“All Her Fault”: quando un incontro tra bambini diventa un incubo

25 Novembre 2025

All Her Fault, il nuovo thriller Sky con Sarah Snook e Dakota Fanning: un playdate che diventa incubo, segreti di quartiere e colpe scaricate sulle madri.

“All Her Fault”: quando un incontro tra bambini diventa un incubo

La nuova serie “All Her Fault” (Sky Exclusive), disponibile dal 23 novembre su Sky e in streaming su NOW, è un thriller psicologico composto da otto episodi e tratto dal romanzo bestseller di Andrea Mara.

Ambientata in una Chicago elegante e inquieta, ma girata per lo più a Melbourne, la serie è un concentrato di segreti di quartiere, bugie familiari e sospetti che si spostano di casa in casa, mentre la scomparsa del piccolo Milo diventa il detonatore di una comunità apparentemente perfetta.

Al centro c’è la vincitrice di Emmy e Golden Globe Sarah Snook (Succession), qui anche produttrice esecutiva, affiancata da Dakota Fanning, Jake Lacy, Jay Ellis e Michael Peña.

Dal bestseller di Andrea Mara al thriller Sky Exclusive

Un incubo nato da un errore di indirizzo

Il punto di partenza della storia è semplice e agghiacciante: Marissa Irvine, consulente finanziaria di successo, va a prendere il figlio di cinque anni, Milo, dopo il suo primo pomeriggio di gioco tra amichetti con un compagno di scuola. Arriva all’indirizzo che le è stato mandato via messaggio, suona, apre una donna che non ha mai visto. Nessun bambino in casa, nessuna tata, nessun “Jacob” con cui Milo avrebbe dovuto giocare. Il numero che ha organizzato l’appuntamento risulta disattivato.

Da qui comincia una caccia al tempo che coinvolge la polizia, i genitori della scuola, i vicini di casa, i colleghi di Marissa e di suo marito Peter. Ognuno ha qualcosa da nascondere, e il mistero sulla sorte di Milo si intreccia a conti in sospeso, vecchie colpe e privilegi mai davvero messi in discussione.

Una paura molto reale

Il romanzo di Andrea Mara, uscito nel 2021, nasce da una piccola esperienza autobiografica: un giorno, racconta l’autrice, andò a prendere la figlia a un “playdate” — termine che viene utilizzato nei paesi anglofoni per parlare dei pomeriggi di gioco tra bambini — e si ritrovò davanti a una casa vuota, per un banale errore di indirizzo. Nel suo caso bastarono pochi minuti per chiarire l’equivoco; nella finzione, invece, quel brivido si trasforma nel punto di partenza di un incubo di otto episodi.

Lo showrunner Megan Gallagher adatta il romanzo e sposta l’azione dalla Dublino del libro alla Chicago della serie, mantenendo però il cuore del racconto: il terrore molto concreto che qualcosa vada storto in un gesto quotidiano, in quell’equilibrio precario tra fiducia e controllo che ogni genitore conosce.

Il cast come campo di battaglia emotivo

La metamorfosi di Sarah Snook dopo “Succession”

La curiosità principale, per chi arriva da “Succession”, è vedere Sarah Snook scrollarsi di dosso il cinismo di Shiv Roy. In “All Her Fault” interpreta Marissa, una donna che costruisce da sé la propria carriera nel mondo della finanza, ma che, quando Milo scompare, viene subito guardata come madre “imperfetta”: troppo impegnata, troppo ricca, troppo distratta. La serie vive in buona parte sul suo volto, capace di passare dal controllo glaciale al panico puro, e la critica internazionale ha sottolineato proprio la sua performance come uno dei punti di forza del progetto.

