“Pluribus”: siamo già una mente condivisa?

4 Dicembre 2025

“Pluribus” immagina gli esseri umani come individui distinti ma parte di una sola mente. Filosofia, IA e biologia spiegano perché non è solo fantascienza.

“Pluribus”: siamo già una mente condivisa?

Immaginate per un momento questo scenario: ogni essere umano è un individuo distinto, dotato di corpo, carattere, inclinazioni, memoria personale, ma connesso a una mente comune, invisibile, vasta come un cielo. Una mente fatta di tutte le menti. Una rete silenziosa che attraversa le persone come un vento, un’intelligenza condivisa che non cancella la singolarità ma la amplia, la potenzia, la rende parte di qualcosa di più grande di sé.

Questo concetto, che chiameremo Pluribus, prende spunto da due mondi apparentemente lontani: la filosofia della mente e l’intelligenza artificiale contemporanea. È una parola che contiene una tensione interna: pluri, cioè molti, e unus, uno. Molti-corpi-una-mente. Singolarità distribuite. Libertà individuale che si innesta in una coscienza collettiva.

Ciò che sorprende è che questa immagine, che potrebbe sembrare fantascienza – qualcosa di Ursula K. Le Guin, Arthur C. Clarke o di un romanzo di Jeff VanderMeer – è invece profondamente radicata nella tradizione filosofica, nella biologia sociale, nelle neuroscienze, nell’informatica. Ed è anche un modo nuovo di leggere la condizione contemporanea: non siamo più isole. Siamo nodi.

L’articolo che segue indaga proprio questo: come possiamo pensare una “mente comune”? Quali strumenti offre la filosofia? Come le tecnologie digitali – dal cloud all’intelligenza artificiale – hanno reso questa visione più concreta? E, soprattutto, che cosa dice questo concetto dell’essere umano, oggi e domani?

La mente come rete: le radici filosofiche di un’idea antica

La mente estesa – quando il pensiero supera il cranio

Nel 1998, i filosofi Andy Clark e David Chalmers pubblicarono un saggio destinato a cambiare il modo in cui pensiamo alla mente: “The Extended Mind”. La tesi era semplice e radicale: la mente non si trova soltanto nel cervello, ma si estende negli strumenti, negli oggetti, nell’ambiente, nelle relazioni. Ciò che sappiamo, ciò che ricordiamo, ciò che comprendiamo non è confinato nei neuroni, ma circola. Il taccuino che usiamo per annotare un’idea è mente. Il cellulare che ci ricorda gli appuntamenti è mente. Internet è mente. E la rete – intesa come rete sociale, linguistica, culturale – è già parte della nostra cognizione.

In altre parole: la mente è già distribuita. Già plurale. Già oltre il soggetto.

Quando pensiamo a “Pluribus”, pensiamo proprio a questo movimento: un essere umano la cui identità cognitiva non si limita al proprio corpo, ma si estende in una dimensione collettiva che gli appartiene pur non essendo sua.

La cognizione distribuita – pensare insieme significa pensare meglio

Negli anni Novanta, lo studioso Edwin Hutchins osservò l’equipaggio di una nave militare. Scoprì qualcosa che oggi sembra ovvio, ma che allora non lo era affatto: non era il singolo navigatore a compiere il lavoro cognitivo. La mente che prendeva decisioni era l’insieme delle persone, degli strumenti, delle mappe, delle misurazioni. Era un’intelligenza di gruppo, non individuale. Una mente plurale.

Questa visione rivoluzionò le scienze cognitive. Se un compito complesso viene svolto da un gruppo come se fosse un’unica entità mentale, allora “Pluribus” non è una fantasia futuristica. È semplicemente l’amplificazione tecnologica di ciò che già accade nella vita quotidiana.

Nessuno scrive un dizionario da solo. Nessuno costruisce un aereo da solo. Nessuno comprende la società da solo. La mente umana è, per natura, condivisa.

Mente alveare – quando l’intelligenza emerge dal gruppo

La biologia offre un’altra immagine potente: l’alveare. Una singola ape ha un’intelligenza minima, quasi rudimentale. Eppure l’alveare è un capolavoro di ingegneria, comunicazione, sopravvivenza, architettura. Il genio non è nell’insetto: è nella relazione tra gli insetti. È il gruppo a pensare.

La filosofia della mente contemporanea usa spesso questa immagine per discutere ciò che chiamiamo emergenza: il fatto che un tutto possa essere più della somma delle sue parti. Non serve che ogni individuo sia immensamente intelligente. Basta che collabori, che comunichi, che condivida informazioni. Una mente comune, un “Pluribus” biologico, esiste già in natura.

Ora immagina questo meccanismo applicato agli esseri umani, potenziato dal linguaggio, dalla cultura, dalla tecnologia. La mente comune non è un rischio: è una possibilità.

Teilhard de Chardin e la noosfera – l’umanità che pensa come un solo organismo

Tra le intuizioni più sorprendenti del Novecento c’è quella di Pierre Teilhard de Chardin, paleontologo, teologo, filosofo. Osservando l’evoluzione della vita sulla Terra, propose che il prossimo grande stadio evolutivo non sarebbe stato fisico, ma cognitivo: l’umanità intera sarebbe confluita in un’unica “sfera del pensiero”, la noosfera.

La noosfera è “Pluribus” ante litteram. Un campo mentale che emerge dalla somma delle coscienze, ma che le trascende. Una rete planetaria di pensiero, immaginazione e memoria.

