I 12 film più belli di Marcello Mastroianni

27 Settembre 2025

Nel giorno del compleanno di Marcello Mastroianni, 12 film per riscoprire un attore unico: da "La dolce vita" a "Sostiene Pereira", un viaggio tra capolavori.

I 12 film più belli di Marcello Mastroianni

Il 28 settembre ricordiamo la nascita di Marcello Mastroianni (1924–1996), uno dei volti più noti del cinema italiano, che più di ogni altro ha saputo passare con naturalezza dal tragicomico al melodramma, dalla satira di costume alla riflessione politica, senza mai smarrire compostezza, ironia e misura.

Marcello Mastroianni, un gigante del cinema italiano

Con la sua filmografia si attraversa una mappa intera del cinema d’autore del Novecento — Fellini, De Sica, Antonioni, Visconti, Scola — e si entra in una dimensione d’indimenticabile popolarità internazionale che lo ha reso riconoscibile ovunque, senza essere mai imprigionato nello stereotipo dell’italiano da esportazione.

Mastroianni è stato — ed è ancora nell’immaginario collettivo — lo specchio più autentico e universale del nostro Paese. Leggero e mai superficiale, profondo senza scivolare nella pesantezza.

Nel suo percorso non ha mai interpretato un personaggio, ma li ha ospitati uno a uno, lasciandoli respirare attraverso di sé per poi tornare Marcello. Oggi vogliamo ricordarlo con 12 dei suoi film più belli.

“La dolce vita” (1960), Federico Fellini

Con “La dolce vita”, presentato nel 1960, Federico Fellini consacrò Marcello Mastroianni come icona mondiale del cinema. Nel ruolo del giornalista Marcello Rubini, l’attore incarnò il fascino e il disincanto di un’Italia che scopriva il boom economico e smarriva, allo stesso tempo, i suoi punti di riferimento.

Al suo fianco Anita Ekberg, nella scena della Fontana di Trevi divenuta leggenda.

La produzione fu complessa e costosa, ma il successo arrivò subito: Palma d’Oro a Cannes, Oscar e record d’incassi in Italia e all’estero.

Il titolo, ripreso da una commedia di Arnaldo Fraccaroli, divenne sinonimo di un’epoca, mentre il nome del fotografo Paparazzo entrò nel linguaggio comune.

Strutturato come un mosaico di episodi, il film racconta notti romane, mondanità, false apparizioni e feste decadenti, fino al finale con la giovane Paola, simbolo di un’innocenza irraggiungibile. Non solo un capolavoro cinematografico, ma il ritratto di una generazione inquieta, affidato allo sguardo malinconico e ironico di Mastroianni.

“8½” (1963), Federico Fellini

Con “8½” Federico Fellini firma uno dei capolavori assoluti della storia del cinema, uscito nel 1963 e premiato con due Oscar, tra cui quello al miglior film straniero.

Marcello Mastroianni interpreta Guido Anselmi, un regista in crisi creativa ed esistenziale che, in una stazione termale, tenta di dare forma al suo nuovo film mentre si perde tra ricordi, sogni, fantasie e realtà. Il personaggio è il vero alter ego del regista: attraverso di lui, Fellini racconta lo smarrimento dell’artista e dell’uomo, incapace di trovare senso alle proprie relazioni e alla propria opera.

Al suo fianco, un cast femminile straordinario: Claudia Cardinale, che per la prima volta recitò con la sua voce naturale voluta da Fellini, appare come l’ideale femminile, la donna angelicata che incarna il sogno e la purezza; Anouk Aimée è la moglie distante e dolorosa, Sandra Milo l’amante passionale e disinibita.

Il film è costruito come un labirinto onirico, in cui si alternano centinaia di figure, apparizioni e memorie, fino al celebre girotondo finale che diventa allegoria della vita stessa. È qui che Mastroianni dimostra tutta la sua maestria: senza eccessi, riesce a incarnare insieme il disincanto, l’ironia e l’inquietudine, facendo di Guido una figura universale.

Considerato da critici e registi di ogni generazione una fonte inesauribile di ispirazione, “8½” non è soltanto un autoritratto felliniano: è il film che ha reso Mastroianni il volto della modernità cinematografica, mentre Claudia Cardinale e le altre interpreti lo hanno reso un mosaico indimenticabile della femminilità nel cinema.

