Le frasi di Giovanni Allevi che svelano perché dobbiamo entrare nell’Era dell’Emozione

2 Novembre 2025

Scopri le frasi di Giovanni Allevi tratte dal bestseller "La musica in testa" che definiscono ciò che l'artista ha definito come l'Era dell'Emozione.

Le frasi di Giovanni Allevi che svelano perché dobbiamo entrare nell’Era dell’Emozione

Giovanni Allevi è un musicista, ma soprattutto un uomo fuori dal comune. Ecco perché alcune sue frasi tratte dal libro La musica in testa (Rizzoli, 2008) offrono una diagnosi spietata del nostro tempo e un manifesto per il futuro.

Giovanni Allevi scrive in un’epoca che sembra “buia”, fatta di “meccanismi inceppati”. La sua tesi è radicale: il XX secolo, con la sua fede cieca nella ragione e nella tecnica, è fallito. Ci ha lasciato ingolfati in un mondo “vecchio e saturo”.

E la sua musica, così melodica, emotiva e diretta, è la sua proposta concreta per uscirne. È la colonna sonora di quella che lui chiama “L’Era dell’Emozione”.

Ecco le frasi di Giovanni Allevi che definiscono i paradigmi della nuova epoca che il geniale musicista ha saputo definire.

Le frasi di Giovanni Allevi che dettano i 5 pilastri dell’Era dell’Emozione

1. La Diagnosi: “La ragione è l’origine della violenza”

Questo è l’attacco frontale di Giovanni Allevi al Novecento, al secolo scorso. Per lui, il secolo della scienza e delle ideologie è stato il più violento di tutti, a causa della sua razionalità. La “violenza” di cui parla non è solo quella delle guerre, ma quella fredda, progettata in “camice bianco” nei laboratori. La violenza della catalogazione, della spersonalizzazione, del ridurre l’essere umano a un numero o a un concetto.

“È la ragione l’origine della violenza, perché da essa scaturiscono la differenza e la pretesa di conoscere ciò che in realtà è mistero.”

Allevi ci dice che ogni volta che usiamo una logica rigida per definire, escludere o “sistemare” la complessità umana, stiamo commettendo un atto di violenza. L’Era dell’Emozione inizia dove finisce la pretesa della ragione di poter spiegare tutto.

A prima lettura, questa frase è uno shock. Siamo cresciuti con l’idea opposta, la ragione è la luce, la civiltà, ciò che ci salva dalla violenza dell’istinto e dell’irrazionalità. Allevi la ribalta completamente. Per lui, la violenza più pericolosa non è quella istintiva, ma quella pianificata. E la pianificazione è un atto di pura ragione.

“Dalla ragione scaturiscono le differenze”

Come funziona la ragione? Analizzando. E per analizzare, deve prima di tutto separare e categorizzare.

La ragione traccia linee, crea confini, mette etichette. Dice: “Questo è A, quello è B”. “Questo è ‘Giusto’, quello è ‘Sbagliato'”. “Questo è ‘Civile’, quello è ‘Primitivo'”. “Questo sono ‘Io’, quello è ‘l’Altro'”.

Nel momento in cui la ragione crea una “differenza” concettuale, crea anche il potenziale per il conflitto. Quando Allevi parla delle “rigide catalogazioni razziali” del Novecento, intende proprio questo. L’apice della violenza (l’Olocausto) non è nato da un raptus di follia, ma da una teoria fredda, pseudoscientifica, “razionale”, che ha classificato gli esseri umani e deciso che una categoria era diversa e inferiore a un’altra.

La violenza, in quest’ottica, non è il fallimento della ragione, ma la sua applicazione più estrema.

“La pretesa di conoscere ciò che in realtà è mistero”

Il secondo problema è l’arroganza (l’hybris) della ragione. La ragione, specialmente quella scientifica e tecnica del XX secolo, non accetta il limite. Non accetta l’ambiguità, la sfumatura, il mistero. Tutto deve essere spiegato, misurato, controllato.