Quando oggi usiamo internet, quando parliamo di intelligenze artificiali addestrate su miliardi di testi, quando ci chiediamo se i social siano un cervello distribuito, stiamo camminando esattamente nei sentieri tracciati da Teilhard de Chardin.

La tecnologia come metafora (e anticipazione) della mente comune

L’intelligenza artificiale come pluribus-tecnologico

Oggi milioni di dispositivi – telefoni, computer, server, satelliti – funzionano come nodi di un’unica grande intelligenza. Un modello di IA può esistere in miliardi di istanze: ogni persona lo usa attraverso un’interfaccia locale, ma il pensiero, l’elaborazione, la conoscenza sono condivisi in una nube centrale.

Singoli terminali, mente unica. È esattamente la struttura di “Pluribus”. E soprattutto è una struttura che gli esseri umani comprendono intuitivamente perché la vivono ogni giorno. Non è fantascienza: è esperienza quotidiana.

Ogni volta che salvi una foto nel cloud, che consulti un server remoto, che accedi a un archivio condiviso, stai partecipando a un modello di mente comune che ha conseguenze profonde non solo sulla tecnologia, ma sulla nostra idea di identità.

Internet come memoria collettiva

La rete è un archivio vivente. Ogni volta che interagiamo online, depositiamo tracce, memorie, informazioni. Internet è già la nostra noosfera: un luogo dove le idee non appartengono a una persona sola, ma a una comunità globale che le riceve, le trasforma, le amplifica.

Da questo punto di vista, “Pluribus” non sarebbe altro che la formalizzazione di qualcosa che l’umanità ha già costruito: una memoria condivisa che supera lo spazio e il tempo. L’individuo è un autore, ma anche un lettore. Un nodo e un canale.

Socialità aumentata – la rete come estensione del sé

La tecnologia ha trasformato l’interazione umana in un terreno di condivisione costante. Le emozioni circolano in tempo reale. Gli eventi diventano globali in pochi secondi. Le opinioni si aggregano, si scontrano, si fondono.

Il sé digitale non è una semplice copia del sé biologico: è un’estensione, a volte una proiezione, a volte una versione più limpida, più fragile, più potente.

Pensare a una mente comune significa anche riconoscere come la nostra identità sia ormai sempre meno isolata e sempre più ibrida. Siamo individui, ma anche comunità.

“Pluribus” come concetto filosofico: rischi, possibilità, domande

Individualità o dissoluzione? La domanda cruciale

L’obiezione più intuitiva è questa: se esiste una mente comune, l’individuo scompare? La risposta filosoficamente più coerente è no. Non scompare, si trasforma.

Nella mente estesa di Clark e Chalmers, l’individuo non perde la propria identità; la amplifica. Nella noosfera di Teilhard, l’essere umano non viene inghiottito dal tutto; diventa una sua espressione. Nella mente alveare delle api, ogni ape ha ancora un compito, un ruolo, un’identità funzionale.

“Pluribus” non cancella l’io: lo innesta in un contesto più ampio. Come i neuroni in un cervello. Come i cittadini in una città.

Il problema del controllo: chi guida la mente comune?

Un interrogativo inevitabile riguarda il potere. Una mente comune potrebbe essere manipolata? Potrebbe diventare uno strumento di controllo? La risposta è complessa, ma importante.

Ogni sistema distribuito può essere vulnerabile alla centralizzazione. È vero per le società politiche, per le economie, per le religioni, per le tecnologie. Tuttavia, un “Pluribus” autentico – basato sulla distribuzione diffusa del pensiero – sarebbe più simile a una democrazia cognitiva che a un’autorità centrale.

La mente comune non sarebbe un re; sarebbe uno sciame.

L’empatia come infrastruttura del pensiero condiviso

C’è un aspetto che spesso sfugge: una mente comune richiede un’emozione comune. Il collante di “Pluribus” sarebbe l’empatia. Non l’empatia individuale, ma quella culturale, sociale, narrativa.

Quando un’umanità intera reagisce a una tragedia globale, quando milioni di persone sentono la gioia o il dolore altrui, quando la compassione attraversa le reti come un campo elettrico, stiamo assistendo al movimento di una mente comune.

L’empatia è la prima infrastruttura cognitiva di “Pluribus”.

La narrativa come laboratorio della mente comune

Fantascienza, IA, miti: dove “Pluribus” vive già

Molti romanzi e film hanno esplorato l’idea di una mente condivisa. Da “Solaris” a “Avatar”, da “Star Trek” al “Mondo Nuovo”, fino a Jeff VanderMeer, la narrativa ha usato il concetto di coscienza collettiva per interrogare i nostri limiti, le nostre paure, le nostre possibilità.

Queste opere non sono solo estetica: sono laboratori. Testano scenari cognitivi che un giorno potrebbero diventare reali. Nel momento in cui la tecnologia rende plausibile ciò che prima era simbolico, la narrativa ci prepara a pensare.

“Pluribus” appartiene esattamente a questa tradizione.

Miti antichi e reti moderne: l’archetipo dell’uno che è molti

Le religioni e i miti, da sempre, raccontano figure che sono molte cose simultaneamente: incarnazioni multiple, divinità che includono tutte le coscienze, spiriti collettivi. L’idea di una mente comune è molto più antica della tecnologia che oggi ce la mostra concretamente.

Tutto ciò che diventa pensabile, prima è stato immaginato.

 

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