“L’altro ispettore” arriva in prima serata su Rai 1 come una piccola anomalia felice: niente commissari con la pistola, niente sparatorie, niente inseguimenti. Al centro c’è un ispettore del lavoro, Domenico “Mimmo” Dodaro, e il fuoco del racconto sono le morti sul lavoro, le cosiddette “morti bianche”, ispirate a casi realmente accaduti.
Il primo episodio – “Ritorno a casa” – è già una dichiarazione d’intenti. Mimmo torna a Lucca dopo la morte della moglie, con la figlia Mimì per mano, e si ritrova quasi subito su un caso che sembra uscito dalla cronaca: Karina, giovane operaia tessile e ballerina piena di sogni, muore stritolata da un orditoio in un cotonificio della zona. Nei discorsi ufficiali si parla di distrazione, stanchezza, fatalità. Mimmo invece comincia a farsi domande: perché un macchinario “sicuro” uccide? Chi ha spento – o manomesso – i dispositivi di protezione?
Da subito la serie, diretta da Paola Randi e liberamente tratta dai romanzi di Pasquale Sgrò, sceglie un registro ibrido: il giallo di indagine si intreccia a una riflessione sociale molto concreta. Non è un caso che la prima puntata sia dedicata esplicitamente a Luana D’Orazio, la giovane operaia morta nel 2021 in un’azienda tessile vicino Prato, risucchiata da un macchinario simile a quello che vediamo in fiction.
Ma se l’impianto è civile, quasi “politico”, il cuore della serie sono i personaggi, costruiti a partire dal romanzo “L’altro ispettore. Vietato pensare” (Corbaccio, 2025), primo volume della serie “Le indagini di Domenico Dodaro”.
Domenico “Mimmo” Dodaro: un eroe stanco, senza pistola
Domenico Dodaro ha trentotto anni e una vita spezzata a metà. La morte della moglie lo ha costretto a cambiare città, a prendere la figlia per mano e a ricucire la quotidianità. Ma prima ancora c’è un trauma più remoto: suo padre è morto in un cantiere, in quell’incidente è rimasto paralizzato anche Alessandro, il suo migliore amico. L’ombra di quell’evento ritorna in ogni passo che Mimmo compie.
Alessio Vassallo interpreta Mimmo con una delicatezza rara. Ha lo sguardo di chi porta il peso delle cose senza ostentarlo. È un ispettore che non grida, non impone, non deve dimostrare nulla. La sua forza nasce dall’ascolto e dalla testardaggine gentile con cui analizza documenti, macchinari, turni di lavoro, testimonianze. Mimmo non si presenta mai come salvatore, ma come qualcuno che vuole capire.
La sua umanità emerge anche in quei gesti piccoli che restano impressi: quando deve ragionare, indossa le cuffie antirumore, come per isolarsi dal mondo e affidarsi al proprio respiro. Sono ritualità che parlano di lui più di qualsiasi dialogo. Parlano del suo bisogno di silenzio, della sua fatica a convivere con un mestiere che lo porta ogni giorno a fare i conti con la morte. Mimmo è un investigatore che non ha la pistola, ma un taccuino; che non si alimenta di adrenalina, ma di scrupolo; che non risolve casi da solo, ma grazie alla rete umanissima che lo circonda.
Alessandro: l’amico che ricorda al mondo che il corpo ha memoria
Accanto a Mimmo c’è Alessandro, interpretato da Cesare Bocci. È l’amico sopravvissuto all’incidente che ha ucciso il padre di Mimmo. Oggi vive su una sedia a rotelle, ma non è mai dipinto come una “vittima” da compatire. Alessandro è ironico, tagliente, capace di guardare il proprio destino senza retorica. È diventato mental coach: aiuta gli altri a rimettere insieme i pezzi quando la vita si spezza sul lavoro, e lo fa mentre affronta ogni giorno le conseguenze del proprio trauma.
Tra lui e Mimmo c’è un rapporto che somiglia più a quello tra due fratelli che si conoscono da sempre. A volte è lui a spronare l’ispettore quando si chiude troppo nelle sue ossessioni, altre volte è Mimmo che si aggrappa alla sua lucidità per non lasciarsi travolgere. La loro storia comune è un filo che attraversa l’intera serie: il corpo ferito di Alessandro, come la morte del padre, è una memoria visibile che nessuno può raccontare meglio di lui.
Raffaella Pacini: la PM che non ha paura di cambiare idea
Raffaella Pacini, interpretata da Francesca Inaudi, è il passato che ritorna e il presente che provoca. Mimmo la rivede dopo anni: ai tempi del liceo erano amici, forse qualcosa di più. Oggi lei è pubblico ministero e porta sul lavoro una lucidità che a volte sfiora l’irruenza. Non ha paura di prendere posizione, di esporsi, di puntare l’indice quando un caso la indigna.
La sua relazione con Mimmo non è solo affettiva, ma professionale: si scontrano, litigano, si completano. Nel secondo episodio, quando un giovane lavoratore viene trovato agonizzante davanti al pronto soccorso, Raffaella è convinta che si tratti di un pestaggio. Mimmo, invece, sospetta un incidente sul lavoro nascosto con cura. Per arrivare alla verità, ciascuno deve abbandonare la propria idea iniziale e comprendere la complessità di quel corpo ferito.
La loro dinamica non è quella classica del flirt forzato, ma un confronto tra due adulti che hanno sofferto, che hanno perso pezzi della vita lungo la strada, che vivono il lavoro con intensità diversa e complementare. Raffaella non è un accessorio narrativo: rappresenta la legge con tutte le sue contraddizioni, e al tempo stesso la parte emotiva che Mimmo tende a trattenere.
