“L’altro ispettore”, la nuova serie Rai tratta dal romanzo di Pasquale Sgrò

13 Novembre 2025

Ambientata a Lucca, la serie è diretta da Paola Randi e vede protagonista Alessio Vassallo (con Cesare Bocci e Francesca Inaudi) nei panni di un ispettore del lavoro – non un poliziotto.

"L’altro ispettore", la nuova serie Rai tratta dal romanzo di Pasquale Sgrò

“L’altro ispettore” non è semplicemente una serie tv, ma la storia di quanto siamo bravi a ignorare il pericolo quotidiano, a voltare lo sguardo. Nata per camminare sulla linea sottile che divide il giallo dall’amara realtà della sicurezza sul lavoro, è tratta dal romanzo di Pasquale Sgrò e vedrà il suo esordio su Rai 1 in prima serata.

“L’altro ispettore” la nuova serie che rompe gli schemi

Ambientata a Lucca, la serie è diretta da Paola Randi e vede protagonista Alessio Vassallo (con Cesare Bocci e Francesca Inaudi) nei panni di un ispettore del lavoro – non un poliziotto. La sua indagine non ha a che fare con la pistola, ma con i verbali, i capannoni, e la ricerca di una verità che non sia solo “incidente”.

L’obiettivo è dichiarato: trasformare l’indagine in coscienza civile. Un appuntamento da non perdere da martedì 2 dicembre su Rai 1 e RaiPlay.

Il libro: la ferita di Lucca e un ritorno scomodo

Il romanzo “L’altro ispettore. Vietato pensare” di Pasquale Sgrò (ed. Corbaccio) è il cuore di questa storia, e il suo titolo è già un programma: vietato smettere di farsi domande.

Domenico “Mimmo” Dodaro, 38 anni, è un ispettore del lavoro che torna nella sua Lucca. Non è un rientro sereno: lo accompagna il lutto per la moglie e la necessità di gestire la figlia adolescente, Mimì. Lucca, però, non offre riparo, ma subito una scossa dolorosa: la morte della giovane Karina Bogdani, operaia tessile e ballerina, travolta da un orditoio.

Un “incidente” che per Mimmo ha il sapore amaro dell’omertà. Soprattutto perché, anni prima, anche suo padre era morto in un incidente sul lavoro nello stesso cantiere che ha reso paraplegico il suo amico Alessandro. Il lutto personale e le ferite della città si fondono: il passato non torna solo per consolare, ma per chiedere giustizia.

Un eroe di carta: niente pistole

Dimenticate l’indagine glamour del poliziotto. Quella di Mimmo Dodaro è un’indagine della realtà.

Nel libro, il protagonista non brandisce armi né insegue criminali in auto. Il suo campo di battaglia è fatto di capannoni, turni massacranti, verbali, normative e la fatica di vedere la verità nel grigio della burocrazia. Sgrò (già noto per i suoi volumi sulla legalità) non costruisce un eroe che salva il mondo, ma un funzionario che lo misura, lo documenta e lo nomina.

È qui che la letteratura fa un servizio prezioso: toglie l’anonimato alle statistiche degli infortuni, dando volti e voci a tragedie che troppe volte passano come un semplice fondo-sonoro nel telegiornale. Mimmo è l'”altro” ispettore perché non cerca l’assassino, ma le responsabilità che hanno reso l’incidente inevitabile.

La serie Rai

La trasposizione televisiva di “L’altro ispettore” è la vera scommessa. Non è un caso se è stata subito definita la prima fiction italiana a mettere davvero al centro la sicurezza sul lavoro.

Cosa vedremo: un crime-drama che educa senza prediche

Sullo schermo, Mimmo (interpretato da Alessio Vassallo) torna a Lucca dopo anni passati a indagare sul caporalato al Sud. Ritrova i suoi fantasmi: l’amico Alessandro Lanciani (Cesare Bocci), ex operaio e vittima di un incidente, e la pm Raffaella Pacini (Francesca Inaudi), alleata istituzionale.

La serie promette un impianto “verticale-orizzontale”: ogni puntata un caso specifico (l’infortunio evitabile, l’incuria seriale), innestato in un arco narrativo personale forte che include il lutto, la famiglia e le vecchie ferite di Lucca.
Dietro c’è un progetto chiaro e ambizioso: portare il cantiere, la filiera e i reparti produttivi in prime time.

L’obiettivo non è fare cronaca a freddo, ma costruire un crime-drama avvincente che sia in grado di fare coscienza civile senza mai cadere nella moralina.

Chi la firma: un team solido, una scelta identitaria

A firmare la regia c’è Paola Randi, nota per saper unire realismo e tocco autoriale. La produzione è targata Rai Fiction/Anele.