“Divorzio all’italiana” (1961), Pietro Germi

Diretto da Pietro Germi, “Divorzio all’italiana” è considerato uno dei vertici assoluti della commedia all’italiana. Presentato a Cannes, dove vinse come miglior commedia, conquistò tre nomination agli Oscar e si aggiudicò la statuetta per la miglior sceneggiatura originale. Accanto a Stefania Sandrelli, qui giovanissima, Marcello Mastroianni offre una delle sue interpretazioni più memorabili, tanto da meritare la candidatura all’Oscar come miglior attore.

La storia ruota attorno al barone Ferdinando Cefalù, detto Fefè, nobile decaduto siciliano intrappolato in un matrimonio con la petulante Rosalia (Daniela Rocca). Perduto l’amore per la moglie, Fefè si innamora della cugina adolescente Angela (Sandrelli), ma in un’Italia dove il divorzio non esiste ancora, escogita un piano grottesco: spingere la moglie tra le braccia di un amante per poi sorprenderla e ucciderla, invocando il delitto d’onore e così ottenere una pena lieve che gli permetta di risposarsi.

Mastroianni è magistrale nel dare vita a un personaggio meschino e ridicolo, ma allo stesso tempo irresistibile: il suo Fefè, con baffetti sottili e pose teatrali, incarna una Sicilia caricaturale e arcaica, specchio deformante di un’Italia che ancora giustificava l’omicidio in nome dell’onore. La sua ironia elegante impedisce al barone di scivolare nel puro mostro, trasformandolo piuttosto in un simbolo amaro della decadenza maschile e sociale.

“Divorzio all’italiana” è insieme commedia e denuncia: dietro le risate, Germi e Mastroianni rivelano l’assurdità di una legge e di una mentalità, consegnando al cinema una satira pungente e modernissima che ancora oggi resta attuale.

“Ieri, oggi, domani” (1963), Vittorio De Sica

Con “Ieri, oggi, domani” Vittorio De Sica porta sullo schermo tre racconti ambientati a Napoli, Milano e Roma, affidandoli alla coppia più celebre del cinema italiano: Sophia Loren e Marcello Mastroianni. Il film vinse l’Oscar come miglior film straniero nel 1965, consacrando definitivamente la loro intesa artistica, fatta di complicità, ironia e sensualità.

Nel primo episodio, “Adelina”, Loren è una venditrice abusiva di sigarette che evita il carcere grazie a continue gravidanze, mentre Mastroianni è il marito stremato: una commedia popolare e tenera, scritta da Eduardo De Filippo e ispirata a un fatto reale.

In “Anna”, ambientato a Milano, Loren veste i panni di una donna ricca e annoiata che intrattiene una relazione con un uomo modesto: qui Mastroianni diventa il compagno silenzioso di un gioco di apparenze e disincanto, in un episodio che porta la firma di Zavattini e Moravia.

Infine, in “Mara”, Loren è una squillo d’alto bordo di Piazza Navona e Mastroianni uno dei suoi clienti più fedeli: la leggerezza si mescola alla malinconia, fino al celebre spogliarello che rimane inciso nella memoria del cinema.

“Ieri, oggi, domani” è un film che intreccia satira sociale e commedia dei sentimenti, mettendo in scena tre volti dell’Italia del dopoguerra. Ma soprattutto è un tributo alla coppia Loren-Mastroianni, capace di reinventarsi a ogni episodio e di trasformare la loro alchimia in leggenda.

“Matrimonio all’italiana” (1964), Vittorio De Sica

Diretto da Vittorio De Sica, “Matrimonio all’italiana” riprende la celebre commedia di Eduardo De Filippo Filumena Marturano, già portata al cinema nel 1951. La dedica a Titina De Filippo, prima grande interprete del ruolo, sancisce il legame tra teatro e cinema che anima l’opera.

Marcello Mastroianni è Domenico Soriano, ricco pasticciere e incallito seduttore; Sophia Loren è Filumena, ex prostituta che lo accompagna per vent’anni nell’ombra, tra umiliazioni e illusioni di riscatto. Quando Domenico si appresta a sposare una giovane commessa, Filumena inscena una malattia mortale e ottiene un matrimonio “in articulo mortis”. Una volta guarita, rivela il vero motivo della sua messa in scena: garantire un nome e un futuro ai suoi tre figli, cresciuti in segreto.

