“Todo modo”, un film che ha scosso le coscienze

19 Dicembre 2025

Uomini influenti e delitti su un eremo: Petri mette in scena il libro di Sciascia. "Todo modo", recitato da Marcello Mastroianni.

"Todo modo", un film che ha scosso la coscienze

Un ritiro spirituale in un luogo isolato, uomini importanti che parlano sottovoce, un’epidemia fuori che taglia i contatti col mondo. Poi, una morte e un’altra ancora “Todo modo” di Elio Petri parte come un’idea da romanzo nero e si trasforma in una visione che fa salire i battiti all’osservatore, schiacciandolo contro lo schienale della poltrona.

Un film che è tensione pura

Ma “Todo modo” non è un semplice thriller: nato dalla penna di Leonardo Sciascia, usa la suspense per far emergere comportamenti umani e il ritmo come un metronomo sperimentale; dove stringe, dove fa male, incrina i suoi personaggi in un labirinto dove loro stessi sono relegati: l’“eremo” di Zafer, un luogo chiuso che sembra nato per cancellare il mondo, un albergo-convento.

Un ritiro e la paura di perdere il centro

La storia comincia da un’idea che sembra un dettaglio e invece è una dichiarazione di poetica: fuori c’è un’epidemia, e un gruppo di notabili si rifugia all’“eremo” di Zafer per esercizi spirituali; una sorta di Decameron. Lì dentro la religione non è solo fede, ma un linguaggio, una grammatica, una liturgia che promette assoluzione — e intanto organizza i rapporti di forza.

In questo spazio, Petri costruisce un teatro domestico del comando: corridoi, stanze, confessionali, sale comuni.

Tutto è ravvicinato, tutto è sorvegliato, ma di colpo cominciano i delitti: uno dopo l’altro, come se qualcuno stesse giocando a jenga e togliendo i tasselli più in basso. Il dubbio comincia a dilagare e la domanda non è “chi è stato” (anche se la tensione del giallo c’è): il punto è che cosa succede a una classe dirigente quando il copione collettivo si strappa.

Volonté e Mastroianni: due modi di guidare la stanza

Se il film funziona come un esperimento, è perché Petri mette al centro due presenze che fanno da calamita, due attori con la A maiuscola.

Gian Maria Volonté interpreta M., “il Presidente”: un uomo che incarna il potere come postura. Non alza la voce, raramente accelera; sembra sempre un mezzo passo prima degli altri, come chi conosce la temperatura della stanza e sa quando spostare l’aria.

Marcello Mastroianni è don Gaetano, il sacerdote che governa l’eremo: non è un confessore nel senso rassicurante del termine. È un regista del clima morale, qualcuno che sa far sentire gli altri colpevoli senza quasi nominarne la colpa. Non ti spinge: ti orienta. È il tipo di autorità che non ti obbliga, ma ti fa capire che l’obbligo esiste già.

Attorno a loro si muove un coro perfetto per questa atmosfera: Mariangela Melato, Michel Piccoli, Ciccio Ingrassia e altri volti che sembrano portare addosso il peso dei ruoli prima ancora delle battute.

Il vero “orrore” non è il sangue, ma è l’ordine

Il film viene spesso avvicinato al grottesco, e il paragone ha senso: Petri non cerca realismo puro, bensì una lente che deformi quanto basta per rendere leggibile le sue metafore e il libro di Sciascia.

Ma qui il grottesco non serve a far ridere: serve a far notare i tic, le frasi automatiche, le riverenze, la piccola economia dei favori. È una commedia nera senza compiacimento: non fa la morale, semmai mette in scena la morale come strumento.

E infatti la cosa più inquietante non sono gli omicidi: è la reazione degli altri.

Come cambiano i silenzi. Come si ridisegnano le alleanze. Come, anche in un luogo che si dichiara “ritiro”, torna subito la vecchia regia invisibile: chi parla, chi tace, chi viene ascoltato, chi viene ignorato.

L’utilità di “Todo modo”

Nel senso più concreto possibile, “Todo modo” diventa utile a chi si occupa di cultura: perché non è un film “da slogan”, è un film da attrito. Ti costringe a notare quanta energia spendiamo, ogni giorno, per far funzionare una versione presentabile di noi stessi — e quanta ne spendono i sistemi di potere per restare presentabili mentre decidono.

Morricone

La colonna sonora di Ennio Morricone non accompagna: incide. È uno di quei casi in cui la musica non è “bella” nel senso decorativo; è precisa, tagliente, quasi una pressione costante. Ti ricorda che in quel luogo niente è neutro: neppure un’intonazione.

Un film che ha avuto bisogno di essere visto di nuovo

C’è anche un dato materiale che racconta la vita di questo titolo: “Todo modo” è stato restaurato nel 2014 dalla Fondazione Cineteca di Bologna e dal Museo Nazionale del Cinema di Torino, in collaborazione con gli aventi diritto e il laboratorio L’Immagine Ritrovata. Questo significa una cosa molto semplice: il film è tornato a mostrarsi com’era, non come lo ricordavamo.

E qui si capisce una verità che spesso dimentichiamo: un’opera “scomoda” non vive solo di ciò che dice, ma anche di come può circolare, riapparire, essere rimessa in circolo quando il tempo è pronto a sostenerla senza ridurla a rumoroso feticcio.

Leonardo Sciascia e l’eremo come trappola narrativa

Prima del film c’è il romanzo. “Todo modo” di Leonardo Sciascia viene pubblicato nel 1974: formalmente è un giallo, ma la sua ambizione non è l’enigma come gioco, è l’enigma come radiografia. Il protagonista è un pittore (senza nome) che cerca pace e finisce all’Eremo di Zafer, un luogo “imprecisato” trasformato in albergo per ritiri spirituali frequentati da ministri, dirigenti, uomini di potere.

Nel libro l’eremo funziona come una camera di compressione: porta insieme persone abituate a controllare il mondo esterno e le costringe in uno spazio chiuso, dove la spiritualità rischia di diventare una tecnica di gestione. Don Gaetano, anche qui, è la figura che tiene in mano i fili: non è semplicemente un personaggio, è un metodo.

Petri “traduce” questa trappola narrativa con un’operazione che non è scolastica: prende la struttura, la piega, la rende più carnale, più visiva, più teatrale. Sciascia lavora per sottrazione e precisione; Petri lavora per pressione e spazio. Ma l’idea di fondo resta: quando il potere si mette in ritiro, spesso non si purifica — si riorganizza.

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