A garantire la qualità seriale c’è una writers’ room di peso, che allinea penne esperte in legal-drama e procedural: da Salvatore De Mola (“Montalbano“, “Imma Tataranni“) ad Andrea Valagussa (“Doc”, “Don Matteo“). Un team che sa come trasformare un “tema” in conflitti umani credibili.

Una scelta forte è stata l’ambientazione: le riprese, interamente a Lucca, non usano la città come un semplice sfondo, ma come un personaggio identitario e autentico, restituendo spazi che di solito la fiction ignora.

Lucca protagonista: la città come scena morale

Non un fondale, ma un patto con il territorio

Palazzi storici, mura, capannoni, periferie, zone industriali: Lucca qui non è una cartolina, ma un ecosistema in cui produzione e bellezza coesistono e a volte si scontrano. Il Comune ha sottolineato come le riprese abbiano coinvolto la città e valorizzato location normalmente invisibili agli schermi. Il risultato – se le immagini del backstage e i primi materiali promozionali sono indicativi – è un poliziesco civile che sporca la suola delle scarpe, e ci chiede di guardare dentro i luoghi in cui “non succede niente” finché succede l’irreparabile.

Il perché (culturale) di un’operazione così rara

Di cosa parliamo quando parliamo di sicurezza

L’Italia ha una lunga tradizione di crime seriale, ma difficilmente ha fatto del lavoro il suo campo da gioco. L’altro ispettore prova a colmare un vuoto: sposta il giallo dal commissariato al cantiere, dal cold case all’infortunio che poteva essere evitato. È una differenza enorme. Il colpevole non è più (solo) l’assassino, ma un sistema di scelte: risparmio sui dispositivi, formazione superficiale, tempi “di produzione” scambiati per destino. Portare tutto questo in un racconto di prima serata è scomodo e necessario.

Il rischio della didascalia (e come evitarlo)

Quando tocchi temi sociali, la moralina è dietro l’angolo. Qui il romanzo aiuta la serie: Sgrò costruisce personaggi prima che messaggi; la writers’ room Rai – forte di esperienza su legal-drama e procedural – può trasformare il “tema” in conflitti umani: il dirigente che chiude gli occhi, l’operaio che ha paura di parlare, il collega che “tanto lo fanno tutti”. Se il baricentro resta Mimmo e i suoi, la lezione arriva per empatia, non per decreto.

Mimmo Dodaro: un eroe normale (e per questo raro)

Né santo, né cowboy

Il fascino di Mimmo sta nella misura. Non brandisce pistole, non sgomma sulle calli: controlla documenti, ascolta, registra difformità, fa domande scomode. Ha un dolore privato che non diventa melodramma, un senso della giustizia che non scivola nel moralismo. È un funzionario – parola che nel nostro immaginario suona “grigia” – e proprio per questo diventa rivoluzionaria sullo schermo: il bene lo fa chi compila bene i fogli, chi si prende responsabilità minime ogni giorno.

La paternità come bussola

Il romanzo (e, a cascata, la serie) lega tutto alla paternità: Mimmo è figlio – di un uomo morto sul lavoro – ed è padre di una ragazza che cresce. Ogni indagine mette in scena un passaggio di testimone: che mondo consegniamo a chi viene dopo? È la domanda più politica che esista, raccontata con la semplicità di una cena in cucina, di un litigio tra padre e figlia, di una telefonata che arriva quando sei in sopralluogo.

Cesare Bocci e Francesca Inaudi: due forze complementari

L’amico ferito e l’alleata istituzionale

Alessandro Lanciani (Bocci) non è spalla comica né semplice confidente. È corpo ferito della città: ex operaio, vittima di un incidente, memoria vivente di ciò che si è ignorato. Raffaella Pacini (Inaudi), pm e ex compagna di classe di Mimmo, attraversa un crinale complicato: è parte del sistema ma anche leva per farlo funzionare meglio. La serie, se manterrà la promessa dei materiali di presentazione, userà questi tre poli – Mimmo, Alessandro, Raffaella – per tenere insieme vicinanza, dolore e diritto.

Crime civile a episodi

Sei storie, un’unica ferita

Il formato (6×50) lascia pensare a case-of-the-week legati da un filo rosso personale e cittadino. Non tanto il “serial killer” quanto la serialità dell’incuria. Ogni episodio può esplorare un settore (tessile, edilizia, logistica, agricoltura), un errore ricorrente, un diverso gradi di responsabilità. La sfida sarà mantenere tensione senza spettacolarizzare il dolore: far vivere il giallo con la stessa adrenalina, ma altri strumenti (ascolto, interrogatorio, sopralluogo, laboratorio).

