“Bright Star”: la poesia di Keats sullo schermo. Il Biopic del celebre poeta

30 Ottobre 2025

Scopri il biopic dedicato a Keats e alla sua poesia, esplorando il significato e l'impatto di "Bright star".

Bright Star: la poesia di Keats sullo schermo. Il Biopic del celebre poeta. 

Nel panorama del cinema biografico, “Bright Star” di Jane Campion occupa un posto particolare, sospeso tra lirismo visivo e disincanto esistenziale, tra la fedeltà storica e l’invenzione poetica.

Uscito nel 2009 e dedicato agli ultimi tre anni di vita del poeta John Keats, il film è molto più di un semplice biopic: è un’elegia per immagini, una riflessione struggente sull’amore, sulla creazione artistica e sul corpo come confine tra passione e morte.

“Bright star” e il corpo dell’amore. Il capolavoro romantico di Jane Campion tra eternità e dissoluzione

“Bright Star” è uno dei più bei film poetici mai realizzati sul rapporto tra arte e amore. In bilico tra il tempo della realtà e quello dell’eterno, tra la carta e la carne, il film ci invita a guardare la poesia come un gesto umano, fragile, che nasce dall’attrito con l’altro e si compie nel desiderio di essere ricordati.

Jane Campion, con la sua regia gentile e profonda, ci ricorda che le grandi storie non sono solo quelle scritte nei libri, ma anche quelle vissute tra le mura di una casa, nei sospiri di una lettera, nei gesti silenziosi di chi resta.

Per chi ama la letteratura romantica, per chi ha letto John Keats o non lo ha mai sfiorato, “Bright Star” è un’opera da vedere, rivedere, e sentire. Perché “una cosa bella è una gioia per sempre” e questo film lo è.

il film

Ambientato nel 1818, “Bright Star” racconta la storia d’amore tra il ventitreenne Keats e Fanny Brawne, la giovane vicina di casa dalla vivace intelligenza e dallo spirito anticonvenzionale. È lei a prendere l’iniziativa, affascinata dai versi del poeta; è lei a crederci fino alla fine, anche quando le condizioni economiche e fisiche di Keats sembrano condannare il loro legame a un’agonia precoce.

Ma il film non è, semplicemente, il racconto del poeta che muore giovane: è la storia di una donna che scopre l’amore e la poesia nello stesso istante, e che ne conserva la memoria dentro sé, dopo che tutto è finito.

Il punto di vista di Fanny: un racconto femminile dell’amore romantico

La regista sceglie di raccontare la vicenda dal punto di vista di Fanny, ribaltando la tradizionale narrazione biografica incentrata sul “grande uomo” e restituendoci invece la trasformazione di una giovane donna che si innamora, soffre, cresce e si scopre musa, lettrice, custode.

Il titolo stesso, “Bright Star”, è preso da una delle poesie più celebri scritte da Keats per Fanny, e tutto nel film è attraversato dalla tensione tra corpo e parola, tra ciò che svanisce e ciò che resta. Fanny, interpretata con vibrante delicatezza da Abbie Cornish, è una figura moderna, in anticipo sul suo tempo: cuce abiti, studia moda, si interroga sull’amore e non teme di sfidare le convenzioni.

Il suo sguardo su Keats è pieno di desiderio, ma anche di profondissima stima intellettuale. Ed è proprio questa fusione tra carne e spirito che fa della loro storia qualcosa di irripetibile. L’amore, ci suggerisce Campion, è un atto creativo, una forma di ispirazione reciproca che nutre la poesia e ne è al tempo stesso figlia.

Un triangolo amoroso tra parole, gelosie e destino

Nel tessuto narrativo si inserisce anche la figura di Charles Brown, amico, protettore e quasi “guardiano” del poeta, interpretato da Paul Schneider. È lui a fare da contro-canto alla presenza di Fanny: geloso, razionale, possessivo, vede in lei una minaccia alla concentrazione e al lavoro creativo di Keats.

Ne nasce un triangolo drammatico che parla della paura maschile nei confronti dell’influenza femminile sulla genialità, ma anche di come l’amore possa rompere schemi consolidati, trascinare fuori dal rifugio accademico e gettare il poeta nel mondo. Campion, già regista de “Lezioni di piano”, torna qui a riflettere sulla relazione tra donna e arte, ma lo fa con una grazia eterea: tutto si svolge in spazi domestici, tra tende leggere, stanze silenziose, passeggiate nei boschi, letture ad alta voce e abiti cuciti con cura.

Eppure, dietro la calma dell’apparenza, cova il dramma fisico e psicologico della malattia che consuma Keats e lo allontana da Fanny, fino all’estremo viaggio in Italia, a Roma, dove morirà a 25 anni.

Una regia da “cosa bella”: estetica, paesaggio e poesia

“Bright Star” è, visivamente, una delle opere più raffinate di Jane Campion. La fotografia di Greig Fraser gioca con la luce naturale, con i toni pastello dei paesaggi inglesi e con la dolcezza degli interni borghesi. L’occhio della regista non cerca mai il melodramma, ma costruisce la narrazione come un lento avvicinamento al dolore, punteggiato da silenzi, dettagli, sguardi.

La poesia di Keats risuona fuori campo o viene letta ad alta voce, diventando parte integrante della colonna sonora emotiva del film. Ma Campion non si lascia sedurre fino in fondo dalla tentazione estetizzante: quando la materia si fa bruciante, la malattia, la morte, il distacco, abbandona ogni orpello e si affida al corpo degli attori, all’intensità dell’interpretazione, alla verità del lutto.

La musa e il poeta: l’estensione del romanticismo alla vita In un passaggio cruciale, Bright Star suggerisce che è stato l’incontro con Fanny a rendere immortale la poesia di Keats. In lei, il poeta trova non solo l’ispirazione ma anche la possibilità di incarnare nella vita quella tensione al sublime che cercava nei versi.

In altre parole, la Campion ci dice che l’amore, se autentico, se vissuto con consapevolezza, può farsi letteratura, può diventare la stella brillante che guida anche dopo la morte. In questo senso, “Bright Star” non è solo un film su Keats: è un’ode alla vulnerabilità, alla creazione, alla memoria femminile che tramanda ciò che l’uomo non ha fatto in tempo a scrivere.

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