La primavera può essere interpretata come metafora della rinascita degli umani, ovvero la convinzione che la morte è solo un momento di passaggio verso una nuova vita migliore. È questo il dono che arriva da alcuni versi di Hermann Hesse.
Tutti i fiori
devono appassire
quando viene la nebbia,
e gli uomini
debbon morire
e, morti, si calan nella fossa.
Anche gli uomini son fiori,
e quando è primavera
ritornano tutti.
Poi non s’ammalan più.
E tutto è perdonato.
I versi di Hermann Hesse sono tratti dal suo romanzo Knulp. pubblicato per la prima volta nel 1915. Il protagonista del libro è un vagabondo e il testo racconta delle sue avventure fino alla fine della sua vita. Il personaggio dopo un lungo peregrinare finisce i suoi giorni per una grave malattia, colpito dalla tisi, da solo in un bosco dopo un lungo dialogo interiore con Dio.
Nei versi di Hermann Hesse la primavera ci sara sempre
Ci sono parole che, nella loro semplicità, riescono a dire tutto. Hermann Hesse, in uno dei passaggi più toccanti del suo Knulp, ci consegna un pensiero che ha il suono dolce della verità e la forza pacificante della poesia.
Hermann Hesse è struggente nella sua semplicità e profondità. Ci offre una poesia in prosa che unisce la malinconia dell’esistenza alla dolcezza della speranza.
I versi di Hesse sono all’apparire semplici, ma contengono riferimenti simbolici potentissimo. “Tutti i fiori devono appassire”, ci dice lo scrittore tedesco, constatando l’inevitabilità del declino, del ciclo della vita che accomuna piante e uomini.
“Anche gli uomini son fiori”. Questa similitudine rende l’essere umano parte della natura, fragile e destinato a trasformarsi. “E quando è primavera ritornano tutti”, mutuando dal misticismo apre alla rinascita, memoria, ad una vita oltre quella terrena.
“Poi non s’ammalan più. E tutto è perdonato.” Un concetto comune a molte religioni e alle filosofie orientali, in cui il passaggio tra la vita e la morte è segnato dallla pace finale, oltre la sofferenza e oltre il giudizio.
Bellissima la metafora l’uomo è come un fiore. Nasce, sboccia, vive. E come ogni fiore, è destinato ad appassire quando arriva la nebbia, quel velo sottile che cala sulla vita e la prepara al silenzio della morte.
È un ciclo naturale, semplice, inevitabile. Ma non c’è dolore in questa visione, non c’è tragedia. Solo la consapevolezza serena della fragilità e della bellezza dell’esistenza.
La morte non è una fine, ma un semplice momento di passaggio
Hermann Hesse disegna una visione del mondo essenziale e luminosa, che attraversa la tristezza della condizione umana. La vita non finisce, ma si trasforma; la morte non è punizione, ma passaggio. In questa transizione ogni colpa, ogni ferita saranno sanate.
Dopo l’inverno dell’esistenza, c’è sempre una primavera. E in questa stagione dell’anima, i fiori tornano ad esplodere la loro bellezza. Non saranno malati, stanchi, ma nuovi, pacificati, perdonati.
Ciò che offre spazio alla speranza è la possibilità del ritorno, che nulla è perduto, e che alla fine di tutto, ciò che conta non è la perfezione, ma il perdono.
Fragili come i fiori
In un tempo, in una società che ci chiede di essere forti, performanti, sempre all’altezza, Hesse ci ricorda con dolcezza che siamo fiori. E che anche appassire può essere parte della bellezza. Belli ma fragili e pertanto è meglio poter godere del tempo che rimane, consapevoli che la morte non deve in nessun modo aggredire la tranquillità dell’animo umano.
Nei versi scritti da Knulp con una matita in un foglio di carta e lasciati in dono al dott. Machold, che ha avuto la sensibilità di ospitarlo e curarlo a casa sua, il “Vagabondo” disegna una visione del mondo essenziale e luminosa, che attraversa la tristezza della condizione umana per arrivare a un’intuizione di grande senso filosofico.
La vita non finisce, ma si trasforma. La morte non è la fine e non è punizione, ma un momento di passaggio, che azzera ogni colpa, ogni ferita, per donare una vita migliore e felice.
In poche righe il grande genio tedesco ci permette di riflettere su diversi temi che appartengono all’umanità e dovrebbero diventare il senso concreto della vita.
I temi salienti dei versi di Hermann Hessse
1. La ciclicità della vita
Il primo tema è naturale e universale, prevede che tutto nasce, cresce, appassisce e muore. È la legge dei fiori, delle stagioni, dei corpi. Nessuno sfugge a questo ciclo, nemmeno l’uomo, che spesso dimentica di essere parte della natura.
La nebbia che arriva, simbolo della morte, del tempo che passa, della malattia, della fine, non va percepita come nemica, ma è un elemento fondamentale del paesaggio dell’esistenza. Accoglierla significa smettere di opporsi al flusso naturale delle cose.
Hermann Hesse, da profondo conoscitore della filosofia orientale e del misticismo, ci invita a pensare in termini di ritorno, di rinascita, non di fine. Ogni vita che svanisce è un seme che attende di rinascere nella nuova primavera.
2. L’essere umano come fiore
Paragonare l’uomo a un fiore è una metafora geniale e di straordinaria delicatezza. Il fiore è un simbolo fragile, ma positiva. Sboccia, fiorisce, appassisce in modo veloce senza aver paura di morire. La sua forza è nella bellezza, nella fragilità, nell’effimero. Dire che anche “gli uomini son fiori” significa sottolineare la fragilità di ogni vita, al fine di condividere il messaggio che tutti siamo niente di fronte al fluire del tempo.
È un tenereo invito alla consapevolezza di aver rispetto verso sé stessi e verso gli altri. È inutile pensare di essere immortali, quando il tempo passa per tutti. Quindi la vita va vissuta con l’umiltà che tutti dobbiamo fare i conti con l’obbligato passaggio.
3. La morte come passaggio
La parte più toccante dei versi arriva dopo il riconoscimento della morte. Non c’è disperazione. I fiori, così come gli umani e tutti gli esseri viventi, sono destinati a ritornare, la primavera assume il senso di una verità ontologica.
È la grande speranza che attraversa ogni spiritualità, che ci sia un dopo, un luogo o uno stato dell’essere in cui si ricompone ciò che è stato spezzato. In ogni caso, Hesse ci regala una visione che non teme la morte, ma la riconcilia con la vita.
4. Il perdono finale
“Poi non s’ammalan più. E tutto è perdonato.” Conclude Hermann Hesse. Il dolore finisce. La malattia, fisica e interiore, viene sciolta. E soprattutto, tutto è perdonato. In queste tre parole c’è un intero universo di desiderio umano.
Il perdono qui non è solo morale, ma esistenziale. È la pace profonda che viene quando ci si sente accolti nella propria interezza, al di là degli errori, delle fragilità, delle imperfezioni.