Il 2026 è l’anno degli adattamenti cinematografici: tra i tanti troviamo “Project Hail Mary” di Andy Weir, uno shi-fi presentato in Italia con il titolo “L’ultima missione: Project Hail Mary” che parlerà di amicizia, amore e salvezza; insomma, di “noi tutti”.
La scienza come spinta iniziale
“Project Hail Mary” è in realtà un modo per misurare l’isolamento, per dare un nome alla paura, per capire quanto vale la competenza, se manca una relazione che la sostiene.
Ed ecco perché l’adattamento non interessa solo chi ama la fantascienza.
Il romanzo funziona come un grande esperimento emotivo: mette un uomo dentro il silenzio cosmico, gli toglie la memoria, gli lascia un compito smisurato; infine, quando la trama potrebbe rimanere una corsa tecnica, apre una porta diversa: comunicazione, fiducia, alleanza.
Un risveglio misterioso
Ryland Grace si risveglia in un ambiente chiuso e capisce di essere lontanissimo dalla Terra. È collegato a dei tubi, con il corpo che “non risponde” come dovrebbe e la mente piena di buchi. Le risposte arrivano a scatti, tardive: prima la sopravvivenza elementare, poi i frammenti di memoria, infine la scoperta della missione.
Nel frattempo, Weir inserisce l’ironia come strumento di tenuta mentale. La battuta diventa ossigeno, un modo per restare lucidi quando ogni gesto arranca.
Il punto forte del romanzo è questo: la suspense non dipende solo da “cosa succede”, ma da “chi diventa” Grace mentre ricostruisce la propria identità e il proprio ruolo. L’amnesia, più che un trucco e un cliché, è un test: se togli a qualcuno i ricordi, cosa resta della sua etica? Quanto pesa la responsabilità quando smette di essere una parola e diventa l’unica cosa davanti?
Cosa sappiamo de “L’ultima missione: Project Hail Mary”
Il film “Project Hail Mary” è atteso al cinema il 20 marzo 2026 (uscita USA) e punta a un lancio da grande evento.
Il volto di Ryland Grace sarà Ryan Gosling, con la regia affidata a Phil Lord e Chris Miller e la sceneggiatura a Drew Goddard (lo stesso nome che ha già lavorato sull’adattamento di “The Martian”).
Sul cast, le conferme circolate in questi mesi includono Sandra Hüller, Milana Vayntrub, Lionel Boyce e Ken Leung.
A San Diego Comic-Con 2025 sono stati mostrati i primi minuti del film e, soprattutto, è emerso un dettaglio cruciale per chi teme l’effetto “solo CGI”: la creatura aliena è stata portata in scena con il contributo di The Jim Henson Company, combinando puppetry e CGI.
Rocky e l’emotività
Nel romanzo l’incontro con Rocky cambia tutto: non perché “aggiunge un twist”, ma perché sposta il baricentro. Da quel momento, la storia parla meno di prestazioni individuali e più di traduzione reciproca: linguaggi, fiducia, protocolli improvvisati, gesti minimi che diventano alleanza.
Ed è qui che il film si gioca la sua sfida vera. Rocky sullo schermo può prendere due strade: una più superficiale, fatta di un design affascinante, un effetto spettacolare, che lo renderà una mascotte involontaria; oppure una più profonda, di presenza, che lo renderà un personaggio con tempi, intenzioni e una vulnerabilità propria (qualcuno che “sta” nella scena, capace di cambiare il protagonista).
Le anticipazioni e i racconti dal Comic-Con spingono verso la seconda direzione: Rocky viene trattato come una presenza concreta, con una lavorazione che cerca fisicità e performance.
E anche la promozione sembra essersene accorta: il trailer ha già messo in chiaro che l’elemento relazione è parte del cuore del film, non un segreto da proteggere fino all’ultimo fotogramma.
La scienza come gesto umano
“Project Hail Mary” ama la competenza, ama i dettagli, ama i problemi concreti. Però sceglie una verità più scomoda: la competenza, da sola, è un attrezzo parziale. Funziona quando entra in una rete.
Grace parte con l’idea (molto occidentale, molto moderna) che la soluzione dipenda dalla sua lucidità. Poi la storia gli insegna qualcosa di più difficile: la salvezza somiglia a una cooperazione, non a un trionfo individuale. E cooperare significa imparare un ritmo: ascoltare, negoziare, accettare l’errore, rinunciare a una scorciatoia “brillante” quando danneggia il patto.
Se si cerca un “messaggio” che piaccia a chi ama i pezzi di sociologia travestiti da narrativa, è questo: davanti a un disastro, l’umanità non si salva per genialità isolate. Si salva per alleanze, anche improbabili, anche faticose.
Perché il film punta al pubblico trasversale
Il trailer uscito a fine giugno 2025 ha chiarito la direzione: spettacolo spaziale, senso di isolamento, flashback rapidi, e un tono che prova a tenere insieme tensione e umorismo.
È una scelta sensata: “Project Hail Mary” può piacere a chi ama i puzzle scientifici, ma anche a chi entra in sala cercando soprattutto una storia di solitudine e legame.
E qui l’adattamento può guadagnare molto. Il cinema sa dare corpo a cose che sulla pagina restano immaginate: la claustrofobia della navicella, il silenzio cosmico, la distanza dalla Terra percepita come nostalgia fisica. Se Lord e Miller riescono a tenere il passo emotivo senza trasformare tutto in una sequenza di “pezzi forti”, il film potrebbe diventare uno di quei titoli che mettono d’accordo lettori e non lettori.
Dubbi e sorprese
Il rischio tipico degli adattamenti di Weir è sempre lo stesso: tagliare il “ragionamento in tempo reale”, cioè quella catena di tentativi, errori, soluzioni, piccoli fallimenti che rendono la suspense quasi artigianale. Nel romanzo, la tensione nasce spesso da una cosa banale: un calcolo che non torna, un esperimento che va ripensato, un dettaglio che costringe a ricominciare.
Sul grande schermo, invece, la tentazione è accelerare: rendere tutto più liscio, più eroico, più immediato. Eppure “Project Hail Mary” vive proprio di attrito: la mente che lavora, il corpo che cede, la memoria che torna a pezzi e cambia il significato di ciò che stiamo guardando.
Dall’altra parte, il film ha un vantaggio enorme: può rendere la relazione con Rocky con una forza quasi “tattile”, soprattutto se la scelta Henson verrà sfruttata fino in fondo.