Ne nasce un duello affettivo e morale: lui tenta di annullare le nozze, lei gli confessa che uno dei tre ragazzi è suo figlio, senza però dire quale. Questo mistero incrina l’egoismo di Domenico, costringendolo a fare i conti con sé stesso. Alla fine, l’uomo accetta Filumena e tutti i figli, riconoscendo in lei la donna che, nonostante tutto, gli è sempre rimasta accanto.

Il film, candidato a due Oscar (miglior film straniero e miglior attrice protagonista), è uno dei vertici della coppia Loren-Mastroianni: lei intensa e indomita, lui ironico e fragile dietro la maschera del cinico. De Sica orchestra con maestria un racconto che è insieme commedia, dramma e ritratto di un’Italia sospesa tra modernità e tradizione, trasformando la battaglia tra Filumena e Domenico in una storia universale sull’amore e sulla dignità.

“Una giornata particolare” (1977), Ettore Scola

Diretto da Ettore Scola, “Una giornata particolare” è uno dei film più intensi e drammatici della carriera di Marcello Mastroianni. Presentato in concorso al Festival di Cannes, vinse il Golden Globe come miglior film straniero e ottenne due candidature all’Oscar, tra cui quella per Mastroianni come miglior attore.

La storia è ambientata il 6 maggio 1938, giorno della visita di Hitler a Roma. Mentre la città è in festa per la parata fascista, in un palazzo popolare restano due solitudini: Antonietta (Sophia Loren), casalinga prigioniera di un marito autoritario e di una vita senza sbocchi, e Gabriele (Mastroianni), ex radiocronista licenziato e perseguitato per la sua omosessualità. Un incontro casuale diventa un dialogo intimo: tra un caffè, una passeggiata sul terrazzo e la condivisione delle rispettive ferite, nasce una complicità fragile e commovente.

Mastroianni regala un’interpretazione memorabile: il suo Gabriele è delicato, disincantato, ma capace di un’ironia che consola. Accanto a lui, Loren porta sullo schermo una donna intrappolata ma capace di riscoprire se stessa. Il loro incontro, breve e destinato a finire con l’arresto di Gabriele, diventa una parabola universale sulla dignità umana calpestata dai totalitarismi, ma anche sulla possibilità di trovare, in poche ore, un frammento di libertà.

Il film resta un caposaldo del cinema civile italiano: con semplicità e poesia denuncia l’oppressione del fascismo, i ruoli imposti alle donne e la persecuzione dell’omosessualità. Nella delicatezza dello sguardo di Mastroianni e nella malinconia della Loren si condensa l’essenza di due attori che hanno fatto la storia del cinema.

“Le notti bianche” (1957), Luchino Visconti

Nel 1957 Luchino Visconti porta sullo schermo il racconto di Dostoevskij “Le notti bianche”, trasportandolo da San Pietroburgo alla città di Livorno. Il film conserva l’essenza del testo originale — l’attesa, l’illusione, la fragilità dei sentimenti — e la arricchisce con l’estetica raffinata del regista.

Marcello Mastroianni è Mario, giovane impiegato solitario che, vagando per le strade notturne, incontra Natalia (Maria Schell), ragazza ingenua e innamorata di un uomo misterioso (Jean Marais) che le ha promesso di tornare. Tra Mario e Natalia nasce un legame fatto di confidenze e speranze, e Mastroianni dona al suo personaggio una dolcezza discreta, intrisa di malinconia e desiderio represso. Mario crede di poterla distogliere dall’attesa infinita, ma quando l’uomo ritorna, Natalia lo segue senza esitare, lasciandolo solo sotto una nevicata improvvisa.

L’interpretazione di Mastroianni è un piccolo gioiello: non ancora il divo internazionale della “Dolce vita”, ma già capace di dare corpo all’uomo comune, fragile e innamorato, che vive il sentimento come destino. Visconti, con un bianco e nero elegante e struggente, costruisce una cornice lirica in cui la solitudine diventa protagonista. Il finale, con Mario abbandonato e accompagnato soltanto da un cane randagio, è una delle immagini più toccanti del cinema europeo degli anni Cinquanta.

“I soliti ignoti” (1958), Mario Monicelli

Con “I soliti ignoti” Mario Monicelli firma uno dei film più amati e influenti del cinema italiano, considerato il vero atto di nascita della “commedia all’italiana”. Uscito nel 1958, ottenne una candidatura all’Oscar come miglior film straniero e due Nastri d’argento, ed è stato inserito tra i 100 film italiani da salvare.

