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“Emozioni” di Battisti e Mogol, siamo soli di fronte ai nostri sentimenti

È difficile che qualcuno possa capire veramente quello che proviamo e quello che ci passa nella testa. Siamo da soli di fronte alle nostre emozioni

Il problema è che è difficile che qualcuno possa capire il tumulto che ci portiamo dentro, è quasi impossibile che qualcuno comprenda veramente quello che proviamo e quello che ci passa per la testa, anche le persone che amiamo di più. Siamo da soli di fronte alla nostra interiorità, soli a dover combattere quella che forse è la battaglia più grande: quella con noi stessi. Ed è proprio questo quello che ci racconta una delle canzoni italiane più amate di sempre: “Emozioni” (1970), scritta da Mogol, musicata e interpretata da Battisti.

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Brucia

Quel che brucia non sono le offese“, canta Lucio Battisti. Perché quello che brucia più forte, che ci fa star più male, proviene da dentro di noi, costringendoci a una solitudine che è difficile accettare. Eppure ognuno di noi tenta di gestire la propria interiorità. Ci proviamo ogni giorno, con tutte le nostre forze. Ma come fronteggiare un amore non ricambiato? Come gestire il dolore di una perdita? Allora falliamo, inesorabilmente, ma nessuno lo sente, perché “quando cade la tristezza in fondo al cuore come la neve non fa rumore”.

Emozioni

Tutto quello che vediamo, sentiamo, che proviamo sulla nostra pelle ci trasmette emozioni: gli aironi che volano sopra il fiume, un prato verde, il sole che va a dormire, la brughiera la mattina. Il dramma sta nel gestire occuparsi di queste emozioni. Forte, nella canzone, è il senso della fine, tanto che può venire voglia di fare follie, come “guidare come un pazzo a fari spenti nella notte per vedere se poi è tanto difficile morire“. Ma la speranza – la speranza che “nasca un giorno una rosa rossa” – non la perderemo mai. Ci avvicineremo, gli uni agli altri. E continueremo a cantare questa vecchia intramontabile poesia. Ma “Emozioni” è poesia? Sì, perché, come dice Faulkner, “la poesia è l’intera storia del cuore umano su una capocchia di spillo” ed è proprio di questo che parla la canzone.

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L’analisi di una delle canzoni d’amore più famose della musica italiana che Lucio Battisti ha portato al Festival di Sanremo nel lontano 1969

Il testo

Seguir con gli occhi un airone sopra il fiume e poi
Ritrovarsi a volare
E sdraiarsi felice sopra l’erba ad ascoltare
Un sottile dispiacere
E di notte passare con lo sguardo la collina per scoprire
Dove il sole va a dormire
Domandarsi perché quando cade la tristezza
In fondo al cuore
Come la neve non fa rumore
 
E guidare come un pazzo a fari spenti nella notte per vedere
Se poi è tanto difficile morire
E stringere le mani per fermare
Qualcosa che
È dentro me
Ma nella mente tua non c’è
Capire tu non puoi
Tu chiamale, se vuoi
Emozioni
Tu chiamale, se vuoi
 
Emozioni
 
Uscir nella brughiera di mattina
Dove non si vede a un passo
Per ritrovar sé stesso
Parlar del più e del meno con un pescatore
Per ore ed ore
Per non sentir che dentro qualcosa muore
E ricoprir di terra una piantina verde
Sperando possa
Nascere un giorno una rosa rossa
 
E prendere a pugni un uomo, solo perché è stato un po’ scortese
Sapendo che quel che brucia non son le offese
E chiudere gli occhi per fermare
Qualcosa che
È dentro me
Ma nella mente tua non c’è
Capire tu non puoi
Tu chiamale, se vuoi
Emozioni
Tu chiamale, se vuoi
Emozioni

 

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