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Al PAC va in scena il Delitto (quasi) perfetto

Ha inaugurato venerdì la mostra ''Il delitto quasi perfetto'', a cura di Cristina Ricupero, seconda tappa dopo il Witte de With Center for Contemporary Art di Rotterdam, arricchita di nuove opere di artisti italiani...

40 artisti, tra italiani e internazionali, in mostra al PAC dall’11 luglio per tutta l’estate fino ai primi di settembre, sulla scena di un crimine quasi perfetto. E’ infatti questo il tema della collettiva, una mostra che rompe gli schemi e crea un legame tra arte ed estetica del crimine

MILANO – Ha inaugurato venerdì a Milano la mostra ”Il delitto quasi perfetto”, a cura di Cristina Ricupero, seconda tappa dopo il Witte de With Center for Contemporary Art di Rotterdam, arricchita di nuove opere di artisti italiani. La collettiva apre la stagione estiva del PAC indagando il legame sottile che esiste tra il crimine come arte e l’arte del crimine.

LA MOSTRA – Come ogni giallo che si rispetti, la storia dell’arte è costellata da enigmi, miti e indovinelli in attesa di essere svelati; risolvere questi puzzles intellettuali è una tentazione culturale a cui pochi sanno resistere. Sono queste le premesse de “Il delitto quasi perfetto”. Il duplice tema crimine-arte venne affrontato per la prima volta nel 1827, nel saggio “On Murder Considered As One Of The Fine Arts” (trad. L’Assassinio considerato come una delle Belle Arti) di Thomas De Quincey, scrittore e giornalista inglese. Dalla Letteratura si passa direttamente alla Fotografia, mezzo che nel Novecento ha reso popolare il genere dei gialli, grazie al suo notevole contributo alla criminologia così come al sensazionalismo dei tabloid; giungendo infine al Cinema, che ha saputo catturare il fascino della violenza, trasformandolo in immagini piacevoli. Ma dietro il crimine c’è il Male e questo non va mai dimenticato. La mostra infatti prende in esame le relazioni tra Etica ed Estetica, declinandole attraverso il lavoro di 40 artisti, sia italiani che internazionali, che nel corso della loro carriera si sono cimentati in questo tipo di legame.

LEGAMI – Alcune delle opera in mostra riflettono l’ossessiva curiosità e l’attitudine all’interpretazione tipica del detective, altre la narcisistica identificazione con il colpevole, altre ancora il feticistico piacere dello spettatore. Alcuni progetti affrontano i temi dell’autenticità e della frode , considerati tipicamente “crimini dell’arte”; altri giocano con il ruolo dell’artista come soggetto sovversivo ai margini della società o mettono in discussione il ruolo della Legge e i concetti di ordine e trasgressione. Alcuni artisti hanno scelto di rappresentare il crimine come qualcosa di macabro e sublime, un’operazione simile a quella compiuta negli anni dal cinema, mentre altri hanno fatto riferimento a fatti realmente accaduti, crimini sociali o politici. Altri ancora hanno provato a mettere in relazione una selezione di queste principali tendenze.

GLI ARTISTI – L’artista Gabriel Lester ad esempio, in collaborazione con Jonas Lund ha firmato un intervento virale sul sito web del PAC (vedere per capire); l’artista austriaca Eva Grubinger isserà una bandiera e posizionerà una targa d’ottone sulla facciata esterna del Padiglione, trasformandolo nell’ambasciata di Eitopomar, un utopico regno governato dal malvagio signore del Male Dr. Mabuse. All’ingresso, un murales dipinto dall’artista francese Jean-Luc Blanc richiamerà la copertina di una rivista pulp firmata con il titolo della mostra. Maurizio Cattelan ha realizzato un bouquet di fazzoletti di stoffa per asciugare idealmente le lacrime versate per le vittime dell’attentato che il 27 luglio 1993 distrusse il PAC provocando la morte di quattro persone; un’installazione di grande formato dell’artista Luca Vitone ricorda, come un epitaffio, i 959 membri della loggia P2 in un ironico quanto amaro riferimento ad un capitolo confuso della storia della nostra democrazia; Mario Milizia ha riprodotto invece minuziosamente i dettagli delle immagini di cronaca giudiziaria riferite a ritrovamenti e vendite illegali di reperti archeologici. L’italiana Monica Bonvicini investiga le relazioni tra spazio, potere e genere, presentando una macchina della tortura e del desiderio, costituita da 6 imbragature di lattice nero sospese con catene ad un anello d’acciaio che ruota lentamente. Aslı Çavuşoğlu imita il genere del crimine televisivo (esemplificato nella serie Crime Scene Investigation) nel suo “Murder in Three Acts”, restituendo la mostra come scena del crimine e le opere come armi, mentre Fabian Marti lascia impronte delle sue mani nello spazio espositivo. E ancora, Gabriel Lester ha creato un loop cinematografico di scene del crimine, proiettando il tutto con un gioco di ombre sul muro circostante e sul visitatore. Il cinema ritorna anche negli inquietanti dipinti di Dan Attoe, Richard Hawkins e Dawn Mellor, e nei film di Brice Dellsperger e Aïda Ruilova. L’artista francese Lili Reynaud-Dewar ha elaborato invece un’installazione che fa riferimento alla vita e al lavoro di Jean Genet come scrittore, attivista e ladro, mentre l’artista spagnola Dora Garcia invita il pubblico a rubare un libro. L’americano Jim Shaw ironicamente ritrae uomini d’affari come zombie, attraverso una selezione di dipinti e un film, e infine Saâdane Afif trasforma il Centre Pompidou in una bara, che sembra voler mettere in discussione il ruolo vitale dei musei.

14 luglio 2014

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