La grammatica visiva

La regia di Paola Randi, per quanto anticipabile dagli altri suoi lavori, potrebbe scegliere una messa in scena concreta: luce naturale, geografie leggibili, oggetti che contano (caschi, imbragature, tabelle, badge), suono di fondo (sirene, macchinari, impianti) che costruisce atmosfera. La città come mappa morale, il cantiere come scena primaria – senza fetish industriali, senza romanticizzare la fatica.

Cosa cambia passando dal libro alla serie (e perché va bene così)

Dal monologo interiore al contraddittorio

Il romanzo ci lascia spesso nella testa di Mimmo; la serie – per definizione – esteriorizza: più dialogo, più conflitto, più contraddittorio pubblico. È un bene, se non si perde la voce sobria del libro. Perché il punto non è “dimostrare” che c’è un colpevole; è illuminare i meccanismi che rendono possibile l’errore.

Diritto, burocrazia, empatia

A molti “procedural” italiani si rimprovera di semplificare il diritto. Qui la materia è più minuta (ispezioni, verbali, norme tecniche) e può sembrare anti-drammatica. È il banco di prova della serie: mostrare che la burocrazia non è un nemico in sé, ma lo diventa quando viene svuotata del suo compito: proteggere. Se la serie riuscirà a far sentire il peso buono dei moduli e quello cattivo delle scorciatoie, avrà vinto.

Il contesto produttivo: una scelta editoriale non scontata

Chi l’ha voluta

Rai Fiction e Anele hanno accompagnato un progetto “di frontiera”: scrittura selezionata, location uniche, consultazioni con istituzioni locali, una presentazione in festival industriali (Italian Global Series Festival) prima ancora della messa in onda, e una comunicazione che insiste sull’impatto sociale. Non il solito poliziesco “di repertorio”, ma un investimento d’immagine – e di responsabilità – dell’azienda.

Quando e come va in onda

Il debutto è fissato per martedì 2 dicembre su Rai 1 (con disponibilità su RaiPlay), sei episodi da 50’; i comunicati territoriali parlano esplicitamente di Lucca protagonista, con ringraziamenti ufficiali della città alle troupe e all’organizzazione della produzione.

Perché “L’altro ispettore” può contare (davvero)

Tre contributi utili

  1. Una mappa storica e concreta: racconta come accadono gli infortuni, non solo “che sono accaduti”. Spiega cosa significa prevenire – parola abusata, pratica poco compresa.
  2. Una grammatica delle differenze: dirige lo sguardo su le parti deboli della filiera (interinali, migranti, subappalti), e sulla catena di responsabilità. Non esiste “la colpa unica”; esistono gradi.
  3. Un invito al linguaggio responsabile: parole come “fatalità”, “tragica casualità”, “nessuna irregolarità riscontrata” hanno un peso. Nominare bene le cose cambia la realtà.

A chi piacerà, e a chi no

Piacerà a chi cerca storie che mordono il presente, a chi ama crime-drama in cui la pistola non è protagonista. Potrà irritare chi vuole l’action pura, o chi pretende dal prime time un pamphlet politico. Ma la cosa migliore che una serie possa fare è aprire conversazioni. E su questo terreno L’altro ispettore ha già vinto.

Per i lettori: il libro come bussola (prima o dopo la serie)

Leggerlo prima (per ascoltare il timbro)

Chi legge il romanzo prima della serie entra con il giusto timbro emotivo: ritmo medio, voce calma, centralità delle relazioni. La tv – per natura – tenderà ad accelerare. Portarsi dietro il “respiro” del libro può aiutare a non perdere la parte più umana del racconto.

Leggerlo dopo (per approfondire)

Chi legge dopo, invece, troverà nel libro un livello di dettaglio (tecnico e affettivo) che la serie non può permettersi in 6×50’. È un buon completamento: mette ordine, resta sulla pagina quel che in tv scorre. (Uscita prevista in libreria il 18 novembre 2025, con edizione anche ebook.)

Domande che la serie – se coraggiosa – dovrebbe lasciarci

  • Quanta parte di noi c’è in un “incidente”? Cosa scegliamo quando tacciamo?
  • La produttività può essere misurata senza protezione? E chi paga i costi quando non lo è?
  • Cosa significa giustizia dove non ci sono “criminali” ma catene di leggerezza?
  • Come raccontare i morti sul lavoro senza trasformarli in numeri o, peggio, in “colpevoli di distrazione”?

Una fiction popolare che allarga il perimetro del pop

Non ci serviva l’ennesimo super-detective. Ci serviva qualcuno che apre un armadio e trova caschi impolverati. L’altro ispettore non è un monumento, né un atto d’accusa a tavolino: è una storia. Ma se le storie servono a qualcosa, servono a ricordarci cosa non possiamo più chiamare fatalità. Mimmo Dodaro – nel libro e, speriamo, nella serie – ci porta dove non guardiamo mai: dentro i luoghi del lavoro. E ci chiede solo una cosa semplice: pensare. È vietato smettere.

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