“Die my love”  Il film di cui tutti parlano

7 Dicembre 2025

Die My Love, il film di Jennifer Lawrence e Robert Pattinson diretto da Lynne Ramsay, scuote il Natale 2025: una discesa nella maternità, nella follia e nell’amore, da vedere assolutamente.

"Die My Love"  Il film di cui tutti parlano

Presentato in concorso al Festival di Cannes 2025, Die My Love è arrivato nelle sale italiane il 27 novembre 2025 ed è pronto a diventare, probabilmente, uno degli appuntamenti cinematografici più discussi di fine anno.

Il film è l’adattamento del romanzo Matate, amor di Ariana Harwicz, e porta sul grande schermo un ritratto viscerale e destabilizzante della maternità, del desiderio, della solitudine e della follia.

A firmarlo è Lynne Ramsay, già nota per il suo cinema intenso, ipnotico, capace di trasformare dolore, fragilità e ossessione in immagini potentissime.

“Die My Love” è già il film di cui parlano tutti

“Die My Love” non è per tutti. Non offre appigli consolatori, né risparmia lo spettatore. Non offre un lieto fine, ma lascia una cicatrice.

Ma è proprio in questa brutalità, in questa verità senza filtri, che risiede la sua forza. In un panorama di cinema spesso prevedibile, rassicurante, iper-prodotto, la regista Lynne Ramsay sceglie di scommettere tutto sull’intensità, sul corpo, sulla psiche, e chiede allo spettatore di riflettere, di sentire, di resistere.

Jennifer Lawrence e Robert Pattinson non sono star incasellate nei loro personaggi famosi: sono corpi che urlano, piangono, lottano.

E alla fine, la domanda che resta è semplice  e terribile: cosa resta di te quando la maternità, l’amore e l’isolamento ti inghiottono?

Trama: l’amore, la maternità… la discesa

Grace (Jennifer Lawrence) e Jackson (Robert Pattinson) lasciano New York e si trasferiscono in una vecchia casa di campagna in Montana, ereditata dallo zio di lui. I due si immaginano liberi di costruire la loro vita: lui sogna di suonare nella band, lei di scrivere il “grande romanzo americano”.

Un figlio in arrivo, la nascita del bambino e l’allargarsi di una quotidianità fatta di silenzi, assenze lavorative di Jackson, incombenze domestiche e isolamento trasformano la promessa di serenità in un terreno minato. Grace, che sperava di ritrovarsi attraverso la scrittura, si trova invece sola, fragile, prigioniera di una casa che diventa prigione. La linea tra realtà e delirio comincia a sgretolarsi.

La maternità si trasforma in una discesa: depressione post-partum, angoscia, sensazioni di estraneità verso il proprio corpo e verso il neonato. Grace si sente imprigionata in un sogno infranto, la casa si fa claustrofobica, la quiete rurale assume i contorni di un incubo.

Ramsay evita ogni serie di consolazioni: non restituisce la donna che si “salva”, ma restituisce la verità della discesa, la crisi di identità, il dolore, la trasformazione di una donna in bilico tra amore, disperazione e follia.

Regia, interpretazioni e atmosfere: il cinema che urla sotto la pelle

Il film non si appoggia a melodrammi consolatori. Lynne Ramsay, con la sua cifra visiva forte e disturbata, costruisce un’opera sensoriale, ruvida, dove il corpo, il dolore e le emozioni si mescolano in un vortice visivo.

La fotografia, la colonna sonora, la regia e la recitazione convergono per dare forma a uno stato mentale, non solo raccontare la storia di Grace, ma farla vivere, percepire al cinema.

Jennifer Lawrence realizza forse la prova più intensa e viscerale della sua carriera: riesce a incarnare con coraggio la fragilità, la paura, la confusione, la violenza mentale, senza mai cadere nella carica grottesca o nella gestualità “facile”. Grace è complessa, incoerente, fragile e tremendamente umana.

Robert Pattinson, al fianco di Lawrence, è un partner che non trova le parole, che assiste, ma che appare impotente di fronte alla tragedia personale di sua moglie e questo fa parte del dramma.

Perfino i personaggi secondari, come la madre di Jackson, interpretata da Sissy Spacek, servono a raccontare un contesto di solitudine, incomunicabilità, fragilità familiare.

Temi: maternità, identità, psiche, amore e cenere

Die My Love non è un film che dà risposte. È un film che pone domande, domande radicali su cosa significhi diventare madre, su quanto la maternità possa trasformare l’identità, su quanto isolamento e aspettative sociali possano sconvolgere la mente.

La maternità non è idealizzata: è mostrata nella sua verità più oscura, più fragile, la fatica, la solitudine, la perdita di sé. Un tabù spesso ignorato, che qui diventa racconto viscerale.

La casa rurale, il silenzio, lo spazio vuoto, l’isolamento: diventano simboli di un corpo che implode, di una mente che affonda. Il film si trasforma in un viaggio della psiche, in una discesa in una realtà dove la ragione vacilla.

E l’amore, inizialmente romantico, idealista, si degrada. Non è più salvezza, ma colpa, repressione, disperazione: l’amore diventa un “campo di battaglia”, dove ogni attimo è sbagliato, ogni carezza diventa dolore.

Controversie, reazioni, impatto: un film divisivo ma necessario

“Die My Love” non è un film facile. Alcuni critici lo definiscono “sopra le righe”, “difficile da digerire”, “visivamente e narrativamente spiazzante”.

Può dare fastidio, provocare disagio, generare sensazioni di vuoto o smarrimento. Ma forse è proprio questo il suo scopo: scuotere, non compiacere.

Per molti, Jennifer Lawrence dà vita a un ruolo “da Oscar”: una prova intensa, coraggiosa, in cui abbandona ogni sicurezza estetica per mostrarsi nuda, fragile, distrutta.

Per altri, però, il film pecca di struttura narrativa: il caos emotivo rischia di diventare vaghezza, le ellissi rischiano di danneggiare l’empatia, la follia diventa a volte spettacolo.

Eppure, come scrive un critico, Die My Love “non è un film: è un battito”. Un battito irregolare, febbrile, a volte doloroso.

 

 

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