Fin dall’annuncio, “Monster: La storia di Ed Gein” si presenta come un racconto non solo su un uomo, ma su una figura archetipica dell’orrore che ha influenzato l’immaginario dell’horror moderno. Il sito ufficiale menziona esplicitamente come i crimini di Ed Gein abbiano ispirato titoli come “Psycho” , “Non aprire quella porta” e “Il silenzio degli innocenti” .
Questa auto-consapevolezza crea un cortocircuito: la serie non è solo biografica, ma anche una riflessione sul modo in cui la cultura pop plasma il “mostro” nella memoria collettiva.
Monster 3: quali sono tutti i riferimenti cinematografici e reali presenti nella serie?
Il riferimento diretto a Psycho (e Hitchcock)
Uno dei riferimenti più evidenti e usati da Murphy è Psycho di Alfred Hitchcock. Nella serie, c’è una scena in cui Hitchcock, insieme a collaboratori, parla del romanzo “Psycho” di Robert Bloch e del legame (letteralmente rappresentato) con Ed Gein.
Non è un omaggio casuale: Bloch ha ammesso di essere stato influenzato dai fatti di Gein quando scrisse Psycho, anche se non come copia diretta. La serie utilizza quel legame, lo esalta, e trasforma la figura di Gein sia in soggetto che in modellatore del genere thriller/horror.
In un episodio, Hitchcock mostra oggetti inquietanti collegati al caso Gein a un attore che interpreta Norman Bates, mescolando finzione e realtà. Questa operazione, mettere in scena il “dietro le quinte” dell’ispirazione horror, diventa un modo per interrogare la linea tra realtà e racconto: chi influenza chi?
L’omaggio a Mindhunter e l’easter egg metatelevisivo
Una delle trovate più audaci della stagione è l’inserimento di Jerry Brudos (uno dei serial killer reali) che appare nell’episodio finale, collegando così “Monster” con la serie “Mindhunter” di David Fincher / Netflix. In quel finale, l’episodio assume uno stile diverso, con agenti dell’FBI che appaiono come versioni quasi “agonistiche” di personaggi di Mindhunter, e dialoghi che citano interviste con Douglas e Ressler (personaggi effettivi dell’FBI reale).
Secondo Ian Brennan, si tratta di un omaggio a Fincher, un dispositivo narrativo per innalzare la posta visiva del climax. Questa scelta indica che Murphy vuole che la serie entri nel dialogo con il “serial killer televisivo” stesso: il pubblico sa che guardare “Monster” è guardare un continuum di narrazioni criminali mediate dallo schermo.
Incroci di figure reali: Brudos, Bundy, Speck
La stagione non racconta solo Gein, ma fa convergere vari killer reali in un’unica mitologia narrativa. Jerry Brudos compare nel finale, come detto, in una scena che è più simbolica che storica.
Non ci sono prove che Brudos e Gein si conoscessero, ma nella finzione si instaura un legame psicologico e iconico. Ted Bundy appare come figura connessa a Gein: in un episodio si mostra che l’FBI chiede a Gein informazioni su Bundy, proponendo un incrocio tra i miti criminali.
Richard Speck è introdotto tramite lettere e ammirazione che Speck esprime verso Gein, creando una linea simbolica secondo cui Gein diventa un modello “per altri mostri”. Questi incroci servono due funzioni: da un lato espandono la portata mitologica della serie; dall’altro, suggeriscono un continuum del male, che supera i confini dell’individuo.
I riferimenti narrativi e strutturali: allucinazione, memoria, doppio
Murphy e Brennan usano numerosi dispositivi narrativi che richiamano la letteratura psicologica e horror classica: Allucinazioni e deliri : Ed conversa con figure come Ilse Koch e Christine Jorgensen tramite radio che sembrano reali, ma poi si scopre che sono frutto della mente. Questo gioco sogno/realità richiama il surrealismo o l’interno del romanzo gotico.
Doppio e identità: la figura della madre Augusta torna incessantemente come presenza morta, come proiezione, come ossessione. Il confine tra Ed e sua madre è spesso sottolineato come labile.
Metafiction: la serie interviene sul proprio medium con scene in cui Hitchcock parla del film che si sta scrivendo. Il serial killer diventa soggetto e oggetto del racconto stesso.
Uso di spazi isolati e rurali: la ambientazione agricola, la fattoria isolata, la neve, la desolazione paesaggistica sono elementi cari al cinema horror americano del Midwest (ad esempio: “Non aprire quella porta”) che rinforzano il simbolico isolamento del protagonista.
Le libertà creative e le alterazioni rispetto alla realtà
Non si può parlare di riferimenti senza riconoscere dove la serie devia dalla storia documentata. Le scelte di Murphy sono deliberate: L’invenzione di una relazione romanzata tra Ed e Adeline Watkins, che nella realtà è molto meno provata.
La fusione di eventi: Gein che sarebbe coinvolto nel comportamento di Bundy, che è una licenza narrativa e non storica.
L’autore Harold Schechter ha accusato la serie di “fabricazione pura” in alcune scene chiave, come l’asfissia autoerotica o la partecipazione attiva di Watkins. Alcune scelte visive/estetiche esasperano gli elementi horror per spettacolarità, a dispetto della sobrietà storica.
Il senso di “meta-horror”: la cultura del mostro
Infine, uno dei riferimenti più alti è il modo in cui “Monster” cerca di interrogare la cultura del mostro, come Ed Gein non è solo un individuo, ma un simbolo, una figura che attraversa la cultura pop (film, letteratura, serial killer fiction).
La serie si nutre dei miti che ha aiutato a creare, restituendo allo spettatore la consapevolezza che guardiamo anche il “mostro nella specchio” della società.
In Italia, “Non aprire quella porta” e “Il silenzio degli innocenti” sono entrambi molto conosciuti, ma con livelli di notorietà e percezione culturale diversi: “Non aprite quella porta” è un film del 1974, girato da Tobe Hooper. In Italia, è considerato un cult per appassionati di horror, ma non mainstream come altri film del genere.
Il titolo italiano, “Non aprite quella porta”, è diventato iconico, tanto da essere usato anche per altri film (in modo improprio), contribuendo alla sua diffusione pop.
È stato a lungo censurato e vietato ai minori, il che ne ha aumentato l’aura da film “proibito” tra cinefili. Meno noto al pubblico generalista rispetto a “Psycho” o “Il silenzio degli innocenti” , ma amatissimo nei circoli horror, universitari e cineclub.
Il silenzio degli innocenti, invece, è stato girato nel 1991 Regista: Jonathan Demme, estremamente famoso, in Italia, e premiato ha vinto 5 Oscar, tra cui Miglior Film, Miglior Regia, Miglior Attore (Anthony Hopkins) e Miglior Attrice (Jodie Foster).
Ha avuto ampia diffusione televisiva ed è stato più volte trasmesso in prima serata su reti generaliste. La figura di Hannibal Lecter è entrata nell’immaginario collettivo italiano.
Frasi come “Buonasera, Clarice” o la scena del morso alla guardia sono riconoscibilissime anche per chi non ha visto il film. È considerato un thriller psicologico di alta qualità, e non semplicemente un horror: per questo ha conquistato anche il pubblico colto e quello “non di genere”.