La storia segue un gruppo di ladruncoli romani che, goffamente, tentano di mettere a segno un colpo al Monte di Pietà. Tra loro c’è Mario, interpretato da un giovane Marcello Mastroianni, un ragazzo prestante ma ingenuo che finirà più attratto dall’amore per Carmelina, la sorella di un compagno, che dal furto stesso. Il piano, elaborato con cura e studiato persino con l’aiuto di un ex scassinatore in pensione, si risolve in un disastro esilarante: i maldestri ladri si ritrovano infatti a sfondare il muro sbagliato e a cenare con un piatto di pasta e ceci, unico vero bottino della notte.

Mastroianni, ancora lontano dal mito internazionale, offre una prova fresca e spontanea, dimostrando già la sua capacità di umanizzare i personaggi, anche nei ruoli minori. Accanto a lui un cast corale straordinario — da Vittorio Gassman a Totò — che segna un passaggio epocale: la commedia smette di essere evasione e diventa specchio sociale, capace di raccontare con ironia la miseria, le illusioni e la solidarietà degli ultimi.

“I soliti ignoti” resta così un caposaldo del nostro cinema: un film che ride dei fallimenti, ma lo fa con una pietà tutta italiana, trasformando i piccoli delinquenti in eroi di una tragedia buffa e universale.

“La notte” (1961), Michelangelo Antonioni

Capitolo centrale della celebre “trilogia dell’incomunicabilità” di Michelangelo Antonioni, “La notte” vinse l’Orso d’oro al Festival di Berlino e segna uno dei vertici del cinema europeo degli anni Sessanta. Accanto a Jeanne Moreau e Monica Vitti, Marcello Mastroianni interpreta Giovanni, scrittore di successo incapace di trovare senso nella sua vita privata e professionale.

Il film segue una giornata e una notte della coppia Giovanni e Lidia, in crisi profonda: dalla visita a un amico morente al ricevimento per il nuovo libro, fino a una festa in una villa dell’alta borghesia milanese. Qui, tra incontri superficiali e temporali improvvisi, si apre la possibilità di nuove relazioni, incarnata dalla giovane Valentina (Monica Vitti), ma soprattutto emerge la frattura insanabile coniugale.

Nel confronto finale, Lidia legge a Giovanni una sua vecchia lettera d’amore, per dirgli che non lo ama più; paradossalmente, proprio in quel momento Giovanni riscopre la passione per lei, in un gesto che arriva troppo tardi. Mastroianni restituisce il vuoto interiore del suo personaggio con misura assoluta: il suo Giovanni è elegante e disilluso, diviso tra ambizione e stanchezza, sedotto dal fascino intellettuale di Valentina e incapace di tenere insieme i pezzi della sua vita.

Antonioni, con i suoi silenzi, gli spazi geometrici di Milano e le pause narrative, fa di “La notte” un ritratto universale della crisi esistenziale e affettiva. È il cinema moderno che racconta la solitudine anche dentro la coppia, e Mastroianni ne diventa il volto perfetto, sospeso tra malinconia e fascino.

“Dramma della gelosia (tutti i particolari in cronaca)” (1970), Ettore Scola

Diretto da Ettore Scola, “Dramma della gelosia” è un film del 1970 che segna una delle prove più sorprendenti di Marcello Mastroianni. Presentato in concorso al Festival di Cannes, valse all’attore il premio come miglior interpretazione maschile, a conferma della sua capacità di passare con naturalezza dalla leggerezza alla disperazione.

Mastroianni è Oreste, muratore romano di mezza età, comunista convinto e uomo segnato dalla fatica, che si innamora della giovane fioraia Adelaide (Monica Vitti). La loro storia, già fragile, si complica con l’arrivo di Nello (Giancarlo Giannini), pizzaiolo toscano di cui anche Adelaide si innamora.

Quella che all’inizio sembra una commedia degli equivoci si trasforma ben presto in un triangolo sentimentale devastante, fatto di gelosie, tradimenti, liti furibonde e persino ricoveri in ospedale. Adelaide, contesa tra i due uomini, oscilla fino a scegliere Nello, ma la passione malata di Oreste lo trascina in una spirale autodistruttiva che culmina nella tragedia finale.