Dakota Fanning, l’altra madre

Accanto a lei c’è Dakota Fanning, che interpreta Jenny Kaminski, la madre del compagno di classe di Milo. È da un messaggio apparentemente inviato da lei che parte il playdate “trappola”. Jenny diventa l’altra faccia della maternità: più “normale”, meno vistosa, ma altrettanto intrappolata in un sistema di aspettative impossibili. I momenti in cui le due sono in scena insieme sono quelli in cui la serie si allontana dal puro giallo e diventa studio di personaggi femminili sotto pressione.

Mariti, amici, detective: i comprimari non sono comparse

Il marito di Marissa, Peter Irvine, è interpretato da Jake Lacy: commodities trader di successo, fratello maggiore di una costellazione di familiari problematici, è l’uomo che tiene a galla (economicamente) tutti ma che, man mano che la storia procede, appare sempre più ambiguo.

C’è poi Jay Ellis nei panni di Colin Dobbs, migliore amico e socio di Marissa, che incarna quel supporto maschile progressista solo in apparenza; Abby Elliott come Lia, sorella di Peter alle prese con una faticosa sobrietà dopo la dipendenza; Daniel Monks come Brian, fratello minore disabile, brillante ma fragile.

Sul fronte investigativo, Michael Peña è il detective Alcaras, figura che evita volutamente l’eroismo hollywoodiano: è un poliziotto stanco, pragmatico, che si muove in quella zona grigia dove la giustizia legale non sempre coincide con quella morale.

L’elenco si allarga con Sophia Lillis nei panni della misteriosa Carrie Finch, baby-sitter che entrerà al centro del caso, e una serie di comprimari – vicini di casa, altri genitori, piccoli ruoli ricorrenti – che rendono credibile l’universo privilegiato ma fragile in cui la scomparsa di Milo esplode come una bomba.

Thriller psicologico, ma anche critica sociale

Il peso della colpa sulle madri

Il titolo “All Her Fault” (in italiano “È tutta colpa sua”) non è solo un gancio accattivante: è il concetto che tiene insieme l’intera miniserie. Molte recensioni anglofone hanno sottolineato come lo show usi il thriller per mettere a nudo la facilità con cui la società scarica la colpa sulle madri, soprattutto se lavoratrici e economicamente privilegiate.

Ogni scelta di Marissa viene giudicata: perché non era lei a portare Milo a scuola, perché ha delegato a una nanny, perché non conosce di persona tutti i genitori della classe. La conferenza stampa che dovrebbe aiutare a ritrovare il bambino si trasforma in un processo pubblico sulla sua vita, sui suoi affari, sulla sua “ambizione”.

Il thriller funziona proprio perché dialoga con un discorso molto contemporaneo: quello della “madre perfetta” come figura mitologica, che deve essere insieme presente, serena, performante sul lavoro, sempre grata del proprio privilegio e, soprattutto, incapace di sbagliare.

Privilegio, quartieri bene e ipocrisia di comunità

La scomparsa di un bambino ricco, figlio di genitori benestanti, in un quartiere elegante, apre un’altra crepa: quella del privilegio. I media e la polizia reagiscono con un’attenzione spasmodica, mentre altri casi simili – suggerisce la serie – restano ai margini. Alcune puntate insistono proprio su questo doppio standard: è più semplice identificarsi nella famiglia “da copertina” e trasformare il loro dramma in evento mediatico.

Allo stesso tempo, la serie si diverte a smontare la facciata della community perfetta: dietro le feste di compleanno e le chat di classe si nascondono debiti, tradimenti, rancori di vicinato, razzismo strisciante, discriminazioni verso chi esce dai codici del quartiere. L’indagine su Milo diventa un pretesto per far emergere tutto ciò che normalmente resterebbe sotto il tappeto.

Struttura e atmosfera: un incastro di bugie in otto episodi

Ritmo da page-turner, ma con spazio per i personaggi

Con otto episodi da circa 50 minuti, “All Her Fault” sceglie un formato relativamente contenuto, che le permette di mantenere un ritmo serrato senza rinunciare ai dettagli. Ogni puntata chiude con un mini-cliffhanger – un dettaglio rivelato, un alibi che non regge, un sospetto che cambia direzione – costruito per spingere al binge-watching.