Cosa succede quando una cosa non si può spiegare? O si nega che esista, o la si forza dentro una categoria che non le appartiene. E cosa succede quando un’ideologia (un sistema di pensiero iper-razionale) pretende di aver trovato la Verità Assoluta, la spiegazione finale di tutto?

Succede che tutto ciò che non rientra in quella verità diventa un errore. E gli errori, in un sistema logico, vanno corretti, o peggio, eliminati.

La violenza del Novecento, dice Allevi, è stata una “violenza progettata in camice bianco nella sala dei bottoni di un laboratorio”. È la violenza fredda di chi è così convinto della propria logica da giustificare lo sterminio di chi non vi rientra. È la violenza delle “ideologie sommarie” che sacrificano milioni di esseri umani sull’altare di un concetto astratto.

Per questo, secondo la sua visione, per uscire dalla spirale di violenza del secolo scorso, dobbiamo smettere di idolatrare la ragione e tornare a fidarci del “magma emotivo”, l’unico linguaggio che celebra la fragilità invece di volerla eliminare.

2. La Rivoluzione: “La fragilità è la nostra forza”

In un mondo fondato sulla competizione e sulla performance, la “società dell’immagine”, mostrare la propria fragilità è un tabù. Allevi ribalta questa visione. In un sistema che ci vuole performanti e invulnerabili, ammettere la propria fragilità è l’atto più rivoluzionario. È l’unico linguaggio sincero rimasto.

“L’emozione è il linguaggio attraverso cui si comunica con sincerità, mettendosi a nudo, senza timore di mostrarsi fragili e indifesi, perché la fragilità è la nostra forza, in un mondo trascinato dalla ragione verso la competizione estrema.”

Questo è il cuore dell’Era dell’Emozione. Non si tratta di essere deboli, ma di essere autentici. In un’epoca di filtri, personal branding e facciate, l’unica connessione reale avviene “mettendosi a nudo”, mostrando quel “magma misterioso” da cui nascono le idee. La forza non è più nel controllo, ma nell’espressione sincera.

3. I Leader: “Le nuove generazioni trascineranno il mondo”

Chi guiderà questo Nuovo Rinascimento? Allevi non ha dubbi: i ragazzi. Proprio loro, che sono nati e cresciuti dentro la “società dell’immagine”, ne hanno già sperimentato “l’inconsistenza del suo abbaglio”. Mentre le generazioni precedenti sono ancora intrappolate nel gioco, i giovani si sono stancati della “desolazione esterna” e ricominciano a “desiderare di volare alto”.

“Basta saperli ascoltare… per fare un bagno nella loro smisurata creatività, nell’ingegno poetico dei loro pensieri, nella voglia di una vita autentica all’insegna dell’unica verità: l’emozione.”

Allevi invita a smettere di guardare i giovani con condiscendenza. Non è un caso che siano stati proprio loro i primi ad affollare i suoi concerti. Hanno capito la sua musica (spesso criticata dall’Accademia) prima dei critici, perché parla la loro lingua: l’emozione diretta, senza filtri.La loro (apparente) ingenuità e il loro candore non sono difetti, ma la sorgente del cambiamento.

Loro sono i primi a cercare “incontri senza barriere o filtri”, ponendo le basi per un mondo fondato sull’emozione e non sull’apparenza.

4. Il Metodo: “La nuova Arte è semplicità risolta”

Ok, l’emozione è il motore. Ma come si traduce in un cambiamento reale? Attraverso l’Arte. Ma non un’arte elitaria o banale. Allevi chiede una “nuova arte contemporanea” che sia “semplice e immediata”. Attenzione: questa semplicità non è ignoranza, ma il suo esatto contrario.

“La sua semplicità è complessità risolta, frutto di un lavoro durissimo. Il passaggio attraverso la complessità e la grandezza del passato è necessario… Solo da una comprensione profonda del passato può scaturire qualcosa di significativo per il futuro.”

