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“Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino”, dal romanzo di Christiane F. al film di Uli Edel

Ero adolescente quando ho letto il romanzo biografico “Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino (1979) di Christiane F. E, come la maggior parte della critica e del pubblico, sono rimasta molto colpita dall’esperienza cruenta di tossicodipendenza narrata dalla protagonista, Christiane per l’appunto. Poco più che bambina, Christiane inzia infatti a fare uso di droghe sintetiche a dodici anni e a tredici anni risale la sua prima dose di eroina, la cui dipendenza la spingerà alla prostituzione per procurarsi la dose giornaliera.

Il romanzo nasce da un’intervista condotta da due giornalisti del settimanale tedesco Stel, che hanno intervistato Christiane nel 1978 in merito a un processo per adescamento e abuso di minori a carico di un uomo e nel quale la ragazza è coinvolta. Il racconto di Christiane viene pubblicato a puntate sulla rivista e l’anno successivo diventa un romanzo, con grande successo di pubblico. Viene anche trasposto al cinema, con omonimo titolo, nel 1981, diretto da Uli Edel.

Christiane, a seguito del processo, viene condannata per detenzione di droga. Ma questa non è solo che la punta dell’iceberg: dalle interviste emerge la storia completa di questa giovanissima ragazza, una bambina praticamente, e del mondo dal quale arriva.

Christiane vive in un quartiere popolare e degradato di Berlino, insieme a una madre spesso assente e alla sorellina. Nella solitudine che la circonda, Christiane cerca una famiglia al di fuori delle mura domestiche e la trova in un gruppo di amici, prima in un centro giovanile (dove sperimenta l’LSD e altre droghe) e poi nella storica discoteca Sound. Qui conosce due ragazze, Babsi e Stella, e le tre diventeranno inseparabili, condividendo tutto, comprese le siringhe e gli uomini. Le tre amiche infatti iniziano a consumare eroina. Babsi, vero nome Babette Döge, passerà alla storia come la più giovane vittima di droga, morendo di overdose all’età di quattordici anni.

Per procurarsi la droga le tre ragazzine frequentano la stazione di Berlin Zoologischer Garten, abitata da tossici e giovani che si prostituiscono. Sul retro della stazione Christiane si vende ai clienti per avere in cambio i soldi per comprare l’eroina. In questo ambiente squallido e abitato da persone che sembrano morti che camminano e che la trascina verso la tossicodipendenza, Christiane trova comunque la felicità in un ragazzo conosciuto al Sound, Detlef, e anch’egli consumatore di eroina e dedito alla prostituzione.

Nonostante la presenza del ragazzo, la situazione in cui Christiane si trova non fa che precipitare: ormai fa uso quotidiano di droga e il suo esile corpo deperisce sempre più; oltre che a prostituirsi, si ritrova a vendere quello che possiede (ad esempio i suoi amati vinili) per avere le dosi, e accetta che Detlef viva ospite in casa di un cliente innamorato di lui.

Quando la madre scopre il problema della figlia, la porta via da Berlino per la disintossicazione.

Il seguito della storia di Christiane F. è raccontato in un successivo libro, La mia seconda vita (2013), in cui, ormai donna, racconta cosa le è successo dopo quell’esperienza. Nonostante il buon esito della prima disintossicazione, proprio il successo riscosso con il libro e il film l’ha catapultata in una realtà di notorietà e soldi che, a lungo termine, non ha saputo gestire e l’ha riportata sulla strada della droga e della prostituzione.

Sulla scia del successo ha inizialmente lavorato nel mondo del cinema e della musica nella scena tedesca, ma poi, complice le cattive frequentazioni e amori sbagliati, è ritornata alle vecchie abitudini. Uno spiraglio di serenità appare con la nascita del figlio Jan Niklas, ma questo non basta a salvarla dalla droga e dal malessere che la assilla e che manifesta spostandosi di continuo, dalla Germania alla Grecia, dalla Svizzera all’Olanda. Le ultime notizie che si hanno di lei rivelano che sta seguendo un piano di disintossicazione e vede regolarmente il figlio, al momento affidato a un’altra famiglia.

Così come il romanzo, anche il film Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino di Uli Edel ha riscosso molto successo, complice l’apparizione di David Bowie nella scena del concerto a cui Christiane assiste e grazie alla colonna sonora che si basa proprio sulle canzoni più famose del Duca Bianco del suo periodo berlinese (Heroes, Station to Station per citare le più famose).

Il film è molto più sintetico rispetto alla storia del libro, che è anche denso di profonde riflessioni personali che permettono di capire Christiane (o, almeno, di provarci). Nonostante ciò, il film è comunque ben riuscito perché la naturalezza e l’inesperienza della recitazione dei personaggi (ragazzi presi dalla strada e dalle scuole o veri tossici della stazione) esprime al meglio l’innocenza e l’incoscienza adolescenziali.

Valentina Morlacchi 

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