Giovanni Scifoni alza il sipario su uno degli spettacoli più intensi e innovativi della stagione: “FRA’. San Francesco, la superstar del Medioevo” . Ma non aspettatevi il solito racconto agiografico: questo è un viaggio nella mente, nel corpo e nella voce di un uomo che ha fatto della narrazione una forma di estasi.
San Francesco, in questa rilettura potente e delicata, diventa il più grande artista performativo della storia, un visionario che ha saputo “raccontare Dio” con la carne, con il canto, con la poesia, con la malattia. E sì, anche con il silenzio.
“Fra” Lo spettacolo che rappresenta la vita di San Francesco
Con “FRA’”, Giovanni Scifoni compie un atto d’amore verso la parola, il teatro e la spiritualità. San Francesco, rivisitato come performer mistico e poeta pop, torna a incantare il pubblico moderno grazie a un attore che sa mescolare sacro e profano, risata e dolore, carne e spirito.Forse, il primo influencer della storia non era un re o un guerriero, ma un uomo scalzo, con gli occhi pieni di sole e le mani piene di piaghe.
Giovanni Scifoni: attore, credente, cantastorie
Già amato dal pubblico televisivo per i suoi ruoli in serie come Doc e Don Matteo, Giovanni Scifoni è anche autore raffinato, narratore ironico e uomo di teatro colto. Con “FRA’” , scritto e interpretato da lui stesso, Scifoni mette in scena un San Francesco mai visto prima, tra laudi medievali, strumenti antichi e un’interpretazione che mescola racconto, canto e confessione.
Ad accompagnarlo sul palco, Luciano Di Giandomenico, Maurizio Picchiò e Stefano Carloncelli, maestri di musica antica che con liuti, salteri e percussioni restituiscono l’atmosfera mistica, corporea e quasi allucinata del XIII secolo.
San Francesco: poeta, attore, performer
Scifoni parte da una domanda semplice: perché San Francesco ci affascina così tanto, ancora oggi? La risposta che dà non è convenzionale: “Perché era un artista. Forse il più grande artista della storia.” E lo dimostra. Francesco sapeva usare la parola come una spada e come una carezza.
Le sue prediche erano visioni teatrali , improvvisazioni folgoranti, performance totali in cui il santo si spogliava, letteralmente, davanti a Dio e agli uomini. Francesco ballava, cantava, citava versi francesi, parlava agli uccelli, gridava ai porci, piangeva con i lebbrosi.
Era il corpo vivente della sua fede. Non solo parlava di Dio: diventava Dio, nella carne martoriata, nel volto scavato, nella voce spezzata che risuonava nelle piazze umbre come una nenia, una protesta e una benedizione insieme.
Una regia tra parola e corpo
La regia di Francesco Ferdinando Brandi costruisce un tempo dilatato, quasi mistico. Il monologo si snoda tra passaggi narrativi, momenti di preghiera e improvvise esplosioni di comicità fisica , come se Francesco fosse insieme un clown e un profeta, un pazzo e un poeta.
Centrale è il Cantico delle creature, il primo testo lirico in volgare italiano, che viene restituito come grido estatico, scritto da Francesco in fin di vita, cieco, devastato, ma ancora capace di vedere la luce del sole da dentro la sua cella buia.
La morte come sorella
Il gran finale è affidato a uno dei momenti più toccanti: il rapporto tra Francesco e “Sora nostra morte corporale” , quella morte che tutti temiamo ma che lui accoglie con amore e fraternità. Scifoni non lo racconta con toni pietisti, ma con una sorta di commozione vibrante e viva, mostrando come Francesco sia riuscito a redimere anche l’ultimo tabù: la fine della vita.
“FRA’”: un monologo che è viaggio, rito, esperienza
“FRA’” è molto più di uno spettacolo teatrale. È un viaggio esperienziale nella spiritualità e nell’arte , una confessione laica e teatrale che mette in comunicazione il nostro tempo iperconnesso con l’energia rivoluzionaria di un uomo che nel Medioevo già parlava di ecologia, amore universale e disarmo.
Scifoni non interpreta Francesco: lo ospita, gli lascia spazio. E nel farlo, invita ognuno di noi a fare lo stesso. A prendere un frammento di quella follia sacra e farla nostra, per ricordarci che la parola può ancora cambiare il mondo.
Curiosità su S. Francesco e lo spettacolo
scritto nel 1224, è considerato il primo testo poetico in volgare italiano. La sua musicalità lo avvicina alla forma-canzone e ha ispirato intere generazioni di poeti. Francesco era figlio di un ricco mercante di stoffe e si chiamava originariamente Giovanni.
Il nome “Francesco” fu un soprannome affettuoso che gli diede suo padre per via del suo amore per la cultura francese. Giovanni Scifoni ha dichiarato che il problema principale nello scrivere questo spettacolo è stato “che Francesco era un attore molto più bravo di me ”. Gli strumenti usati in scena sono riproduzioni filologiche di quelli medievali, tra cui viella, liuto, tamburo a frizione e flauti a becco. L’effetto sonoro è immersivo, quasi trance.