vive solo nella casa sul retro del motel. Chi è dunque la misteriosa figura femminile che Mary, prima, e Arbogast, dopo, hanno intravisto alla finestra della casa di Norman?

Lila e Sam, che iniziano a ricomporre tutti gli elementi della sparizione di Mary e di Arbogast, si recano al motel in cerca di prove. E qui si rivelerà loro la macabra verità: uno squilibrato serial killer dalla personalità multipla, il cadavere un’anziana donna in cantina e una palude che occulta le vittime.

Rischiando la propria vita, Lila e Sam faranno arrestare Norman, che in seguito verrà rinchiuso in un ospedale psichiatrico. Sarà proprio lo psichiatra a cui Norman viene affidato a svelare i fatti: il ragazzo, a causa del complesso di Edipo, da giovane uccise, avvelenandoli, la madre e il suo nuovo marito. Dato l’attaccamento morboso alla donna, Norman ne dissotterra il cadavere e lo tiene in casa, nascosto in cantina. Assumerà così tre personalità: quella severa e autoritaria della madre; quella di Norman bambino, completamente succube e dipendente dalla donna; quella di Norman adulto, impacciato e misogino, desideroso di ribellarsi alla madre.

Queste tre personalità convivono in lui, creando un fortissimo conflitto interiore. Ciò non gli ha permesso di crescere e maturare e, incapace di affrontare i problemi e i rapporti con le donne, lo spingono all’omicidio. Come Mary, infatti la polizia ritiene Norman colpevole di altri delitti.

Speculare al doppio rappresentato da Norman/Norma e da Norman adulto/Norman bambino, vi  anche quello che contrappone le due sorelle: Mary, la “cattiva”, che ruba i soldi in un momento di debolezza, e Lila, la “buona”, pronta a giustificare le azioni della sorella. Da notare che Sam, dapprima innamorato di Mary, che però si scopre non conoscerla abbastanza a causa della loro storia a distanza, si innamora poi di Lila, che nel giro di pochi giorni impara a conoscere e apprezzare più di quanto in anni non abbia fatto con Mary.

Il tema del doppio presente nel libro viene ripreso nel film grazie alla presenza di molti specchi. Lo specchio, infatti, è da sempre il simbolo della scissione dell’anima, della doppia personalità e della coscienza.

All’epoca dell’uscita, sia il romanzo che il film destarono critiche per l’efferatezza di molti elementi. Con gli effetti speciali o i racconti cruenti ai quali siamo oggi abituati, probabilmente né il libro né il film risultano più così macabri, pur riuscendo a mantenere elevatissima la suspence.

Un elemento scabroso, però, rimane: Bloch, per il personaggio di Norman, prende spunto da un deplorevole assassino, realmente esistito nel Wisconsin, tale Ed Gein e soprannominato “il macellaio pazzo”. Il killer si era macchiato dei peggiori e macabri crimini: assassino, torturatore, necrofilo, cannibale e profanatore di tombe. Nella sua abitazione, ribattezzata “la casa degli orrori”, la polizia trovò numerosi soprammobili e mobili fatti con le parti del corpo dei cadaveri che rinveniva dalla tombe.

A lui si sono ispirati anche i registi de Il silenzio degli innocenti (1991) per il personaggio di Jame Gumb e di Non aprite quella porta (1974) per il personaggio di Leatherface.

Nonostante il trascorrere del tempo, Psycho – soprattutto in versione film – continua a essere molto conosciuto e apprezzato dal grande pubblico. Il film è anche stato inserito nella classifica dei migliori cento film statunitensi dall’American Film Institute e ha certamente contribuito alla fama di Hitchcock, nonché a quella di Bloch.

 

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