Qui Giovanni Allevi risponde direttamente ai suoi detrattori. L’Accademia (i critici, i puristi della “ragione”) ha spesso accusato la sua musica di essere “troppo semplice” o “banale”. Allevi rivendica quella semplicità come un punto d’arrivo, non di partenza. È la “complessità risolta”.

Per lui, la sua “nuova musica classica contemporanea” è l’esempio di questo metodo: nasce da uno studio durissimo dei maestri del passato (Bach, Chopin) non per copiarli, ma per trovare il coraggio di distaccarsene e affermare un’idea nuova, emotiva e attuale.

L’Era dell’Emozione non è l’era dell’improvvisazione. Per Allevi, che è un accademico e un profondo conoscitore della tradizione, il “nuovo” nasce solo da uno “studio accademico durissimo”. Bisogna padroneggiare le regole (l’Accademia) per poterle superare. La vera rivoluzione non è distruggere, ma evolvere.

5. L’Obiettivo: “Un Nuovo Rinascimento è alle porte”

Questo è il punto d’arrivo. Il Rinascimento di cui parla Allevi non è un evento storico che ci pioverà addosso, ma una scelta individuale che diventa collettiva. Inizia nel momento in cui un individuo decide di dare fiducia alla propria “scintilla del sogno” contro tutto e tutti. Inizia rispondendo alla domanda che si è sentito fare mille volte: “Ma chi te lo fa fare?”.

“Chi me lo ha fatto fare? Un desiderio travolgente, impellente, che non mi ha mai abbandonato neanche quando tutto sembrava perduto… Il Rinascimento è anche la ritrovata fiducia nelle capacità dell’uomo nella sua sfida ad affrontare le difficoltà del mondo… purché il suo cammino sia sempre illuminato e ispirato dalla scintilla del sogno.”

Il mondo non è un limite oggettivo, ma “lo scenario in cui l’ideale progressivamente si incarna”. L’Era dell’Emozione è, in fondo, l’era della responsabilità creativa. È il momento in cui smettiamo di essere vittime di un sistema “buio” e diventiamo architetti di un mondo nuovo, costruito sulla forza della nostra visione interiore.

L’Era dell’Emozione è la risposta al fallimento della ragione e alla crisi del sentire

Nel tempo presente la ragione non è più una promessa di libertà ma una gabbia invisibile. L’uomo contemporaneo vive immerso in una logica che misura tutto, controlla tutto, ordina tutto, ma ha smarrito la capacità di comprendere.

Sa prevedere i comportamenti ma non i desideri, calcolare le probabilità ma non riconoscere la speranza. Inseguendo la precisione e il potere della mente ha sacrificato l’ampiezza del cuore.

Giovanni Allevi, con il suo pensiero, restituisce al mondo la necessità di un linguaggio nuovo, quello delle emozioni.

L’Era dell’Emozione è la risposta culturale e spirituale a una civiltà che ha idolatrato la produttività dimenticando la poesia dell’esistenza. È l’invito a riscoprire la fragilità come luogo della conoscenza autentica, perché solo chi accetta di essere vulnerabile può entrare in relazione profonda con sé stesso e con gli altri.

L’umanità del futuro non si rigenererà attraverso la tecnologia o la competizione ma attraverso la maturazione emotiva, la risonanza interiore, la capacità di ascoltare ciò che non si può spiegare. L’intelligenza tornerà ad essere empatia, il pensiero tornerà a contenere stupore, la società tornerà a fondarsi non sull’efficienza ma sulla connessione.

L’Era dell’Emozione rappresenta quindi un nuovo umanesimo che riunisce ciò che la modernità ha separato, la mente e il cuore, il sapere e il sentire, l’individuo e la comunità. È la possibilità concreta di un mondo capace di ricordare che la felicità non si misura ma si prova, e che la verità non si impone ma si sente.

Solo chi sente davvero può pensare in modo nuovo.

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