Ma la serie non è solo meccanismo: soprattutto nella parte centrale, dedica tempo a storie parallele – il passato di Jenny, i problemi di Lia, il rapporto fra Marissa e il socio Colin – che non sono semplici digressioni, bensì pezzi fondamentali del puzzle. Ogni deviazione serve a porre una domanda diversa: quanto sappiamo davvero delle persone con cui condividiamo casa, lavoro, scuola dei figli?

Chicago, o meglio Melbourne: un non-luogo del benessere

L’ambientazione è la Chicago delle villette curate e dei grattacieli del centro, ma gran parte delle riprese si è svolta in Australia, fra studi a Docklands e location nei dintorni di Melbourne, con qualche inserto di immagini reali della città americana.

Questo crea un effetto interessante: la città è riconoscibile ma anche leggermente astratta, quasi un “non-luogo” del benessere occidentale. Potrebbe essere qualsiasi quartiere alto borghese in cui i problemi si risolvono con avvocati, PR e comunicati stampa, finché un evento improvviso ricorda a tutti che il controllo totale è un’illusione.

Un thriller “pop” più che prestigioso

Critica e pubblico, al debutto americano su Peacock, hanno accolto la serie con recensioni complessivamente positive, lodando in particolare la prova di Sarah Snook e di Dakota Fanning, pur notando qualche eccesso melodrammatico, colpi di scena a volte tirati per i capelli e una colonna sonora un po’ invadente.

È il tipo di prodotto che non finge di essere “prestige TV” alla “True Detective”: gioca apertamente nella lega del thriller pop ben confezionato, pensato per tenere lo spettatore sul divano con il telecomando in mano e un costante “ne guardo ancora una”. E, guardandolo così, funziona.

Maternità, colpa, scelta: cosa resta dopo i colpi di scena

Senza entrare nei dettagli del finale – che nelle recensioni internazionali viene descritto come “devastante” e pieno di twist morali – si può dire che “All Her Fault” spinga fino in fondo le domande che pone fin dall’inizio: Quanto siamo disposti a fare per proteggere chi amiamo? Quanto la giustizia legale coincide davvero con quella etica? E perché, quando qualcosa va storto, il dito si punta quasi sempre sulla madre?

Numerosi commenti critici hanno sottolineato come la miniserie usi il genere per ragionare su guilt-shaming (far provare vergogna attraverso il senso di colpa) e responsabilità femminile, mostrando una protagonista che, per tutto il tempo, cammina su una linea sottilissima fra vittima e complice, privilegiata e giudicata, brillante e imperdonabile.

Perché vale la pena darle una chance (anche se non siete genitori)

Per chi ama i thriller psicologici con una forte componente emotiva, “All Her Fault” ha tutto: mistero, ritmo, cast di alto livello, ambientazione elegante e una scrittura che, pur con qualche ridondanza, sa tenere insieme suspense e riflessione sociale.

Per chi, invece, è più interessato alle storie di donne sotto pressione, la serie offre un doppio ritratto – Marissa e Jenny – che mette in discussione molti luoghi comuni sulla maternità: la competitività tra madri, l’idea che basti “organizzarsi meglio”, il giudizio costante sul corpo e sulle scelte di chi lavora e cresce figli nello stesso tempo.

E, non ultimo, per chi ha amato “Succession”, questo è il modo perfetto per vedere Sarah Snook in un registro completamente diverso, più vulnerabile e terreno, ma non meno complesso.

“All Her Fault” è uno di quei titoli che non cambieranno la storia della serialità, ma che parlano con intelligenza di paure molto reali. E che, una volta suonata quella porta sbagliata, fanno venire voglia di controllare due volte ogni indirizzo sullo smartphone.

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