Eleonora Lagonegro: la vita che non si è fermata
Eleonora, interpretata da Silvia Mazzieri, il pubblico la vede entrare in scena come un soffio improvviso dal passato. Era il primo amore di Mimmo, la ragazza che tutti guardavano a scuola, quella che sembrava destinata alla vita che appare perfetta da fuori. Oggi è madre single e con una forza pratica, concreta, che le permette di affrontare la quotidianità senza cadere nella nostalgia.
Eleonora non è un ideale adolescenziale che ritorna, ma una donna che ha preso strade che Mimmo non ha potuto percorrere. Tra loro c’è la tenerezza delle cose irrisolte, ma anche il rispetto di due adulti che sanno di non essere più quelli che erano. Eleonora ricorda a Mimmo che si può continuare a vivere anche quando tutto sembra crollato.
La serie, talvolta, sfiora il rischio di cadere nella dinamica da commedia romantica, ma evita di trasformare Eleonora in un pretesto sentimentale. È un capitolo della vita che ritorna non per distrarre dalla trama principale, ma per mostrare come le ferite private influenzino quelle pubbliche.
Mimì: lo sguardo che vede tutto
Tra i personaggi più luminosi della serie c’è Mimì, la figlia di Mimmo. Angelica Tuccini le dà una presenza sincera, senza costruzioni stereotipate. Mimì vive il lutto della madre in modo asciutto, a volte silenzioso, a volte irrequieto. Capisce il mondo degli adulti più di quanto gliene venga detto, e questo la rende una delle chiavi emotive della storia.
Quando cerca di interpretare ciò che il padre non dice, quando lo guarda rientrare dalla fabbrica con gli occhi stanchi o finge di non vedere la sua tristezza, Mimì diventa il punto di vista più vero della serie. La sua crescita è parallela alle indagini: mentre Mimmo cerca la verità sulle morti altrui, Mimì cerca la verità su suo padre e su sé stessa.
Non è mai scritta come la bambina geniale che salva le situazioni, ma come una ragazzina che soffre, sbaglia, ride, ascolta e impara. È lei che dà un senso al modo in cui Mimmo affronta il mondo: ogni caso è anche un frammento della storia che lui dovrà spiegare un giorno alla figlia.
Carla: la madre che custodisce il passato e protegge il futuro
Carla, la madre di Mimmo, ha il volto di Rosanna Gentili. È una donna che ha vissuto un dolore enorme — la morte del marito in cantiere — e che ora guarda il figlio ripetere, in un modo diverso, lo stesso destino di perdita. Carla è un porto sicuro senza essere un santuario. È ironica, risoluta, materna senza retorica.
È lei che tiene insieme la famiglia quando Mimmo cede, lei che accoglie Mimì quando la bambina ha bisogno di rifugiarsi da una realtà troppo grande, lei che incarna la memoria operaia del racconto. Con Carla la serie ricorda che le morti sul lavoro non sono statistiche, ma fratture che continuano a vibrare nei decenni, nelle famiglie, nei corpi di chi resta.
Lucrezia: la sorella che porta nella serie il mondo digitale
Lucrezia, la sorella di Mimmo, interpretata da Matilde Bernardi, è il contrappunto più moderno della narrazione. È competente, brillante, immersa nella realtà digitale. Ha uno humour leggero che spesso spezza la tensione delle indagini, ma allo stesso tempo è una figura fondamentale per comprendere come funzionino davvero i luoghi di lavoro di oggi: badge, turni, registri elettronici, tracciature, software gestionali.
Lucrezia non è lì per fare colore: è una parte della generazione che vive la precarietà dall’interno, con una consapevolezza tecnica che arricchisce l’indagine e affianca Mimmo nel suo sguardo, più analogico e più emotivo.
Mariotti, Vincenzina e la “piccola squadra” di Mimmo
Attorno all’ispettore si forma, puntata dopo puntata, una rete di persone che diventano il suo punto d’appoggio. Alfredo Mariotti, carabiniere gentile interpretato da Massimiliano Galligani, è la presenza discreta che collega l’ispettore con le famiglie, con i lavoratori, con chi ha paura di parlare. E poi c’è Vincenzina, archivista interpretata da Barbara Enrichi, custode delle carte, delle memorie, dei fascicoli che raccontano più della gente di qualsiasi testimonianza.
La loro presenza rimane laterale eppure fondamentale: sono il contrario del team investigativo spettacolare e infallibile a cui le serie poliziesche ci hanno abituati. Qui non ci sono eroi solitari, ma persone che imparano a fidarsi l’una dell’altra
Dal romanzo allo schermo: come cambiano (e restano) i personaggi
Il romanzo di Pasquale Sgrò, “L’altro ispettore. Vietato pensare”, da cui la serie prende spunto, contiene già l’impianto emotivo e narrativo di Mimmo: il ritorno a Lucca, la morte della moglie, la figlia, la madre, la sorella, l’amico Alessandro, il primo caso della giovane operaia morta in fabbrica.
La serie, però, amplia il respiro: approfondisce le dinamiche familiari, dà più spazio al mondo dei lavoratori, inserisce due figure femminili — Raffaella ed Eleonora — che contribuiscono a restituire Mimmo come uomo intero, non solo come ispettore. E costruisce un ecosistema di relazioni che rende l’indagine un percorso collettivo.
Quel che non cambia è il cuore: il lavoro è un territorio in cui si consuma una parte della vita e, a volte, purtroppo anche della morte. L’obiettivo narrativo è mettere la dignità del lavoro al centro, attraverso una figura professionale che esiste davvero ma che raramente la fiction aveva scelto come protagonista.
