Il cinema italiano riesce a fare ancora critica sociale?

11 Agosto 2025

Scopri come il cinema italiano affronta tematiche di critica sociale e se riesce ancora a influenzare il dibattito contemporaneo nel cinema.

Il cinema italiano riesce a fare ancora critica sociale?

Il cinema italiano è stato, per buona parte del Novecento, una delle voci più potenti e riconoscibili della critica sociale mondiale. Dal neorealismo del dopoguerra alle stagioni della commedia all’italiana, fino ai film d’autore degli anni ’70 e ’80, la nostra cinematografia ha spesso rappresentato lo specchio, deformante, a volte impietoso, della società italiana.

Registi come De Sica, Rossellini, Pasolini, Rosi, Scola o Petri non si limitavano a raccontare storie: mettevano in scena contraddizioni, ingiustizie, conflitti di classe, pregiudizi culturali e politici.

Ma oggi, nel 2025, possiamo ancora dire che il cinema italiano faccia vera critica sociale? Oppure si è piegato a esigenze di mercato, produzioni “facili” e logiche di streaming che privilegiano l’intrattenimento veloce?

La risposta non è semplice. Se da un lato il panorama contemporaneo sembra dominato da commedie leggere e prodotti seriali pensati per piattaforme digitali, dall’altro non mancano film e registi che tentano, a volte con grande successo, di rimettere al centro della scena i temi sociali più urgenti.

Cinema italiano tra successi e insuccessi: riesce ancora a rappresentare la realtà?

la scintilla c’è ancora. Il cinema italiano non ha perso del tutto la capacità di fare critica sociale, ma deve fare i conti con un sistema produttivo più fragile, un pubblico frammentato e un mercato dominato da logiche commerciali.

Tuttavia, gli esempi degli ultimi anni dimostrano che, quando c’è una visione forte e una narrazione coraggiosa, il pubblico risponde. In fondo, la domanda vera non è se il cinema possa ancora fare critica sociale, ma se vogliamo che lo faccia.

Perché raccontare le contraddizioni della nostra società significa, inevitabilmente, mettere in discussione chi siamo. E questa è un’operazione scomoda, ma necessaria.

Una tradizione difficile da ereditare

Il paragone con il passato è inevitabile. Il neorealismo, nato dalle macerie della Seconda guerra mondiale, portava in sala le storie di chi viveva ai margini: operai, disoccupati, donne sole, bambini lasciati a se stessi.

Non c’era paura di mostrare il dolore, la povertà, la brutalità delle ingiustizie. Successivamente, la commedia all’italiana seppe smascherare i vizi nazionali con ironia amara, raccontando la modernizzazione, la corruzione, il maschilismo, le disuguaglianze.

Oggi i contesti sono cambiati, ma le diseguaglianze non sono scomparse: precarietà lavorativa, crisi ambientale, immigrazione, violenza di genere, deriva politica.

Eppure, spesso questi temi faticano a trovare spazio nel cinema mainstream italiano, schiacciato tra esigenze commerciali e un sistema produttivo che preferisce il rischio zero.

Dove resiste la critica sociale

Negli ultimi anni alcuni registi hanno dimostrato che la critica sociale è ancora possibile. Lo hanno fatto scegliendo spesso strade ibride, capaci di unire il racconto politico a un linguaggio accessibile anche al grande pubblico.

Gianfranco Rosi con i suoi documentari ( Fuocoammare, Notturno ) ha portato in sala e nei festival internazionali il tema delle migrazioni e delle guerre vicine a noi, evitando il didascalismo e affidandosi a una forza visiva potentissima.

Matteo Garrone, con Io capitano, ha raccontato il viaggio di due ragazzi senegalesi verso l’Europa, trasformando un dramma reale in un’odissea cinematografica intensa, capace di emozionare e indignare.

Alice Rohrwacher, con film come Lazzaro felice e La chimera, ha riletto le tensioni sociali e ambientali del nostro Paese in chiave poetica, con un occhio rivolto alle ingiustizie subite dagli ultimi.

Pietro Marcello, in Martin Eden, ha trasformato il romanzo di Jack London in un affresco sulla lotta di classe italiana del Novecento, risonante con le crisi di oggi.

Questi autori dimostrano che il cinema può ancora pungere, basta che non si limiti a raccontare, ma prenda posizione.

La nuova sfida: lo streaming

L’avvento dello streaming ha cambiato le regole del gioco. Piattaforme come Netflix, Prime Video e Disney+ privilegiano contenuti capaci di attirare abbonati in pochi giorni, spingendo le produzioni verso generi immediati: thriller, commedie romantiche, film d’azione.

In questo contesto, il cinema di critica sociale rischia di apparire “troppo lento” o “troppo difficile”. Eppure, proprio lo streaming potrebbe essere un alleato, offrendo visibilità internazionale a film che in sala avrebbero vita breve.

Le otto montagne, tratto dal romanzo di Paolo Cognetti, o Rapito di Marco Bellocchio hanno avuto nuova linfa grazie alla distribuzione online, raggiungendo pubblici che non frequentano i cinema d’essai.

Critica sociale non significa solo denuncia

Una parte del problema è che spesso si riduce la critica sociale alla denuncia diretta. In realtà, anche un racconto intimista o una commedia leggera può contenere una riflessione profonda sul nostro presente.

Pensa a Perfetti sconosciuti di Paolo Genovese: non è un film militante, ma mette a nudo ipocrisie e segreti di una generazione digitale, sollevando interrogativi su privacy e relazioni.

Allo stesso modo, Siccità di Paolo Virzì ha raccontato un’Italia distopica in crisi idrica, trasformando un problema ambientale attuale in una metafora collettiva.

I temi più urgenti che il cinema dovrebbe affrontare

Se il cinema italiano vuole ritrovare la sua forza critica, deve avere il coraggio di raccontare le tensioni del nostro tempo. Alcuni temi sembrano ancora troppo assenti o trattati superficialmente:

La precarietà lavorativa e le nuove forme di sfruttamento. Le disuguaglianze di genere, andando oltre il cliché della “donna forte” e indagando il patriarcato quotidiano.

La crisi climatica e i suoi effetti sociali. La solitudine urbana e l’isolamento digitale. Le nuove migrazioni interne ed esterne e il loro impatto sulle comunità.

Un’eredità da onorare, non da imitare

Il rischio, parlando di critica sociale, è cadere nella nostalgia del neorealismo.

Ma il contesto è cambiato e il cinema non può limitarsi a replicare formule passate. La forza dei grandi maestri era la capacità di parlare del proprio presente con linguaggi innovativi.

Oggi, la sfida è proprio questa: trovare forme nuove, visivamente potenti, che possano competere con l’intrattenimento globale senza rinunciare a uno sguardo critico.

 

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