Il film alterna toni farseschi e malinconici, muovendosi tra feste popolari, piazze romane e interni borghesi, fino a sfociare nell’epilogo drammatico che ribalta la leggerezza iniziale. Mastroianni compone un personaggio indimenticabile: un uomo consumato dalla gelosia, che passa dalla rabbia all’ironia, dalla tenerezza alla follia, con una gamma di sfumature straordinaria. Accanto a lui, Monica Vitti e Giancarlo Giannini contribuiscono a creare un triangolo di grande intensità, specchio di un’Italia attraversata da contraddizioni sociali e sentimentali.

“Dramma della gelosia” resta una delle opere più emblematiche di Scola: una commedia che scivola nella tragedia, raccontando con disincanto e dolore come l’amore, quando si avvelena di ossessioni, possa distruggere chi ne è prigioniero.

“Oci ciornie” (1987), Nikita Mikhalkov

Diretto dal regista russo Nikita Michalkov e ispirato ad alcuni racconti di Anton Čechov, “Oci ciornie” è uno dei film più intensi della fase finale della carriera di Marcello Mastroianni. Presentato a Cannes nel 1987, valse all’attore il premio come miglior interpretazione maschile e gli regalò la terza candidatura all’Oscar.

È anche l’ultima apparizione sullo schermo di Silvana Mangano, che qui interpreta con grande forza drammatica la moglie borghese e distante del protagonista. Mastroianni è Romano Patroni, uomo di mezza età intrappolato in un matrimonio infelice, che racconta la sua vita a un passeggero russo incontrato su un piroscafo. Nel suo racconto riaffiora l’incontro con Anna (Elena Safonova), una giovane russa dagli “occhi neri” che gli aveva acceso la speranza di un nuovo inizio.

Romano le promette di tornare, ma resta incatenato alla sua vita in Italia, tra fallimenti economici e nostalgie, lasciando che l’amore più autentico gli sfugga per sempre. Il film è un raffinato gioco di memoria e rimpianto, in cui Mastroianni tratteggia un uomo diviso tra passione e vigliaccheria, capace di grandi slanci ma incapace di compierli. Il suo Romano è fragile, malinconico, quasi patetico nella sua umanità: un ritratto che porta il segno inconfondibile dell’attore, maestro nel trasformare la mediocrità in poesia. “Oci ciornie” è anche un incontro tra culture: l’Italia e la Russia, Fellini e Čechov, Mastroianni e Michalkov.

Ne nasce un film che parla dell’amore perduto come di una condizione universale, lasciando lo spettatore con la struggente consapevolezza che la felicità può sfiorarci senza mai diventare nostra.

“Sostiene Pereira” (1995), Roberto Faenza

Tratto dal romanzo di Antonio Tabucchi e diretto da Roberto Faenza, Sostiene Pereira è l’ultimo grande film italiano interpretato da Marcello Mastroianni. La sua uscita nel 1995, poco prima della morte dell’attore, ne ha fatto una sorta di testamento artistico e morale, un ruolo in cui la misura, la fragilità e la forza di Mastroianni raggiungono la piena maturità.

Ambientato a Lisbona nel 1938, sotto la dittatura di Salazar, il film racconta la storia del dottor Pereira, anziano giornalista che vive in disparte, dedito alla letteratura francese e al ricordo della moglie defunta. Apparentemente apolitico, privo di slanci, Pereira viene progressivamente scosso dall’incontro con il giovane Monteiro Rossi, che lo costringe a guardare in faccia la censura, la violenza del regime e l’urgenza della verità. Quando Rossi viene ucciso dalla polizia politica, Pereira trova finalmente il coraggio di ribellarsi, pubblicando un articolo di denuncia e scegliendo l’esilio.

Mastroianni tratteggia un uomo dimesso, abitudinario, con il corpo appesantito e il cuore fragile, ma capace di un’improvvisa metamorfosi morale. La sua interpretazione, premiata con il David di Donatello, commuove perché rende straordinario un uomo comune che, quasi senza volerlo, diventa simbolo di dignità e resistenza.

“Sostiene Pereira” è dunque molto più di un film politico: è un racconto sull’inesorabile risveglio della coscienza, che Mastroianni restituisce con una delicatezza disarmante. Nel suo ultimo grande ruolo, l’attore diventa la voce di chi sceglie di non tacere, consegnandoci un’eredità di cinema e di civiltà che ancora oggi conserva tutta la sua forza.

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